Tragedie, inni sacri e odi/Odi

Da Wikisource.
Odi

../Inni sacri/Appendice ../Odi/Il Cinque maggio IncludiIntestazione 3 gennaio 2022 75% Da definire

Inni sacri - Appendice Odi - Il Cinque maggio
[p. 343 modifica]

ODI


[p. 344 modifica]

La prima edizione a stampa del Cinque maggio non fu fatta dal poeta, ma comparve, non senza mende e inesattezze (perfino nel frontespizio!), a Lugano, sulla fine del 1822, con la versione latina di Erifante Eritense (al secolo Pietro Soletti di Oderzo). Il traduttore vi premise, amputandola della frase ch’io chiudo tra parentesi, la seguente letterina ricevuta dal Manzoni, con la data di Milano, 20 giugno 1822 (l’autografo ne è ora alla Marciana; cfr. Carteggio di A. M., II, 35-6):

«Chiarissimo signore, Le debbo doppj ringraziamenti, e pel pensiero ch’Ella ha avuto d’abbellire in versi latini quella mia ode, e per la gentilezza con la quale le è piaciuto di comunicarmi la sua bella versione. La prego di gradire le mie sincere congratulazioni; o queste le sieno in vece di quella sentenza che troppo modestamente Ella domanda, e ch’io non son certamente in grado di proferire. Non posso che esprimerle il sentimento da me provato alla replicata lettura della sua composizione; questo sentimento è stato il diletto che fanno nascere i bei versi. La copia dell’ode da Lei comunicatami differisce dal testo in qualche piccola cosa. Le noto qui sotto le poche differenze por obbedirla, non già perchè Ella cangi nulla alla versione, la quale sta pur bene com’è. Rimango pieno di riconoscenza per l’onore ch’Ella m’ha fatto, e col più sincero ossequio,

Suo umiliss. devot. servitore
Alessandro Manzoni».


«St. 4: S’erge commosso — Sorge or commosso.
St. 7: Ferve — Servo.
St. 10: Ei sparve — E sparve.
St. 14: E ricordò — E ripensò».

Contemporaneamente, e forse solo qualche giorno prima, dell’Ode fu pubblicata la traduzione tedesca del Goethe, nel vol. IV, fasc. 19, p. 182, della rivista Ueber Kunst und Altertum, 1822. Al Goethe l’Ode era stata mandata dal duca di Weimar il 12 gennaio 1822; e il 14 o 15 ei l’aveva già bell’e tradotta. Degno di nota è che il sommo poeta tedesco lesse e tradusse, nella str. E ripensò...., percorse valli (durchwimmelte Thäler) invece di percossi valli. Questa traduzione egli recitò alla Corte di Weimar l’8 agosto 1822. (Cfr. nella Cultura del Bonghi, fasc. del 1º febbraio 1883, una lettera di H. Simon di Berlino; e una noterella di E. Benvenuti, nel Marzocco del 19 febbraio 1911). [p. 345 modifica]

Il consigliere Grüner narra in una sua lettera d’aver sentito leggere dal Goethe il testo dell’ode manzoniana. Il gran poeta, egli scrive, «era quasi trasfigurato e commosso, i suoi occhi mandavano scintille, la precisa accentazione di ogni parola e insieme l’espressione m’incantavano; e quando ebbe finito, ci fu un momento di pausa. Ci guardammo a vicenda, e leggemmo il nostro entusiasmo l’uno negli occhi dell’altro. Non è vero, riprese Goethe, non è vero che Manzoni è un gran poeta? Io vorrei, gli risposi, che Manzoni fosse stato presente a questa declamazione: egli avrebbe avuto un ampio compenso dell’opera sua». (Cfr. L. Senigaglia, Relazioni di Goethe e di Manzoni, nella Rivista contemporanea, Firenze, 1888). — La sera del 15 luglio 1827, il vecchio poeta mostrò all’amico Eckermann il Romanzo manzoniano allora allora giuntogli, in tre volumi, assai ben rilegati e con una dedica a lui. «Di Manzoni non conosco nulla», osservò l’assiduo visitatore, «se non l’ode su Napoleone, che ho riletto in questi giorni nella Sua traduzione, e grandemente ammirata. Ogni strofa è un quadro». E il Goethe: «Lei ha ragione: l’ode è eccellente. Ma trova lei che in Germania uno solo ne abbia parlato? È perfettamente come se quell’ode non esistesse! Eppure è la più bella poesia che sia stata composta su quell’argomento».

