Supplemento alla Storia d'Italia/CXV
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Passeriano il giorno 3 di complimento anno 6
(19 Settembre 1797)
CXV - Al Ministro delle relazioni estere.
Ho ricevuto, cittadino ministro, la vostra lettera confidenziale del 22 fruttidoro su la missione che desiderate di dare a Sieyes in Italia. Credo effettivamente come voi, che la sua presenza sarebbe tanto necessaria in Milano quanto avrebbe potuto esserla in Olanda, e quanto lo è a Parigi. Malgrado il nostro orgoglio, i nostri mille ed uno libricciattoli, le nostre arringhe a perdita di vista, e il cicaleccio eterno, siamo ignorantissimi nella scienza politica morale. Noi non abbiamo ancora definito ciò che s’intende per potere esecutivo, legislativo esecutivo, legislativo, e giudiciario. Montesquieu ci ha date false definizioni, non perchè quest’uomo celebre non sia stato in circostanza di farlo; ma la sua opera, com’egli stesso lo dice, non è che una specie di analisi di ciò che ha esistito, o esisteva: è un riassunto delle note fatte ne’ suoi viaggi, o nelle sue lettere. Egli ha fissato l’occhio sul Governo d’Inghilterra, ed ha definito in generale il potere esecutivo, legislativo, e giudiciario. Perchè si riguarda effettivamente come un’attribuzione del potere legislativo il dritto di guerra, e di pace, il dritto di fissare la quantità, e la natura delle imposizioni?
La costituzione ha confidato con ragione una di queste attribuzioni alla Camera de’ Comuni, ed ha fatto benissimo, perchè la Costituzione inglese non è che una Costituzione di privilegj: è una soffitta tinta di nero, ma fregiata in oro. Siccome la Camera de’ Comuni è la sola che bene, o male rappresenta la nazione, essa sola ha dovuto avere il dritto di assegnar le imposizioni; è questo l’unico argine che si può trovare per contenere il dispotismo, e l’insolenza dei cortigiani. Ma in un Governo in cui tutte le autorità emanano dalla nazione, dove il sovrano è il popolo, perchè classificare come attribuzioni del potere legislativo cose che gli sono affatto estranee? Da cinquant’anni io non veggo che una sola cosa che abbiam ben definita, ed è la sovranità del popolo: ma non siamo stati più felici nel fissare ciò ch’è costituzionale, che nell’attribuzione di differenti poteri. L’organizzazione adunque del popolo francese non è in verità che abbozzata. Il potere del Governo in tutta la latitudine, ch’io gli do, dovrebb’esser considerato come il vero rappresentante della nazione, il quale dovrebbe governare in conseguenza della carta costituzionale, e delle leggi organiche: esso si divide, per quanto a me sembra, naturalmente in due magistrature ben distinte.
In una che sorveglia, e non agisce, alla quale ciò che noi chiamiamo oggigiorno potere esecutivo, sarebbe obbligato di sottomettere le grandi misure, se posso parlar così, alla legislazione dell’esecuzione: questa grande magistratura sarebbe il vero gran consiglio della nazione: esso avrebbe tutta la parte dell’amministrazione e dell’esecuzione, ch’è per la nostra costituzione confidata al potere legislativo. Con questo mezzo il potere del governo consisterebbe in due Magistrature, nominate dal popolo; in una numerosissima, nella quale non potrebbero esser ammessi che quelli i quali avessero di già esercitata qualcheduna di quelle funzioni le quali danno agli uomini della maturità sopra gli oggetti del Governo. Il potere legislativo farebbe tutte le leggi organiche, le cambierebbe, ma non in due, o tre giorni come si fa, perchè una volta che una legge organica fosse in esecuzione, io credo che non si potrebbe cambiare prima di quattro o cinque mesi di discussione.
Questo potere legislativo, senza rango nella Repubblica, impassibile, senz’occhi, e senza orecchie per tutto ciò che lo circonda, non avrebbe ambizione, e non c’inonderebbe più di mille leggi di circostanza, che si annullano da sè sole per la loro assurdità, e che fan di noi un popolo senza legislazione con trecento volumi in foglio di leggi. Ecco, come io credo, un codice completo di politica, che le circostanze, nelle quali noi ci siam trovati, rendono perdonabile. È una grandissima sventura per una nazione di trenta milioni di abitanti, e nel secolo decimottavo, essere obbligata di ricorrere alle bajonette per salvare la patria! I rimedj violenti accusano il legislatore; perchè una costituzione ch’è data agli uomini dev’esser fatta per gli uomini.
Se vedrete Sieyes, vi prego a comunicargli questa lettera. Io lo sfido a scrivermi che ho torto; e siate persuaso che mi darete un sensibile piacere se potete contribuire a far venire in Italia un uomo, i di cui talenti io stimo, e pel quale ho un amicizia veramente particolare. Io lo seconderò con tutti i miei mezzi, e desidero che riunendo i nostri sforzi ci fosse possibile di dare all’Italia una costituzione analoga ai costumi de’ suoi abitanti, alle circostanze locali, e forse anche a’ veri principj, più di quella che le abbiam già data. Per non fare una novità nel mezzo del tumulto della guerra, e delle passioni, è stato difficile di fare altrimenti.
Ecco il riassunto de’ miei pensieri. Non solo vi rispondo confidenzialmente che desidero che Sieyes venga in Italia, ma penso ancora, e ciò officialissimamente, che se non daremo a Genova, e alla Repubblica cisalpina una costituzione che loro convenga, la Francia non ne tirerà alcun vantaggio: i di loro Corpi legislativi comprati con l’oro dei forestieri, saranno intieramente alla disposizione della Casa di Austria, e di Roma. Avverrà di esse, in ultima analisi, ciò ch’è avvenuto dell’Olanda. Siccome la presente lettera non contiene oggetti di tattica, nè piani di Campagna, vi prego di serbarla per voi e per Sieyes, e di non farne uso, se lo credete a proposito, se non per tutto ciò che vi ho detto su l’inconveniente delle costituzioni che abbiam date all’Italia. Voi vedrete, cittadino Ministro, in questa lettera la confidenza illimitata che ho in voi, ed una risposta all’ultima vostra. Vi saluto.