Trattato de' governi/Libro quarto/II

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Libro quarto
Capitolo II:
Se la felicità d'un solo, e della città è la medesima

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Aristotele - Trattato de' governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro quarto
Capitolo II:
Se la felicità d'un solo, e della città è la medesima
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[p. 145 modifica]Restaci a vedere, se e’ si debba por la medesima felicità in un solo uomo che nella città o no. Ma tale dubbio è chiarito, che ogni uomo confessa che ella è la medesima, imperocchè chiunche vuole che un particolare sia felice per essere ricco, il medesimo vuole che la città intera sia beata, quando ella è ricca. E chi pregia come beata la vita tirannica, costui medesimamente terrà per beatissima quella città, che signoreggerà a più popoli. E se e’ fia chi voglia dire felice un solo uomo, se egli arà virtù, il medesimo dirà felice la città s’ella sarà virtuosa.

Ma due cose qui caggiono in considerazione. Una è, se più si debbe eleggere la vita civile, e comunicante [p. 146 modifica]con gli altri, o piuttosto la solitaria, e la disgiunta della civile compagnia. Oltra di questo che modo di governo si dovesse fare, e qual s’avesse a chiamare disposizione ottima d’una città, posto che ogni uomo, o la più parte, se non tutti, confessassino per miglior vita quella, che conversa con gli altri nella città. Ma perchè tal considerazione s’appartiene all’uomo civile, e non quella, che considera dei particolari, ed io al presente altro non vo cercando, perchè quello sarebbe fuori di proposito, e questo è conveniente alla dottrina proposto, però dico che republica ottima fia quella senza alcun dubbio, mediante gli ordini della quale ciascuno vi viverà felicemente, e porteravvisi bene. Ma e’ si dubita da chi mette la vita desiderabilissima essere quella, che è mediante la virtù, se la vita dell’uomo civile, e attiva sia più desiderabile di quella che è separata da tutte le cose esterne: e che si chiama contemplativa, e che sola è stimata degna da filosofi. Che e’ pare quasi, che queste due vite sieno state elette sempre, e nei passati, e nei presenti tempi da quegli, che ardentemente aspirano alla virtù. Io chiamo queste due vite la civile e la filosofica.

E non già poco importa a sapere, dove stia la verità di tal dubbio, perchè e’ debbe l’uomo, che è prudente, indirizzare al miglior segno ciascheduno in particolare, e la republica universalmente. È chi stima che il governare, e il signoreggiare altrui, quando egli è fatto violentemente, sia accompagnato da una somma ingiustizia, ma quando egli è fatto civilmente, che e’ manchi bene d’ingiustizia, ma che e’ sia contuttociò ad impedimento al bene essere, e alla tranquillità della vita. Queste cose all’incontro certi l’intendono tutte altrimenti, ed affermano essere proprio dell’uomo la vita attiva e civile; soggiungendo li privati non poter maggiormente esercitare [p. 147 modifica]ciascuna virtù, che nel vivere civilmente e nello amministrare le faccende publiche. E così adunche costoro la intendono.

Ecci ancora chi stima solo beata vita quella d’una republica che domini alle altre tirannicamente, e appresso di certe si vede tale essere il fine delle loro leggi: cioè, ch’elle signoreggino agli altri. Onde chi raccogliesse tutte le leggi e tutti gli ordini sparsi in quelle republiche vedrebbe insomma, che s’elle risguardano cosa alcuna unicamente, che tale è il fine al dominare indiritto. Nel qual caso è l’erudizione di Sparta e di Candia che quasi tutta è indiritta alla guerra; e così tutto il numero delle loro leggi. Ancora una tale facoltà, e una tale forza di signoreggiare è onorata appresso di tutti quei popoli, che han potenze d’accrescere l’imperio: come è appresso degli Sciti e dei popoli di Tracia e Franciosi.

Imperoccchè appresso di alcuni sono leggi, che a simili virtù incitano gli uomini; come si dice in Cartagine esserne una, che adorna gli uomini di tante anella, di quante volte e’ sono stati alla guerra. E un’altra n’era in Macedonia, che chi non avesse ammazzato uno inimico, gli fusse attaccato un capestro al collo. In Scizia non poteva bere alla tazza, che si portava dattorno nei conviti da chi non aveva ammazzato il nimico. Ed in Spagna appresso agli Iberi, gente bellicosissima, tanti obelischi, e statue, si mettono al sepolcro d’un morto, quanti e’ n’ha nella guerra ammazzati. Ed altre simili usanze altrove si ritrovano, parte venute sotto le leggi, e parte venute in costume.

Ma e’ parrà forse cosa disconvenevole a volere considerare simili cose, cioè se all’uomo civile s’appartiene di vedere che modo si abbia a usare per poter dominare agli altri, e a quei che vogliono, dico, e a quei che non vogliono stare sotto il loro imperio. [p. 148 modifica]E in che modo fia mai questa cosa da uomo civile o da legislatore, che non è legittima? Perchè e’ non è cosa legittima il voler signoreggiare, non solamente con giustizia, ma ancora con ingiustizia, potendosi invero signoreggiare senza giustizia.

Ma questo non si vede essere nell’altre facoltà, conciossiachè e’ non s’appartenga nè al medico, nè al nocchiero, o persuadere, o sforzare all’uno gli infermi, e all’altro i compagni della nave. Contuttociò la più parte ha stimato, che’l dominare agli altri sia cosa civile, e quelle che nessuno contra sè confesserebbe essere giusto, nè utile, il medesimo non si vergognano d’esercitare contro ad altrui. Perchè tali vogliono l’imperio giusto a casa loro, e in casa altrui non tengono conto, come e’ si sia.

Ma egli sta pur male in tal modo, se già la natura non ha fatto questi signori, e quei servi, onde stando in tal modo la cosa, e’ non è bene sforzarsi di signoreggiare a ogni uomo, ma debbesi volere signoreggiare a chi è atto a servire; così come e’ non si debbe pigliare in caccia, per sacrificare, o per mangiare, gli uomini, ma quegli animali che a ciò sono convenienti. E convenienti a questi esercizî sono gli animali salvatici, e tutti quei, che s’usano di mangiarsi. Diasi adunche una città, che per sè stessa possa essere beata, se egli è lecito, che in alcun luogo se ne ritrovi una così fatta, che si governi rettamente, e usi leggi buone: l’indirizzamento delle quali non sia alla guerra, nè alla vittoria contra li nimici, anzi non ci sia alcuno simile ordine.

E sia ancora manifesto, che le diligenze tutte da usarsi per le guerre si debbono porre per oneste, ma non già come quelle che abbino il fine ultimo di tutte l’altre. Ma queste si debbono mettere per fine di quelle, e al buon legislatore s’appartiene considerare la città, e la stirpe degli uomini, e tutta l’altra civile compagnia, qualmente ella [p. 149 modifica]possa partecipare di vita beata, e di quella felicità, che le sia lecito di conseguire. E certamente, che e’ ci sarà differenza in constituire alcune di queste cose. E ciò sta bene di vedere al legislatore, se alcuni popoli sieno vicini; quali ordini appresso di loro esercitare si debbino, e qualmente e’ si debbino usare quei, che egli hanno infra loro stessi. Ma tal considerazione arà più disotto il suo luogo, dove si tratterà del fine, che debbe preporsi la republica ottima.