Tradizioni popolari abruzzesi/Novelle/Prefazione (parte prima)

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Novelle - Parte prima - Prefazione

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PREFAZIONE


Il subsiste et surnage encore autour de nous des débris du plus ancien langage, des pensées, de l’imagination et des croyances d’autrefois... Le mythe divin devien une legende heroïque, et la legende heroïque palit et se change en conte d’enfant. On a dit avec une piquante justesse des contes d’enfant qu’ils étaient le patois moderne de l’ancienne mytholofie sacrée de la race aryenne — Max Müller, Mythol. comp. (trad. par G. Perrot), pagg. 236-304.

Le nostre fiabe sono documento della parentela tra le razze indo-europee e tra’ diversi rampolli di codeste razze; documento che tanti secoli, tanti popoli e tante generazioni non hanno finora distrutto od attenuato, ma che anzi il volgere de’ tempi ha reso più solido e più duraturo. Fatto mirabile codesto nella storia dell’umanità, che mentre popoli e nazioni [p. ii modifica]intere sono quasi del tutto scomparsi, e nuove nazioni e nuovi popoli son cresciuti alla civiltà, e le fredde ali del tempo hanno perduta persino la memoria delle geste più clamorose, queste novelline infantili vivono a testimoniare un’antichità fuor di ogni calcolo remota — G. Pitrè, Biblioteca delle tradiz. popol. sicil. Vol. IV, pag. LXIX.

...La plus ancienne des litteratures. celle de l’Inde, n’est qu’une mythologie très-savante, un foumillement d’astres lointains qui brillèrent avant les siècles connus dans la profondeur de la nuit. Les étoiles sont tombèes et se sont éparpillées en étincelles, en poussière d’or qui luit encore aujourd’hui dans l’imagination de tous les peuples. Les contes de nourrice viennent de là et se sont maintenus jusqu’à présent chez les naïfs et les illettrés des pays incultes. On fait bien de les recueillir avant qu’ils s’évaporent tout — à — fait à cette lumiére égale et triste qui s’appelle le bon sens ou la raison — Marc Monnier, Les contes populaires en Italie, pag. 373.

Però, bisogna riguardarsi di cercare, e naturalmente di trovare, come fu fatto troppo volentieri da’ mitologi tedeschi, in ogni novella un’allegoria sfigurata e di origine pagana — R. Köhler, apud Pitrè, Op. cit., pag. CV, nota.

Quantunque sia cosa evidentissima, che ne’ racconti e nelle leggende popolari molto di frequente si celano tracce e trasformazioni di miti primitivi, assurdo sarebbe il voler ritenere che ciò valga egualmente per tutti i racconti favolosi — Comparetti, apud Pitrè, Op. cit., pag. CV.

Lettore, dopo letti i testi che precedono, fa conto che la prefazione sia finita. Non ho da aggiungere che alcune [p. iii modifica]informazioni, ed a far quattro chiacchiere con coloro ai quali piace trattenersi alle porte.

Le novelle popolari abruzzesi, giá promesse1, di cui comincio la pubblicazione, sono state, meno alcune, che indico al proprio luogo, da me trascritte dalla viva voce di donne per lo più campagnuole ed analfabete; che, alla lor volta, l’avevano dalle loro mamme o dalle nonne.

Ne’ diversi Comuni, esse, con lievi differenze, sono chiamate Cunde, Fatte, Stòrije, Fávele, Favulétte, sia che si tratti di Fiabe, sia che di Novelle o di Racconti. Per questo, a non tener ragione della sinonimia volgare inesatta, abbraccio le diverse forme di racconto col nome univoco di Novelle.

La Raccolta sarebbe stata assai più ristretta se gl’illustri R. KOEHLER e G. PITRÈ — a’ quali con reverente animo dedico il lavoro — non mi avessero consigliato a farla copiosa abbastanza da poter servire agli studi di mitologia comparata, non meno che a quello delle varie parlate comprese nel giro del dialetto abruzzese.

In questa prima Parte, tanto per formare un nucleo, e per agevolare le ulteriori ricerche, il materiale tradizionale è preponderante. Nella seconda invece, sarà abbracciato il maggior numero delle principali forme dialettali.

Da’ documenti che produco vedranno i mitografi se nella nostra Regione la fantasia popolare abbia elaborato [p. iv modifica]in maniera particolare e spiccata i miti antichi classici. Ad ogni modo, anche il sapere che e quanto in ciò abbiamo di comune con le altre popolazioni della Penisola, è sapere qualche cosa.

