Storia di Torino (vol 1)/Libro I/Capo VI

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Capo Sesto


Fede cristiana predicata da S. Luca nelle Gallie e in Italia. — S. Ca­limero, vescovo di Milano, la diffonde in queste parti nel secolo ii. — S. Dalmazzo predica il Vangelo ai Torinesi; suo martirio presso Auriate, nel 254. — I santi Solutore, Avventore ed Ottavio, mar­tiri torinesi nel secolo iii. — Concilio di Torino nel 397, o nel 401. — Apostolato di S. Eusebio, vescovo di Vercelli, a Torino. — Primi vescovi di Torino.


Mentre la civiltà e la potenza romana erano per­venute a quel sommo grado a cui possono giungere le umane instituzioni, e che già accennavano ad un non lontano decadimento, nasceva umile ed ignorata in un sito niente famoso della terra, la religione di Cristo, e nasceva d’una gente che si segnalava pel puro culto d’un solo e vero Dio, e per la cura con cui avviluppata da altre più potenti nazioni sceverava se stessa, le sue credenze, le sue leggi, i suoi riti, e ne trasmetteva di generazione in generazione l’e­reditaria schiettezza.

La Giudea era allora, com’è nolo, un regno [p. 54 modifica]tributario di Roma, e fu poco dopo provincia romana. Dalla più piccola delle vinte nazioni sorse l’Eletto, la cui parola dovea rinnovar la faccia del mondo, rivelare all’uomo le vere sue sorti futurè, i suoi doveri, i suoi diritti, unire tutte le genti in un solo sentimento d’amore, rifare una civiltà non peritura sulle rovine della civiltà etnica, la sola che sia sog­getta a perire, soggetta ad arrestarsi nel bel mezzo del suo corso, come torrente a cui un soffio gelato incateni l’onda bollente e spumante con un nodo di perpetuo ghiaccio.

Non è memoria che insegni quando prima si dif­fondesse in queste parti occidentali d’Italia la luce benigna del Vangelo. Tra gli apostoli S. Luca fu quello che ebbe da S. Paolo la commissione di predicar in Dalmazia, in Macedonia, in Italia, ma principalmente nella Gallia;1 e qui rammenteremo che questa parte d’Italia chiamavasi Gallia subalpina, e che sol­cata da due strade militari, frequentatissima anche da commercianti, dovea parer opportuna a ricevere ed a propagare il seme della divina parola.

Qui pertanto pensiamo che fin dal primo secolo, o il santo evangelista, o qualcun de’ cristiani che Claudio cacciò da Roma, abbia recato la parola di vita e di verità; che su questa terra e per queste valli montane sia stata da qualche più eletto spirito ricevuta, e poi tra le persecuzioni consecrata col sangue, sebbene non vi fosse dapprincipio nodo di [p. 55 modifica]fedeli e perciò vera chiesa torinese. Ma chi princi­palmente la diffuse non solo in Lombardia, ma per gran parte della Liguria, fu S. Calimero vescovo di Milano dal 138 al 187 ed assiduo predicator della fede, che ottenne anch’egli la palma del martirio.2 Sebbene non s’abbia particolar chiarezza de’ luoghi in cui predicò, noi non esitiamo a credere che questa parte della Liguria non sia stala esclusa dal bene­fizio della sua predicazione, appunto perchè fre­quente, come abbiamo osservato, di popoli e di commerzii e sulla grande strada delle Gallie.

Nel secolo seguente S. Dalmazzo, nato in Magonza di padre italiano e consolare, bandì il Vangelo tra i popoli di Provenza e di Nizza, e valicati i monti recò lo stesso benefizio ai popoli Auriatesi che abi­ tavano le rive del Gesso e della Vermenagna, ai To­rinesi, agli Stazielli, ai Liguri, ai Pavesi. Ma nel 254 cercato a morte dai sacerdoti Auriatesi mentre tor­nava per confermar que’ popoli nella legge di Cristo, fu raggiunto presso al ponte della Vermenagna, e ferito di spada mortalmente nel capo. S. Dalmazzo continuò qualche momento il cammino, varcò l’alveo del Gesso, e sulla riva cadde e morì.3