Annota il Bonghi (Op. ined. o rare, I, 15-16): «Certo che il Manzoni non la pubblicò lui. Dopo averla scritta, la mandò alla Censura per ottenerne licenza, e questa gliela negò. Ma egli, come raccontava, aveva usato un piccolo sotterfugio: alle Censura ne aveva mandato due copie, facendo conto che qualcuno degl’impiegati di polizia n’avrebbe trafugata una, e così la poesia si sarebbe divulgata. Il che appunto accadde, e sin dal giorno dopo tutta Milano la leggeva, senza che all’autore se ne potesse far colpa». Cfr. la nota di G. Sforza è p. 225 del vol. I dell’Epistolario di A. M., Milano, 1882. — Dalle Carte segrete della polizia austriaca (II, 317) si apprende come, ancora nel 1823, «la polizia di Vicenza avvertisse essersi sparsa un’ode in morte di Napoleone, della quale sospettavasi autore un tal Manzoni di Verona, mentre poi un poliziotto letterato, il Lancetti, ne asseriva autore il Monti!». Cfr. D’ancona, Poesie di A.M., Firenze, Barbèra, 1892, p. 88. Che l’Ode fosse subito largamente diffusa manoscritta, e favorevolmente accolta, lo provano due letterine del poeta all’amico Giambattista Pagani, in Brescia. Nella prima, del 6 ottobre 1821 (Carteggio, I, 531), gli dice: «.... non mi duole troppo di essere disobbligato dal darti le interpretazioni che mi accenni..., giacchè inclino a credere che se a quei passi, pei quali tu brami rischiarimento, vien dato da altri un senso diverso da quello dell’autore, i passi stessi e l’ode non ponno che starne meglio. Cercando io le ragioni dello strano incontro di quel componimento, ne trovo due potentissime, nell’argomento e nell’inedito: forse una terza è una certa oscurità, viziosa per sè, ma che ha potuto dar luogo a far supporre pensieri alti e reconditi dove non era che difetto di perspicuità. Quanto alla copia ricorretta che mi chiedi, devo con sommo dispiacere negare a me stesso il bene di farti cosa grata [p. 346 modifica]poichè, essendo l’ode stata rifiutata dalle censura, io mi sono proposto di non darne copia; e già ho dovuto negarla ad amici e a congiunti strettissimi». — Nella seconda, del 15 novembre ’21 (Carteggio, I, 551), soggiungo: «.... Veramente, dopo un sì lungo intervallo, le correzioni e le interpretazioni d’un componimento, che debb’essere ormai dimenticato, possono parere incenso ai morti, e far ridere di chi le dà; ma ad ogni modo io stimo che il meglio sia obbedire all’amico quando si può. — Nelle lezioni in cui tu hai trovato varietà, ecco dunque le mie: Stette la spoglia immemoreVergin di servo encomioPiù vasta ormaServe pensandoProde rimoteE il lmapo de’ manipoliChe più superba altezza. Veggio che più vasta orma è espressione viziosa, poichè manca il termine comparativo, ed il senso non è perfettamente chiaro. Sì vasta sarebbe più grammaticale, ma sarebbe ancor più lungi dal senso che ho voluto e non saputo esprimere. Il disonor del Golgota è imitato dall’improperium Christi e dall’altro, stultitiam crucis, di S. Paolo [Hebr. XI, 26; I Cor. I, 18]; i grandi predicatori francesi gettano più d’una volta nei loro discorsi l’opprobre de la Croix, senz’altro temperamento, perchè s’intende che è disonore, obbrobrio, improperio a.gli occhi del mondo».

Riproduco il testo dell’edizione autentica delle Opere varie, 1845, ponendo a piè di pagina le varianti dell’edizione goethiana di Jena 1827. Per gli emendamenti e per tutto il resto, cfr. D’Ovidio, Discussioni manzoniane, p. 198 ss.; e Nuovi studi Manzoniani, Milano, Hoepli, 1908, p. 331 ss.


L’ode Marzo 1821 e il frammento Il proclama di Rimini furono la prima volta stampati in un opuscoletto di 15 pagine, a Milano, tipografia di Giuseppe Redaelli, nel 1848, col titolo: Pochi versi | inediti | di Alessandro Manzoni. Dietro la pagina di frontespizio è questa avvertenza: «Edizione messa sotto la tutela delle veglianti leggi e convenzioni, e che si vende una lira italiana, in favore dei profughi veneti, per cura della Commission Governativa delle offerte per la causa nazionale. — NB. Si riterranno contraffatte tutte le copie che non portassero il marchio della Commissione suddetta». Difatto, sul frontespizio della copia che possiedo, è impresso un cerchio, convdentro scrittovi: Gov.º Provv.º | Commissione | delle offerte. — In quel medesimo anno fortunoso, furon di quei versi fatte altre tre edizioni, & Milano «luglio 1848», a Venezia è a Livorno. — Di poi, nel 1860, il Manzoni li fece ristampare coi tipi e nel sesto dell’edizione delle Opere varie del 1845, continuando la numerazione di queste, e ripetendone, completato, l’indice. Nella copia che ho tra mani, essi fanno corpo col resto, senza che appaia traccia visibile del diverso anno della stampa.

Riproduco quest’ultimo testo, riscontrandolo con quello dell’opuscoletto del 1848, quasi in tutto identico.