La presente apre una serie pubblicazioni intorno alle nostre tradizioni popolari. Già nel Vocabolario — chi nella parola non vede quasi un mucchio di fronde spiccate dall’albero e vizze — gran parte si può scoprire di quello che l’abruzzese ha nella mente e nel cuore: il genio conservatre, il senno pratico, gli affetti, le memorie, i pregiudizi; poichè al pari delle condizioni fisiologiche, le quali determinano le modalità fonetiche, riflesso fedele dell’indole e delle attitudini intellettive è la parole. Tuttavia, anche una trattazione speciale, per quanto vasta, rimane sempre impotente a mettere in luce tutto quello che è inedito nella testa (che par vuota) del volgo: vera biblioteca ambulante, in cui sono stratificate, e spesso stranamente accozzate, le memorie di tutti i tempi, da’ più remoti.

Alle Leggende in versi ed a’ Canti (che formeranno altre parti della Raccolta) fo precedere le Novelle, per seguire nella esposizione de’ documenti, che rivelano il nostro genio popolare, un ordine conforme a natura. Credo infatti che la Novella corrisponda al momento infantile, irriflesso nella evoluzione dello spirito. Anche allora che non è se non la espressione volgare di un mito divino, essa ritrae la mobilità e la vivacità ingenua e capricciosa dell’animo, che, inconscio di sè, si slancia e, quasi è a [p. v modifica]dire, si sparpaglia nella realtà del mondo esteriore; il quale assai più vago, misterioso e

vasto
Al fanciullin che non al savio appare.

Il Canto invece è manifestazione di vita più matura e interiore: parola di quanto c’è di più intimo nella vita del sentimento.

Il nostro popolo crede a quello che racconta? — Se gli si domanda, risponde: Eh, si racconta! E ciò dice con una cert’aria tra scettica e dispettosa, che vuol significare: Saranno panzane; ma che male ci è a correre un po’ il mondo incantevole de’ fantasmi? La vita ordinaria non è povera abbastanza perchè sia lecito darsi il lusso, di quando in quando, specie in solenni occasioni, e tra liete brigate, di una imbandigione di cui la fantasia fa a larga mano le spese? Non si è forse già sognato e cantato di un antico secolo d’oro? — E in queste epopee embrionali, che sono le Novelle, il nostro popolo si compiace. Le tradizioni poetiche di ogni forma, quali che siano le correnti che ce l’abbiano portate, non potevano trovar chiuso l’animo dell’abitatore di una contrada non lontana dalla terre che udì il vagito delle muse italiche. Nè sembra che per la vitalità di siffatto genere di componimento ci sia da temer molto, o quanto meno prossimamente dagli effetti della istruzione obbligatoria. (Lo Engel partecipa, in ciò, i timori del Monnier. Ved. Magazin für die Liter. des Auslandes, 1880, pag. 475). Già, fanciulli avidi di sentire, e nonne e nutrici non meno avide di raccontare [p. vi modifica]novelle, non mancheranno mai. Poi, come allo stesso uomo colto del secolo presente le creazioni bizzarre dell’Ariosto e del Cervantes recano tutt’altro che disgusto, il fantastico e il meraviglioso saranno sempre il desiderio del volgo delle campagne: di quella gran parte del nostro popolo, a cui un modesto elevamento del grado di coltura non toglierà mai affatto dall’animo l’istintivo bisogno di allietare col miraggio della fantasia la realtà seria e monotona della vita. Infine, se il La Fontaine diceva: Si Peau-d’Ane m’était conté, j’en aurais un plaisir extrême, ciò è perchè all’oriente beato della vita, alla fanciullezza, anche il pensiero adulto è sempre lieto di rivolgersi; come l’istinto popolare a quell’oriente storico da cui sursero prima le fantasie che tuttora lo dilettano.

