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Storie fiorentine dal 1378 al 1509/II

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I III


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II.

Governo di Piero di Cosimo. — Iacopo Piccinino ucciso a Napoli. — Diotisalvi Neroni e Luca Pitti. — Morte di Francesco Storia. — Congiura contro Piero de’ Medici. — Lega di Firenze, Milano e Napoli. — Campagna del Colleoni. — Morte di Piero.


Morto Cosimo, rimase capo dello stato Piero suo figliuolo, el quale non ebbe quella prudenzia e laudabili parte aveva avuto el padre; nondimeno fu di buona natura e clementissimo, ed ebbono apresso a lui buono essere e’ cittadini dello stato, perché oltre alla buona natura, sendo lui molto impedito e quasi perduto di gotte, si lasciava quasi governare; di che alcuni usurporono tanta autoritá, che furono per tòrgli lo stato, come di sotto si dirá.

Morí etiam in quel tempo, nel 1469, papa Pio, e fu eletto in luogo suo Pagolo, di nazione veneto, di casa Barbo, che si dimostrò nel principio molto favorevole ed affezionato alle cose della cittá. La quale buona disposizione fu per interrompersi, perché, sendo morto in levante contro a’ turchi el cardinale camarlingo e patriarca di Aquileia, el quale era ricchissimo ed aveva in Firenze grandissima somma di gioie, danari ed altro mobile, ed avendo lasciato per testamento queste sue facultá a certi degli Scarampi, de’ quali era uno genero di Luigi Pitti fratello di messer Luca, e volendo el papa questo tesoro come cosa ecclesiastica, la potenzia di messer Luca era tale che per beneficio di questo suo parente [p. 14 modifica]non lasciava farne quella risoluzione si conveniva; di che adirandosi el papa molto forte, pure finalmente si deliberò se gli dessino queste robe, e cosi si fece con sua grande satisfazione.

In questo tempo el conte Iacopo Piccinino per opera del duca Francesco suo suocero si riconciliò col re Ferrando e ricondussesi a’ soldi sua; ed avendo avuto da lui danari, deliberò da Milano, dove era, transferirsi nel reame a visitare el re e fargli capace volere essere suo buono servidore, come e lui ed el padre erano stati di suo padre. Venne adunche a Napoli e fu ricevuto dal re con tanto onore e tanta dimostrazione di benivolenzia che non si sarebbe piú potuto esprimere, ed ogni di stava seco qualche ora a segreto parlamento; nondimeno, quando volle partire, avendo preso buona licenzia dal re, fu ritenuto ed incarcerato insieme con el conte Broccardo suo cancelliere, e pochi di poi fu morto in prigione. Mostrò el duca Francesco tal cosa dispiacergli assai, dolendosi che el conte fussi stato tradito quasi sotto la sua fede e sue braccia; ed essendo madonna Ipolita sua figliuola a Siena, che n’andava a Napoli a marito a Alfonso duca di Calavria primogenito del re, ed in sua compagnia don Federigo figliuolo del re, gli comandò si fermassi quivi insino a tanto avessi altra risoluzione da lui; ed in effetto fece cenni di avere voglia che el parentado non andassi innanzi. La qual cosa dispiacque assai alla cittá, perché desideravano si conservassi questa unione fra ’l re e duca per commune beneficio; e però s’affaticorono molto e pubicamente ed in privato alcuni cittadini suoi familiari in persuadergli non volessi dividere tale amicizia, che portava tanta sicurtá ed a sé ed agli amici sua; e cosi si fece in effetto. Molti credono che el duca, parendogli che el conte Iacopo fussi di troppa riputazione nelle arme, ed inoltre, per la memoria di Niccolò Piccinino suo padre, molto amato dal popolo di Milano, acconsentissi farlo male capitare per le mani del re; nondimeno a me non è manifesta la veritá, e chi fa questo giudicio, lo fa per conietture e non per certezza, perché se una tale cosa fu, è da credere [p. 15 modifica]si trattassi segretissimamente, e nelle conietture è molto facile lo ingannarsi; e massime che chi lo crede non si muove per altro, se non perché questa morte, per le cagione sopradette, fu riputata utile al duca; pure può essere stato vero, ed io per me non ne fo giudicio in parte alcuna.

