Supplemento alla Storia d'Italia/LVII

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LVII - Cacault manifesta a Bonaparte l'ostinazione della Corte di Roma, e parla dell'alleanza di essa colla corte di Napoli, e delle operazioni militari che par abbiano in mente di eseguire

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LVII - Cacault manifesta a Bonaparte l'ostinazione della Corte di Roma, e parla dell'alleanza di essa colla corte di Napoli, e delle operazioni militari che par abbiano in mente di eseguire
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Roma, li 19 vendemmiale anno 5 (10 Ottobre 1796)


LVII - Al General Bonaparte.


Io agisco nel senso che mi avete indicato. Il nipote del Papa, il più interessato perchè Sua Santità ottenga la pace, e che si era impiegato per calmare suo Zio, è grande amico di Gnudi, che firmò il trattato di tregua. Ho voluto servirmi di Gnudi per fare intendere che non si doveva riguardare come disperato un accomodamento; ma Gnudi ha risposto che anco il Nipote del Papa aveva le stesse idee degli altri, e che non gioverebbe il parlarci. Io ho preso col Cardinal Segretario di Stato tutti i giri possibili per insinuare la verità [p. 99 modifica]palpabile, che Roma si dà in braccio ai suoi nemici naturali, che prende il partito peggiore di appoggiarsi ad una debole alleanza contro la Francia, natural protettrice dell’independenza del suo territorio, e contro la Spagna sola potenza che le sia amica.

Il linguaggio della ragione, e della sana politica non solamente non fa alcuna impressione, ma han deciso di non volere ascoltare neppure una parola, e ne hanno la medesima avversione, che gl’idropi all’acqua. Il terrore, la paura, il timore sono dissipati. Ognuno è persuaso che le armi romane-napolitane non solo si difenderanno, ma che riprenderanno con esse Ferrara, e Bologna. Si conta ancora molto sull’Imperatore, cui hanno mandato Monsignore Albani, partito questa mattina per andarsi ad imbarcare a Rimini per Trieste. Vi mando qui acclusa la lista stampata dei doni gratuiti per la guerra, che incominciano qui del medesimo gusto che a Napoli. Questi popoli che non sanno che cosa è la guerra, nè ciò che vi bisogna per farla, sono abbacinati ed infiammati d’inezie. Gli uomini di buon senso si nascondono onde non essere carcerati, e molestati come giacobini: così è necessario che la malattia abbia il suo corso. Si crede qui d’avere il segreto dell’odio del Direttorio per Roma nel trattato proposto, e che ciò che noi diciamo per calmare non sia che una cosa convenuta. Ciò che adesso si concederebbe, sarebbe riguardato come strappato alla debolezza, e come l’effetto del coraggio e della resistenza manifestata. Se noi diamo a tali persone dei vantaggi, le loro pretensioni si aumenteranno: e diverranno intrattabili.

Non si effettuerà certamente la minima condizione della tregua, se il Direttorio non abbia concordato un trattato definitivo di pace a loro arbitrio. Voi vedete come siamo spostati, e che sarebbe ora necessaria la pace coll’Imperatore, e la presa di Mantova per ricondurre alla ragione teste sì vive, senza lumi, e sì follemente esaltate. Non è da dubitarsi che tutte le condizioni dell’alleanza fra Roma, e Napoli non siano convenute ed accordate, e che non vi siano i progetti di far passare un’armata per la Romagna nel Ferrarese. Il piano dei [p. 100 modifica]nostri nemici è sempre stato come io ho avuto l’onore di significarvelo a Castiglione, che il Re di Napoli vi faccia passare 30,000 uomini. Vi sarà ancora un’altra armata destinata a coprire la campagna romana dalla parte del Mediterraneo, e ad intraprendere di concerto con gl’Inglesi, l’attacco di Livorno. Io vi mando qui incluso uno stato, tale quale si è pubblicato, del cordone delle truppe napoletane situate alla frontiera. Il numero n’è esagerato, che deve essere di circa 60,000 uomini, ma indica molto bene il sito, e la distribuzione. Vi mando ancora la nota di un Danese che viene di Napoli, la quale è vera, e giudiziosa. Ho luogo di credere, senza esserne perfettamente certo, che il trattato di alleanza fra Roma, e Napoli non solamente è stato convenuto, ma ancora firmato. Il Marchese del Vasto ha certamente detto ad una persona degna di fede (da cui lo so) che il corriere che è passato di qui, son già quattro giorni, venendo da Napoli per ritornare a Parigi, porta al Principe di Belmonte l’ordine della sua Corte di notificare al Direttorio Esecutivo di firmare dentro lo spazio di ventiquattro ore il trattato di pace con Napoli tale quale questa Corte lo domanda, comprendendovi ancora il Papa, a cui si dovrebbe restituire tutto ciò che gli è stato usurpato, senza di che il Pr. Di Belmonte dovrebbe ritirarsi da Parigi, e la tregua resterebbe rotta. Nel caso in cui il Direttorio accettasse il suddetto trattato, la Corte di Roma, e quella di Napoli s’impegnano a osservare la più perfetta neutralità, durante questa guerra. Una tale insolenza non mi sorprenderebbe. Se Acton sottoscrivesse un trattato duro, ed umiliante non potrebbe più conservare il suo ascendente a Napoli. In questa guisa egli sostiene i suoi padroni, coll’attrattiva dell’illusione, ed allontana di tanto più la sua disgrazia. Egli non azzarda che il Reame, di cui poco si cura, e lo Stato Ecclesiastico. Se la vostra armata lo sottomette fuggirà in Inghilterra che gli sarà sempre grata d’aver prolungato la resistenza.

O si è affatto pazzi nell’Italia inferiore; o questa fierezza ha delle speranze dalla parte di Alemagna, o si appoggia a dei complotti nell’interno, che io non posso [p. 101 modifica] indovinare. Intorno a me ogni cosa è fuori del suo stato naturale in una maniera incredibile. Gl’Inviati di Francia, e di Spagna, sono sfuggiti, ed evitati, come se avessero la peste. Io posso essere abbandonato, ma non avvilito. Fo partire un uomo intelligente, per andare ad informarsi (percorrendo l’estremità dello stato ecclesiastico dalla parte del Regno di Napoli) delle nuove, che possono aversi dell’armata di Serse. Vi prego Generale, di aggradire la protesta del mio attaccamento.

Cacault.