Comunque di ciò sia, principale mio scopo è di offrire un altro contributo agli studi di dialettologia patria. Si crederà che non era facilissima impresa; ed io penso di essere riuscito solo per approssimazione. Quando non si porta sulla lingua la parlata che si trascrive, molte sfumature delle varietà sottodialettali possono sfuggire, se il narratore si allontana (e si allontana sovente) dalle particolarità fonetiche del suo idioma, e chi trascrive non è cauto a fare dei riscontri2. Inoltre, si sa, quanto più il narratore è idiota, tanto meno riesce a persuadersi come [p. vii modifica]un uomo serio possa aver voglia di stare a sentire e di mettere in carta le sue novelle; e, quasi per pia condiscendenza, dopo molte smorfie, dice il fatto suo, non come ad un fanciullo o ad un pari suo lo direbbe, ma elevando a suo modo lo stile, abborracciando, e come va parlando ad uomo cui vuol mostrare gentilmente di non ritenere rimbambito o affatto perduto di cervello. Il che è a scapito della naturalezza e della vivacità della forma. Ma io non ho lisciato nè raffazzonato nulla. Presento studi dal vero.

A chi ha scorso il Vocabolario (e apparrà ancora meglio dalle Novelle) non possono essere sfuggite queste due note de’ nostri vernacoli: molti punti di affinità coi tipi originali, latini, nonchè con l’italiano arcaico; e mollezza di pronunzia, tuttochè. nel suono delle vocali toniche, spesso fedele al latino anche più dell’italiano letterario. L’abruzzese, che ha sempre avuto, ed ha, braccia assai robuste (Cicerone, Livio, Strabone, Plinio, lo chiamarono fortissimo; e i romani istessi, nella Guerra sociale, lo provarono), ha lingua pigra, indolente, schiva de’nessi ardui. Nella sua bocca, l’onda vocale batte, di regola, le linee meno faticose; talchè la incidenza è sempre su’ punti meno alti, più prossimi, e in generale più facili. Così, p. e., á facilmente piega ad e; ovvero, dopo aver battuto in e, torna ad a, quasi per onda di riflusso; e formasi dittongo disteso, in cui e fa da prepositiva. In bocca all’ortonese, ó piega ad u, e senti Ortuna ecc. E ciò senza dire dell’affievolimento delle protoniche, delle postoniche e delle finali; della costante remozione dell’iato in tutti [p. viii modifica]i modi; del gioco delle liquide sulle tenui, e così via.

Quanto a modalità di vocalizzazione, da quel poco che finora ne ho esplorato, parmi che con sufficiente esattezza la nostra Regione si potrebbe dividere in tre zone, nelle quali le varietà principali si raggruppano: a) Vallata del Sangro: b) Vallata della Pescara: c) Zona montuosa. Nella prima, abbondanza di dittonghi, da non aver riscontro se non col greco antico.

Una figura schematica, nella quale la linea orizzontale rappresenti la lingua, e la curva la volta del cavo orale, da sinistra a destra, può aiutare ad intenderlo.

a = ea - ua.
e = ai - ei - ie - ae - ue.
i = ai - ei - oi3 - ui.
o = au - uo - ou - eu.
u = eu - iu.
Nella seconda, i dittonghi sono per lo più contratti o raccolti.

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Gessopalena

Chieti Teramo
Juorne (giorno) Jòrne Jurne
Uocchie (occhio) Ucchie Ucchie
Puoche (pochi) Puche Puche
Muore (tu muori) Mure Mure
’N gjìele (in cielo) ’N géle ’N gile
Pjìede (i piedi) Pide Pite
Pjìenże (tu pensi) Pinże Pinże
Vàire (vero) Vére Váre
Cannáile (candela) Cannéle Cannále
Tenáime (noi teniamo) Tenéme Tenáme
N.B. Nel terzo esempio è però dubbio che l’a del teramano stia pel nostro ai, per la tendenza di quella parlata a mutare l’e in a: Asse, Quaste, Qualle, Dandre, Putare, Permasse, Frangiase: Esso, Questo, Quello, Dentro ec.

Nella terza, è notevole la conservazione de’ nessi latini pl, fl, generalmente mutati nell’italiano comune in pi, fi. Essa poi raccoglie nel versante adriatico le particolarità vocali delle zone adjacenti, che perde man mano nell’altro versante, per divenire via via un subdialetto romano.

Del suono delle toniche ne’ diversi Comuni da’ quali ho tratto le Novelle, fo qualche accenno ne’ rispettivi luoghi, solo per rimarcare le più speciali proprietà idiomatiche. Però, a non farla continuamente da turcimanno, per più minute informazioni, rimando i lettori non abruzzesi a ciò che intorno alla nostra fonetica ho esposto nel Vocabolario (pagg. i - 29).