Cominciorono in questi tempi medesimi a scoprirsi nuove divisione nella cittá, che furono massime causate dalla ambizione di messer Dietisalvi di Nerone; el quale, sendo uomo astutissimo ricchissimo e di grande credito, non contento allo stato e riputazione grande aveva, si congiunse con messer Agnolo Acciaiuoli, uomo anche egli di grande autoritá, disegnando volere tórre lo stato a Piero di Cosimo. E parendo loro che messer Luca Pitti, pel seguito aveva, fussi buono instrumento, entratigli sotto, gli persuasono farlo capo della cittá, disposti però fra loro, secondo si dice, sbattuto che avessino Piero, tórre anche lo stato a messer Luca; il che giudicavano facile per non essere lui uomo che valessi. E per dare principio a questi disegni, messono innanzi che le borse si serrassino, cioè che la signoria ed e’ magistrati si traessino a sorte e non per elezione; il che fu consentito da Piero, perché la cosa piaceva tanto al popolo, che come era proposta, chi non l’avessi consentita s’arebbe tirato addosso troppo carico. Sendo di poi tratto gonfaloniere di giustizia Niccolò Soderini che era de’ loro seguaci, tentorono levare via el consiglio de) Cento, che disponeva di tutte le cose importante della cittá. A che Piero e gli amici sua, che ne erano massime capi messer Tommaso Soderini, messer Luigi ed Iacopo Guicciardini, messer Antonio Ridolfi, messer Otto Niccolini ed altri simili, si opposono alla scoperta e finalmente la impedirono. Tentoronsi ancora per questo gonfaloniere molte altre cose contro allo stato di Piero, e stette la cittá, mentre che durò quello magistrato, molto alterata; ma sendo uscito, parve le cose quietassino un poco.

Successe a fine di detto anno 1465 la morte del duca Francesco, e successe nello stato Galeazzo suo primogenito, el quale, sendo in Francia a’ favori del re Luigi che guerreg[p. 16 modifica]giava co’ baroni, udita la morte del padre, ne venne scognoseiuto in poste. Questo caso dispiacque assai alla cittá per la amicizia tenuta seco, e perché dubitava che, sendo gli Sforzeschi nuovi in quello stato, non si facessi qualche alterazione; ed inoltre che e’ viniziani, che sempre avevano temuta la virtú e riputazione di quello duca, morto ora lui, non rompessino guerra a’ figliuoli. E si consultò fussi bene fare ogni cosa per conservare quello stato, donde molti anni si era tratta la sicurtá della cittá; e però subito fumo mandati imbasciadori a Milano messer Bernardo Giugni e messer Luigi Guicciardini, che, oltre al condolersi e le cerimonie, ofterissino tutte le forze della cittá a’ bisogni loro, vegghiassino tutti e’ casi occorrenti e dessino aviso acciò die si potessi provedere. Giunti a Milano, trovorono e’ sudditi avere tutti data la ubidienzia, ma lo stato in gran disordine di danari, e qualche sospetto di guerra da’ viniziani; e però furono richiesti scrivessino a Firenze, pregando fussino serviti in prestanza di qualche somma di danari, pigliandone assegnamento in sulle piu vive entrate avessino.

A Firenze si messe in pratica questa dimanda e si concluse si servissino; e cosi si rispose agli imbasciadori ofíerissino ducati quarantamila, e che subito si proveríerebbe a fargli. E di poi trattandosi de’ modi, messer Luca, messer Agnolo e messer Dietisalvi, parendo loro modo da fare perdere la riputazione grande aveva Piero con lo stato di Milano, la cominciorono a impedire, in modo che non si potette mai fare conclusione di pagargli, con grandissimo carico e vituperio della cittá. Di qui sendo gli animi ogni di piú gonfiati, e bisognando che questa quistione si terminassi con vittoria delle parte, con tutto fussino ite atorno molte pratiche e simulazione di concordia e giuramenti e obligazione di cittadini, sendo ito Piero a Careggi, disegnorono gli avversari sua nel tornare di amazzarlo, e messono gente armata in Santo Antonio del Vescovo, donde Piero soleva tornare; del quale luogo loro si valevano per essere arcivescovo di Firenze uno fratello di messer Dietisalvi. Volle la buona fortuna di Piero e di quella casa che nel [p. 17 modifica]tornare non fece la via soleva, ma prese altra via; in modo si condusse salvo a Firenze. Dove, crescendo ogni di queste divisione e sendo la cittá tutto di piena di gente armate, ed apparati grandi per l’una parte e l’altra di soccorsi esterni, finalmente, sendo tratto gonfaloniere di giustizia Ruberto Lioni partigiano di Piero ed una signoria a suo proposito, sendo impauriti gli avversari, messer Luca, persuaso cosi astutamente, si riconciliò con Piero; in modo che si fece parlamento e furono confinati di Firenze messer Agnolo Acciaiuoli ed e’ figliuoli, messer Dietisalvi co’ figliuoli e fratelli, e Niccolò Soderini; e rassettossi in tutto lo stato a modo di Piero, el quale, non seguitando lo stile di Cosimo suo padre, fu clementissimo in questo movimento, né pati si punissino altro che quegli e’ quali sanza pericolo grande non potevano rimanere impuniti. Messer Luca rimase in Firenze, ma spennecchiato e senza stato e credito; e cosi pati pena conveniente della stultizia sua, ché, avendo piú bello stato assai che non meritava, per cercare farne un piú bello capitò male.

