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Trattato de' governi/Libro sesto/XII

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Libro sesto
Capitolo XII:
Della republica ottima

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Aristotele - Trattato de' governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro sesto
Capitolo XII:
Della republica ottima
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[p. 236 modifica]Ma per ottima republica, e per ottima vita alla più parte delle città, e alla più parte degli uomini non si tiene, che sia quella, che abbia virtù straordinaria, o erudizione, che abbia bisogno, d’ingegno e d’aiuti di fortuna; nè quella che abbia a servire a una republica, che con preghi si possa desiderare, ma che abbia a servire a una vita atta a potere essere in molti, e a un modo di governo, che da assai città possa essere partecipato.

Perchè quegli stati detti ottimati, di chi io ho trattato, parte s’allontanano assai dal modo delle altre città, e parte s’appressano allo stato detto republica. Onde dell’uno e dell’altro modo di governo parlerò io al presente, come d’uno medesimo, e il giudizio di tutte queste cose piglisi dai medesimi principî. Che se nella Etica fu detto da me rettamente, che la vita felice era quella, che era accompagnata dalla virtù, e che era senza impedimenti, e che la virtù era mediocrità, però conviene per necessità dire, che la vita mediocre sia ottima, di quella mediocrità, dico, che da ciascuno possa essere partecipata.

E così li medesimi termini di virtù, e di fortuna è di necessità, che sieno nelle città e nelle republiche, imperocchè la republica è la vita delle città. In [p. 237 modifica]ogni città pertanto si ritrova tre parti, una cioè delli molto ricchi, un’altra delli molto poveri, e la terza è de’ mediocri. Onde essendosi conchiuso la mediocrità, e il mezzo esser l’ottima cosa, è però manifesto, che infra li possessori de’ beni di fortuna quei sono laudabili, che ne posseggono mediocremente - perchè egli è agevole, che chi gli possiede, ubbidisca alla ragione. Ma è ben difficile che faccia questo chi avanza gli altri di bellezza, di forza, di nobiltà, di ricchezza, o all’incontro chi manca troppo in povertà, in debolezza di corpo, e in infamia. Perchè li primi diventano contumeliosi, e molto cattivi in cose grandi; e li secondi fraudolenti, e in piccole cose maligni. E l’ingiurie tutte, che commettono gli uomini, parte ne sono commesse da loro per via di contumelia, e parte per via di malignità. Oltra di questo tali uomini meno di tutti gli altri sono atti ad amministrare le faccende publiche, e meno sono atti di tutti gli altri al consiglio, il mancamento delle quai due cose nelle città è molto dannoso.

Inoltre coloro, che si trovano negli eccessi di fortuna, com’è di forza, di ricchezza, d’amici, e d’altre cose simili, non vogliono stare sottoposti, e quando e’ volessino, non sanno. E questo subito apparisce nelle loro case insino da fanciulletti, che tali per la delicatezza del vivere loro non possono sopportare nelle scuole di stare sotto ai maestri. E gli altri all’incontro, che sono in troppa carestìa de’ beni di fortuna, sono miserrimi; onde avviene, ch’ei non sanno comandare, ma sono atti a stare sottoposti agli imperî signorili, e quegli non possono stare sottoposti sotto alcuna sorte d’imperio, ma vogliono comandare agli altri signorilmente.

Di qui nasce, che una tale città è un composto di signori e di servi, e non di cittadini liberi, ed è composta da una banda di cittadini invidiosi, e dall’altra di dispregiatori. Le quai [p. 238 modifica]due cose sono molto lontane dall’amicizia e civile compagnia; perchè la compagnia ha dello amicabile, conciossiachè nel viaggio con li nimici non s’usi di fare compagnia; e la città è un composto d’uomini equali, e simili il più che si può. E tale effetto avviene, dove sono li cittadini mediocri. Onde conseguita per necessità, che quella città abbia un governo ottimo, che è governata da quei cittadini, che per natura sono componenti della città, siccome io ho detto.

Ancora simili cittadini più di tutti gli altri si mantengono nelle città. E questo nasce perchè tali non desiderano quel d’altrui, come fanno li poveri, nè all’incontro da altri è desiderato il loro, siccome è dai poveri desiderato quello dei ricchi. Onde essi vivono sicuramente per non essere insidiati da altri, e per non insidiare eglino altrui. Da tale cagione mosso Focilide, desiderava alli cittadini mediocri ogni bene; volendo ancora egli essere uno di quegli.