Dirò infine di aver notato de’ riscontri tra le nostre [p. x modifica]e le Novelle di alcune Raccolte che ho avuto tra mano.

Laura Gonzenbach, Sicilianische Märchen aus dem Volksmund gesammelt. Mit Anmerkungen Reinhold Köhler’s und einer Einleitung herausgegeben von Otto Hartwig — Leipzig, W. Engelmann, 1870.

V. Imbriani, La Novellaja fiorentina. Fiabe e novelline stenografate in Firenze dal dettato popolare. Ristampa accresciuta di molte novelle inedite, di numerosi riscontri e di note, nelle quali è accolta integralmente La Novellaja milanese dello stesso raccoglitore — Livorno, F. Vigo, 1877. XII Conti pomiglianesi — Napoli, Detken, 1876.

Carolina Coronedi-Berti, Novelle popolari bolognesi — Bologna, Fava e Garagnani, 1874.

G. Pitrè, Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, Voll. IV-VII., Fiabe, Novelle e Racconti raccolti ed illustrati — Palermo, Pedone-Lauriel, 1875.
Cinque novelline popolari siciliane. (Per le nozze Salomone Marino-Abate) — Palermo, P. Montaina, 1878.

D. G. Bernoni, Tradizioni popolari veneziani, Puntate 1-4 — Venezia, Tipografia Antonelli, 1875.

D. Comparetti, Novelline popolari italiane — Torino, E. Loescher, 1879.

A. Gianandrea, Novelline e fiabe popolari marchegiane. Puntata 1.a — Jesi, Tipogr. Fratelli Ruzzini, 1878.

I. Visentini, Fiabe mantovane — Torino, Loescher, 1879.

G. Nerucci, Sessanta novelle popolari montalesi (Circondario di Pistoja) — Firenze, Succ. Lemonnier, 1880.
Cincelle da bambini — Pistoja, Tipogr. Rossetti, 1881.

W. Kaden, Unter den Olivenbäumen. Süditalische Volksmärchen — Leipzig, F. A. Brokhaus, 1880.4

[p. xi modifica] M. Monnier, Les Contes populaires en Italie — Paris, G. Charpentier, 1880.

S. Salomone-Marino, Leggende popolari siciliane in poesia — Palermo, L. Pedone — Lauriel, 1881.

Rivista di Letteratura popolare, diretta da G. Pitrè e F. Sabatini, Vol. I., — Roma, E. Loescher, 1877-79.

Ma, si noti bene, ciò non è pe’ mitografi, nè per fare della erudizione facile; bensì solo per mostrare alcuni punti di contatto fra le tradizioni popolari nostre e quelle di altre popolazioni italiane, nonchè per rimandare alle fonti della erudizione dotta qualche lettore che ne fosse vago.

Lanciano, 3 Giugno, 1881.



Note

  1. Vocab. dell’uso abruzzese, pag. 265.
  2. Ciò senza dire della ricca varietà delle forme, viva e corrente nella stessa parlata. Per es: (Levare), Levò = Levá, Luuá; Levètte, Luuètte; Levì, Luuì: (Restare), Restiamo = Restáme, restéme, restàime, ecc. Ad ogni mood, la lingua di queste Novelle si può ritenere come appartenente allo strato idiomatico più volgare.
  3. Nella vallata del Sangro, questo dittongo, che io sappia, si sente ne’ Comuni di Torricellapeligna, Borrello, Bomba, Roccascalegna, Archi e Fossacesia; e riappare in Tocco a Casauria, sulla Pescara.
  4. Avevo già notato la perfetta somiglianza tra le Novelle del Kaden e molte delle giá pubblicate dal Pitrè, dall’Imbriani e dal Comparetti; tanto che, a’ luoghi rispettivi, avevo citato in parentesi, accanto alle Novelle italiane da me richiamate, quelle del Kaden. Ora, nelle Nuove Effemeridi Siciliane (Vol. XI, 1881), è dimostrato ad evidenza, che delle 44 Novelle pubblicate dal Kaden, 3 sono napolitane di Pomigliano d’Arco (Imbriani), 6 di Basilicata ecc. (Comparetti), e 34 siciliane (Pitrè). Ivi stesso è detto che il plagio fu dichiarato dal Literarisches Centralblatt für Deutschland di Lipsia, 5 Marzo 1881, pag. 337. Quindi è che, solo per un pro memoria, lascio in parentesi le citazioni del Kaden.