La mutazione dello stato di Firenze partorí gran novitá per Italia, perché fece speranza a’ viniziani che sendo la cittá alterata, non s’avessi opporre alle imprese loro, sendo massime persuasi e sollecitati dagli usciti nostri, messer Dietisalvi e Niccolò Soderini, e’ quali transferitisi a Vinegia dimostravano quanto fussi facile voltare lo stato di Firenze e rimettergli in casa, e che sendo poi questa cittá a’ loro propositi, nessuna impresa era difficile. Di che nacque una pratica fra ’l papa, e’ viniziani e Borso duca di Ferrara che era amico degli usciti, che Bartolomeo Coglione capitano de’ viniziani, finita la condotta sua che durava pochi mesi, come capitano di ventura si volgessi a’ danni o del duca Galeazzo o nostri. Il che presentendosi a Firenze, fumo mandati imbasciadori a Vinegia messer Tommaso Soderini ed Iacopo Guicciardini, per ritrarre, se era possibile, la mente loro circa alla quiete universale, e di poi andarne a Milano a conferire con quello signore e pensare, se accadeva, a rimedi oportuni per la salute commune. Vennono a Vinegia, e ricevuti molto onorevolmente, [p. 18 modifica] e cosí per tutto el loro dominio, ritrassono parole ottime in generali, ma in particulare non potettono avere cosa alcuna per la quale si potessino assicurare della mente loro; andoronne a Milano, e quivi consultato quello fussi da fare, in capo di pochi giorni se ne vennono a Firenze. E perché questi pericoli si disegnavano communi cosí al re Ferrando come al duca e noi, si contrasse una lega particulare fra queste tre potenzie a difesa degli stati, e si disegnorono gli apparati che s’avevano a fare per la salute di tutti. Ma riscaldandosi ogni di piú questa mossa di Bartolomeo da Bergamo, parendo alla cittá che e’ signori collegati procedessino a’ provvedimenti molto lentamente, fu mandato messer Antonio Ridolfi a Napoli e messer Luigi Guicciardini a Milano a sollecitare si dessi colore a’ disegni fatti, e.si fece capitano di questa lega Federigo duca di Urbino, che subito colle gente nostre, di che era capitano el signore Ruberto Sanseverino, si ridusse in Romagna. Dove fra pochi di el signore Astore di Faenza, soldato della lega, détte la volta ed accordossi co’ viniziani; Bologna ed Imola erano per la lega, Peserò pe’ viniziani, Rimino piu tosto neutrale che in altro modo.

Partí Bartolomeo de’ terreni de’ viniziani circa allo aprile e prese la volta di Romagna per passare di quivi in Toscana e fare pruova voltare lo stato di Firenze; ed in sua compagnia era messer Agnolo Acciaiuoli, messer Dietisalvi e Niccolò Sederini. E come fu inteso Ravviarsi delle sue gente, el duca Galeazzo prese anche egli con buone gente la volta di Romagna per congiugnersi col duca di Urbino; fra’ quali era duemila cavalli a’ soldi nostri, perché di principio abondando al duca gente, ma mancandogli danari da metterle tutte in ordine, e la cittá non avendo gente abastanza, si soldo duemila cavalli di quegli di Milano e cosí si soppli a’ bisogni l’uno dell’altro. Venne ancora in Romagna don Alfonso di Davoles condottiere del re, e si congiunse col duca di Urbino, in modo che el campo nostro stava in campagna a petto di Bartolomeo Coglione; e finalmente, sendo venuto el duca Galeazzo in Firenze, ed alloggiato in casa Piero di Cosimo, [p. 19 modifica]si fece un bello fatto di arme alla Mulinella, e benché non vi fussi vittoria notabile, pure el vantaggio fu della lega. E pochi di poi, ingrossando el campo nostro per gente sopravenute del reame, era la vittoria nelle mani; se non che el duca Galeazzo fanciullescamente, credo per non avere danari da Firenze a suo modo, si parti di campo con buona parte delle sue gente ed andossene a Milano. Di che sendo la cosa pareggiata, ognuno si voltò a’ pensieri della quiete, e fatta triegua a disdetta, pochi di poi si fermò questo tumulto; e Bartolomeo se ne tornò in quello de’ viniziani, con effetto della impresa non conveniente alla sua riputazione ed espettazione s’ebbe nel principio di lui.