Onde è manifesto, che la compagnia civile, che ha da essere ottima, sarà la composta dei cittadini mediocri, e che tali città saranno capaci di buon modo di vivere, dove la parte de’ mediocri sia assai, e di più valore di amendue l’altre parti, o almeno d’una delle due. Imperocchè aggiunta all’una delle parti ella farà inclinare la bilancia, e vieterà il farsi gli eccessi contrari. Onde è gran felicità d’una republica, quando chi la governa ha facultà mediocri e sufficienti. Imperocchè dove l’una parte ha troppo, e l’altra parte non ha nulla, o quivi, dico, insurge l’ultimo popolo, o lo stato insopportabile dei pochi potenti, o la tirannide cagionata dall’uno, e dall’altro eccesso. Conciossiachè ella si generi e dallo stato fanciullesco del popolo, e dallo stato dei pochi. Ma dalli mediocri, o da’ vicini alla mediocrità si fa più di rado. E la cagione ne dirò io di questo, dove sarà trattato [p. 239 modifica]da me delle mutazioni degli stati.

E qui sia manifesto, che il governo de’ cittadini mediocri è ottimo, perchè egli solo manca di sedizione, chè dove è assai dei mediocri, quivi nascono poche discordie, e pochi tumulti civili. E di qui nasce per la cagione medesima, che le città ripiene d’assai numero di cittadini sono manco alle sedizioni sottoposte, cioè perchè li mediocri vi sono assai. E nelle città piccole all’incontro è agevol cosa a dividere il tutto in due parti, di sorte che niente resti in quel mezzo, perchè quivi tutti sono li cittadini o poveri, o ricchi. E per le ragioni dette conseguita medesimamente, che gli stati popolari sono più sicuri degli stati dei pochi potenti, e sono di più vita, per la ragione, dico, delli cittadini mediocri, cioè che di tali ve n’è assai e perchè negli stati popolari e’ partecipano più degli onori, che negli stati de’ pochi. Che dove li cittadini poveri avanzano senza questi gli altri di numero, e’ vi si fa male, e tosto vi si rovina.

È da stimare segno della verità di questo mio detto il vedersi la più parte de’ legislatori buoni essere stati cittadini mediocri, che Solone fu certamente di tal fatta, e ciò apparisce nella sua Poesia; e Licurgo medesimamente, il quale non fu re, e Caronda; e la più parte quasi degli altri. È ancora manifesto per i detti nostri, onde avvenga, che li più degli stati sieno o popolari, o stati di pochi potenti, chè ciò non da altro deriva, se non dall’essere in loro poco del mezzo. Perchè l’una parte, o l’altra, che eccede (o sia questa li ricchi, o quella li poveri) la parte, che trapassa il mezzo, vuole per sè stessa il governo. Onde nasce, che e’ v’insurge, o il popolo, o li pochi potenti.

Oltra di questo per nascere sedizioni e contese infra l’uno e l’altro, cioè infra il popolo e li ricchi, a chi interviene la vittoria non piace di fare un governo comune, e equale, anzi [p. 240 modifica]per premio d’essa mettono il sopravanzare l’un l’altro nel governo. Onde questi lo fan popolare, e quei lo fan di pochi potenti. Ancora di quegli, che nella Grecia hanno tenuto il principato, l’uno e l’altro ha avuto rispetto a quello stato, che era nelle città loro. Onde questi costituirono nelle altre città stati larghi, e quegli vi constituirono stati stretti, non risguardando all’utile di quelle città, ma al loro proprio. Laonde avveniva o che non mai si costituisse uno stato, che fusse comune, o di rado e in pochi luoghi.

Chè un uomo solo infra quegli antichi, che era in principato, fu persuaso a costituire un tale ordine. E di già venne in costume per le città di non volere l’ugualità, ma o di cercare l’imperio, o di sopportarlo. E di qui adunche sia manifesto qual sia l’ottimo stato, e per che cagione ei sia tale.

E venendo a ragionar degli altri, dappoi che io ho posto darsi più sorti di popolare stato, e di pochi potenti, qual, dico, d’esso si debba mettere per primo, e quale per secondo, e nel medesimo modo qual si debba mettere per conseguente in ordine di bontà, o di malizia, dopo la determinazione dell’ottimo stato non è difficile ad essere ciò conosciuto. Perchè egli è di necessità, che migliore sia quello, che è più vicino all’ottimo, e peggiore quello che è più lontano dal mezzo; se già uno non volesse giudicare il buono per supposizione. Io intendo buono per supposizione, conciossiachè, posto che uno stato sia migliore d’un altro, niente vieta perciò, che ad alcuni non possa essere più utile quell’altro, che è manco buono.