Sul cader dello stesso secolo terzo (lo Zaccaria ed il Pagi dicono nel 285) la sinistra sponda del Rodano nell’angusta valle de’ Veragri tra Ottoduro (Martigny) ed Agauno s’imporporava di molto sangue cristiano. Tebe dalle cento porte avea mandato ai [p. 56 modifica]servizii di Massimiano Cesare un’intera legione, la quale altamente dispiacque a quel principe inumano, non perchè fosse infedele a lui, ma perchè era fe­dele a Cristo. Spinta nelle gole del Vailese sotto colore di marciar contro ai Bagaudi, fu presa in mezzo dalle pagane coorti e passata a fil di spada. Là perì con la sua preclara milizia il glorioso capitano S. Mau­rizio. Pochi scamparono, e di questi pochi furono, secondo l’antichissima tradizione della chiesa Tori­nese, i Ss. Solutore, Avventore ed Ottavio, che venuti a Torino, e datisi al pietoso ufficio di gua­dagnar anime a Dio, vi furono ben presto da’ Cesariani scoperti. Avventore ed Ottavio furono qui tru­cidati. E vuoisi che S. Solutore fuggisse ad Ivrea, e che là, dopo qualche giorno riconosciuto, fosse decapitalo, mentre salito sopra un sasso faceva ad alta voce professione di sua fede al popolo circo­stante.4 Santa Giuliana, gentildonna cristiana, condusse da Ivrea a Torino il corpo di S. Solu­tore, e gli diè sepoltura insieme con quelli de’ suoi compagni. Il luogo in cui giacevano fu probabil­mente qui, come a Roma, l’oratorio dove conveni­vano ai santi ufficii ed alla preghiera comune i primi cristiani.

Si può credere che il sepolcro di questi martiri fosse fuori della città tra mezzodì e ponente, nel silo in cui fu poscia eretta in loro onore la chiesa di S. Solutore; alla quale fu aggiunto dal vescovo [p. 57 modifica]Gezone ne’ primi anni del secolo xi un celebre monastero dell’ordine Benedettino.5

Il sangue di questi martiri gloriosi, che alcuni fanno Torinesi e non Tebei,6 fecondò sì fattamente i semi evangelici, che essi ed altri prima di loro vi avean gittati, che la pianta della fede vi mandò d’allora in poi férme radici; onde a questi felici campioni riferir dobbiamo principalmente con San Massimo la ventura d’esser cristiani.

Frattanto la voce de’ banditori della parola rige­neratrice, l’esempio virtuóso de’ cristiani, il sangue de’ martiri, più eloquente d’ogni predicazione e di ogni altro esempio, diffondevano per ogni, dove la grazia. Non più pochi e timidi, ma numeravansi a migliaia di migliaia i fedeli, quando Costantino nel 324 diè facoltà d’esercitare pubblicamente il culto della nuòva religióne.

Onde dopo la metà del secolo, parlando di Roma, scrivea S. Gerolamo queste parole che poteano ve­rosimilmente appropriarsi a tutte le principali città dell’imperio. « Pieno di squallore è l’aureo Campi­doglio; di densa polvere e di tele di ragno sono coperti tutti i templi di Roma; la città movesi dalle proprie sedi e l’onda del popolo passa dinanzi ai delubri cadenti, e corre alle tombe dei martiri  ».7

Prima del finir del secolo la città di Torino dovea essere non solo tutta cristiana, ma ancora frequente di chiese, poiché nel 397, o nel 401, vi si tenne un [p. 58 modifica]concilio di vescovi principalmente italiani, i quali regolarono molti articoli di disciplina ecclesiastica, e sentenziarono intorno alle differenze insorte tra alcuni vescovi delle Gallie in fatto di precedenza e di giurisdizione primaziale.8