Tornato Bartolomeo in Lombardia, la cittá si posò circa uno anno; di poi nel 1469 pretendendo papa Paulo che Rimino, che era nelle mani di Ruberto Malatesta figliuolo bastardo del signore Gismondo, fussi devoluto alla sedia apostolica ed infestando Ruberto con editti e censure e preparandosi alle arme, la lega, dubitando che lui disperato non si gittassi nelle mani de’ viniziani, co’ quali era in pratica, lo tolse a soldo e preselo in protezione contro a qualunque lo volessi offendere. Di che el papa forte sdegnato, ed avendo da’ viniziani promesse di favore, ed anche credendo che la lega non avessi a essere unita alla difesa, mandò el campo a Rimino. Fecesi gran consulta fra’ signori collegati circa al modo della difesa; e finalmente, non sendo in molta unione, conchiusono per allora mandare aiuti a Ruberto di qualitá che non lasciassino gli inimici espugnare la cittá, e mandare imbasciadori a Roma a giustificarsi col papa di avere preso Rimino in protezione, non per fare contro alla Chiesa, ma perché non venissi in mano de’ viniziani, usati a occupare le cose ecclesiastiche; avere fatta la lega e presa la protezione per conservare la pace di Italia; ed a questo effetto pregarlo fussi contento levare el campo da Arimino, promettendogli si troverrebbe modo a comporre poi queste differenzie e che Ruberto non mancherebbe delle debite reverenzie verso quella sedia; e quando non volessi farlo, protestargli che per [p. 20 modifica]conservare la pace di Italia e la fede data a Ruberto, lo difenderebbono in tutti quegli modi fusse possibile, offendendo etiam in qualunque luogo chi offendeva lui. Mandò la cittá a questo effetto, insieme cogli oratori ducali, a Roma messer Otto Niccolini ed Iacopo Guicciardini; ed in questo mezzo strignendosi lo assedio, el re fece passare el Tronto al duca di Calavria, acciò che don Alonso suo condottiere si potessi sicuramente congiugnere col conte di Urbino, a chi questo soccorso era molto a cuore perché temeva la potenzia della Chiesa; e cosí vi si spinse per la cittá el signore Ruberto e qualche gente pel duca, ma poche, ché andava freddo a questa impresa; ed accostandosi l’uno esercito all’altro, si fece finalmente fatto di arme, dove el conte di Urbino roppe el campo della chiesa.

Mostrò el papa in principio buono animo, di poi mancandogli sotto le promesse e favori de’ viniziani, cominciò pure a volgersi alla pace; e perché nella lega non era unione per convenirsi in quello s’aveva a fare, si fece una dieta a Firenze, dove furono imbasciadori pel re e pel duca; e finalmente, non si faccendo alcuna buona conclusione e sendo disparere fra el duca e re, si ridusse la pratica della pace a Napoli, dove per la cittá andò messer Otto Niccolini. Furonvi e’ trattati vari, e fu opinione che el re s’avessi a collegare co’ viniziani; ma finalmente doppo molte pratiche l’anno 1470 si rinnovò la lega fra re, duca e noi, con certi capitoli riguardanti alla pace e lega generale di tutta Italia, come di sotto si dirá.

Innanzi si conchiudessi la pace e nell’anno 1469 di dicembre, morí in Firenze Piero di Cosímo de’ Medici; la morte del quale dolse assai alla cittá rispetto alla sua facile e clemente natura e tutta volta al bene, come massime mostrò la novitá del 66, nella quale non puní piú oltre che si patissi la necessitá e piú ancora che non era la voluntá sua, costretto da molti cittadini dello stato. Lasciò due figliuoli, Lorenzo e Giuliano; de’ quali Lorenzo, che era el maggiore, era di etá di anni venti o ventuno; e benché molti stimassino cosí nella [p. 21 modifica]cittá come fuora, che la sua morte avessi a partorire rivoluzione, nondimeno la sera morí, o vero la sera seguente, si ristrinsono in Santo Antonio piú di seicento cittadini, el fiore della cittá, e feciono conclusione di mantenere e la unione e lo stato presente e conservare grandi e’ figliuoli di Piero; e cosi concorse tutta la cittá, affaticandosene massime messer Tommaso Soderini, che aveva allora piú riputazione che altro cittadino e forse era el piú savio. El quale però si persuase che per essere Lorenzo giovane ed avere quasi a ricognoscere lo stato da lui, l’avessi a governare; il che di poi non gli riusci. E per dare riputazione allo stato e mostrare la unione della cittá, richiedendolo anche e’ tempi che correvano rispetto al non essere conclusa la pace, si ordinò e vinse prestamente in tutti e’ consigli una provisione di trecentoinila ducati; e cosi in effetto si continuò lo stato per successione in Lorenzo de’ Medici, el quale lo governò insino alla morte sua con quelle virtú e successi che di sotto si diranno.