A misura che moltiplicavansi i fedeli, soleano, se­condo i loro bisogni, moltiplicarsi i vescovi. Perciò nel secolo secondo in cui scarso era ancora il numero de’ cristiani, ed affranto in mezzo al gran numero d’idolatri e di persecutori, S. Calimero, vescovo di Milano, stendea forse sui fedeli del Vercellése, di Val d’Aosta e del Piemonte la sua pastorale solle­citudine. Ma dopo la libertà concessa alla Chiesa da Costantino, i Vercellesi ebbero a proprio vescovo il grande S. Eusebio, che governava eziandio Novara, Ivrea, la Val d’Aosta e le colline del Monferrato fino a Testona. Sembra che nei primi tempi del suo pontificato sia egli concorso a cancellare da questa nostra città gli avanzi che ancor rimanessero delle etniche superstizioni o gli errori ereticali che vi si fossero introdotti, poiché di lui predicava S. Mas­simo, che i Torinesi gli andavano debitori dello splendore dell’ordine sacerdotale, della ortodossa loro credenza, della purità de’ costumi. « Da lui pro­ cede, egli sciama, quanto qui può rinvenirsi di virtù e di grazia; tutto da questo fonte purissimo dimana ciò che si vede di limpidità ne’ ruscelli ».

Quando per altro per la persecuzione mossagli [p. 59 modifica]dagli Ariani S. Eusebio fu rilegato in Scitopoli di Palestina, pare che Torino già avesse il proprio vescovo, poiché nella lettera indirizzata nel 356 da quel luogo d’esilio a’suoi diocesani, in cui tutte ne distingue le genti, ancorché piccole, come sarebbero gl’Industriesi, gli Agemini ed i Testonesi, non ri­corda i Torinesi, ben altrimenti famosi.9

Il nome del vescovo o de’ vescovi Torinesi ante­riori a S. Massimo è velato di tenebre. Gli antichi scrittori notano un S. Vittore all’anno 310. Ma quest’asserzione non ha conforto nè di prove nè di indizi storici. La vera storia de’ vescovi Torinesi ha lieto cominciamento dall’immortale S. Massimo, il quale pontificò dal 415 all’incirca fin dopo il 452.


Note

  1. [p. 68 modifica]Sed in Gallia prae coeteris. Così S. Epifanio.
  2. [p. 68 modifica]Semeria. Storia della Chiesa metropolitana di Torino.
  3. [p. 68 modifica]Vedi intorno a questi santi: Zaccaria, della passione e del culto de’ Ss. martiri Solutore, Avventore ed Ottavio, con prefazione e note del dotto P. Isaia Carminati della Comp. di Gesù.
  4. [p. 68 modifica]Semeria, Storia della Chiesa metropolitana di Torino.
  5. [p. 68 modifica]Meyranesio, Vita di S. Dalmazzo, V. ivi frammento della cronaca di Pedona. Nella continuazione agli Atti de’ Santi del Gallizia.
  6. [p. 68 modifica]In nostris domiciliis proprium sanguinem profunderunt. Così S. Mas­simo nell’omelia pel natale di questi Santi. Ma ciò non basta a toglier fede alla tradizione che corre in proposito di S. Solutore. Se si vogliono interpretare strettamente le parole in nostris domiciliis, riferendole alla sola città di Torino, la frase era vera per due dei tre martiri; e del terzo vi era stato portato subito il corpo ancor sanguinoso; nè in una brevis­ sima omelia parlando di cose notissime, S. Massimo potea creder necessario di stabilir distinzioni. Se s’interpretano quelle parole largamente, possono convenire anche ad Ivrea tanto vicina a Torino, e massime coll’idea così vasta della nazionalità romana.
  7. [p. 68 modifica]In epistola ad Laetam.
  8. [p. 68 modifica]Labbeus, iii, 859.
  9. [p. 68 modifica]Quest’argomento a me sembra gravissimo per conchiudere contro all’opinione del Semeria che v’ebber vescovi a Torino prima di S. Massimo. L’esilio del santo vescovo Eusebio diè forse occasione di smembrarne la diocesi, e di creare un vescovo a Torino. A nulla monta poi che Testona e Gamenario (così si spiega Agaminis ad Palatium notato nella lettera Eusebiana) abbiano in tempi posteriori appartenuto, come tuttora appar­tengono alla diocesi di Torino. Nulla vieta che In que’ primordii il vescovado vercellese s’estendesse fino al termine delle colline de) Monferrato, e così sino a Testona alla destra de) Po, che veniva a dividerlo su questa linea dalla diocesi di Torino; e nulla vieta che posteriormente variandosi la circoscrizion delle due diocesi, quella di Torino si sia allargala a pregiudizio della Vercellese.