Vai al contenuto

Trattato di architettura civile e militare I/Trattato/Libro 5/Capo 4

Da Wikisource.
Trattato - Libro 5 - Capo 4

../Capo 3 ../Capo 5 IncludiIntestazione 9 ottobre 2023 100% Da definire

Libro 5 - Capo 3 Libro 5 - Capo 5
[p. 254 modifica]

CAPO IV.

La bontà delle fortezze sta nell’artificio della pianta, anzichè nella grossezza de’ muri. Economia generale di esse.

Sono stati alcuni che per resistere alla bombarda e per più offendere gl’inimici, hanno conchiuso questo solo per la grossezza di muri1, e offesa per fianco potersi conseguire. Ma benchè per questo i muri [p. 255 modifica]alquanto più resistino, nientedimeno in qualche poco di tempo più che il consueto infine sono battuti per terra. Onde considerati gli edifizi per fortezza fabbricati in Italia massimamente2, si può dire con verità che non sia rocca o fortezza3 alcuna che per via di bombarde gittando i muri a terra, o almeno le offese non si possa espugnare e debellare, non proibendo però la fortezza del naturale sito, come saria qualche asperrimo monte elevato o perpendicolare, intorno espedito, dove la natura più presto che l’arte si debba laudare. Per la qual cosa fa bisogno per salute e conservazione dei potentati più modi e diverse figure dimostrare, mediante le quali a tanta violenza si dia modo e freno, sicchè alli avversari il potere e animo pernicioso si tolga, ed ai benevoli e dediti vigore ed animo si presti.

Non debbono a mio giudizio esser vilipesi quegl’instrumenti i quali, quanto all’esser messi in esecuzione, sono brevi e facili, benchè l’invenzione d’essi a pochi sia concessa, come per alcuni indiscreti più volte si fa; perocchè gl’instrumenti e mezze cagioni non sono necessarii nè utili, se non per conseguire l’ultimo fine, ovvero effetto. Adunque, quanto di minore difficoltà e più semplice sarà quello che ci conduce al desiderato fine, tanto più potente debba essere riputato, perchè per quello più facile e breve si può tutto quello che per gli altri più difficili si poteva4. E benchè, di poi che sono trovati sia facile metterli in opera ed intenderli, non è però facile la invenzione, la quale a rari è concessa: come avviene in ogni scienza, molte subtilità solo da ingegnosissimi e peritissimi uomini essere state trovate, le quali insegnate, facilmente da ciascuno di mediocre intelletto sono intese. E simile in [p. 256 modifica]questa arte avviene, la cui perfezione nella invenzione consiste, e senza quella male si può le invenzioni delli altri usare.

Dovendo adunque dare notizie in questo libro delle forme che si ricercano alle fortezze, per la ragione preallegata, prima è da considerare alcune parti generali, dipoi discendere alle particolari. Quanto alla prima, dico che tutte le fortezze debbano avere in sè più parti5.

La prima, che in esse sia un pozzo o cisterna sufficiente almeno per il vitto ed altre opere occorrenti, situato nel maschio, ovvero stanza del castellano, sicchè volendo possa tôrla agli altri, e a lui non possa dagli altri esser tolta: e debba avere canali per i quali alle stanze dei soldati possa mandarla.

La seconda, che nella rocca sia un pristino per macinare, e le macinelle per la polvere da bombarda.

La terza, un forno per molte cose occorrenti, oltre al cuocere del pane.

La quarta che abbia il soccorso sicuro, sicchè senza grande difficoltà non possa essere tolto, come nella seconda parte in più modi dimostrarò.

La quinta, che la torre principale del castellano sia più forte ed eminente delle altre, e che possa tutto il resto della fortezza offendere senza essere offeso: sicchè il castellano sia degli altri signore.

La sesta, che se nella stessa fortezza più torri principali per più castellani si facessero, allora l’entrate ed i soccorsi debbano in tal modo essere ordinati, che l’un castellano senza la volontà dell’altro non possa trarre o mettere alcuno nella rocca.

La settima, che la fortezza sia di minore circonferenza che è possibile, salva la debita proporzione.

La ottava, che le mura del circuito siano alte per sè, ma in basso loco situate, scarpate i due terzi dell’altezza, con beccatelli o mutoli, e fra l’uno e l’altro siano i piombatoi6.

La nona, che le torri siano applicate alle mura per sè, o con ale di muri angulati, dell’altezza delle mura, con l’offese per fianco. [p. 257 modifica]

La decima, che innanzi alla porta sia un rivellino fatto in alcuna delle forme che di sotto per il disegno mostrerò.

L’undecima, che abbia lati e profondi fossi, con alti ed estesi cigli, non verso la fortezza, ma uniformemente difformi acciocchè dalla fortezza ciascuno possa essere veduto e offeso.

La duodecima, che l’entrate siano reverse con le vie coperte.

La terzadecima, che le offese siano propinque.

La quartadecima, le abitazioni della famiglia siano nel circuito debilmente edificate in loco che dalla principal torre facilmente possano essere desolate.

Decimaquinta. È stata dagli antichi approvata la rotondità delle torri e circuiti de’ muri, la quale io confermo essere convenientissima alle torri, perchè più resiste e meno riceve ogni impeto: ma alle mura grandemente quella biasimo, perchè volendo esse fortificare di torri, sicchè l’una potesse guardare l’altra, saria necessario farle propinquissime: dove ne segue grandissima spesa. Un’altra incomodità ne segue, che le custodie facendosi fuori de’ propugnacoli, ovvero merli non possono vedere se non quasi perpendicolare: e però avendo fra me esaminato quale figura alle mura fosse più utile, ho concluso nei circuiti la forma del rombo7, e del romboido essere delle altre più perfetta. Appresso a questo, l’equilatero equicrureo, e il diversilatero: similmente il quadrangolo, ancora l’ortogonio, pentagono, esagono e altre angolari figure.

Decimasesta. È da sapere che quanto è la fortezza di maggior circuito, tanto più angoli ricerca la sua forma, ma tutte indifferentemente, secondo che per il sito e la proporzione del sito si possano mettere in uso. E questa è la sestadecima condizione: cioè che i torroni siano tondi e i muri angolati.

La decimasettima è che le estremità degli angoli si volgano dove può essere la fortezza più offesa dalle bombarde, acciò siano le mura fuggitive dalle percosse sue. [p. 258 modifica]

La decimaottava, che i torrioni siano posti negli angoli congiungenti le linee, acciocchè l’una e l’altra delle due linee per quelli possa essere offesa: e similmente l’un torrone dall’altro.

La decimanona (che è molto da considerare), che la rocca abbia facile uscita, in modo che difficile sia agl’inimici proibire che quelli di dentro, volendo, non escano sicuramente fuori del circuito.

La vigesima ed ultima (la quale si estende sopra tutti gli edifizii sopra a terra), è che le mura siano fatte sopra i fondamenti nel modo che al presente dichiarerò.

Note

  1. Principal campione di questa erronea opinione fu (benchè posteriore a Francesco di Giorgio) Alberto Durer il quale alle artiglierie quasi altro non seppe opporre che smisurate e quasi chimeriche masse di muraglia, negletta per lui una principalissima condizione della difesa, che è che l’assediato debba difendersi offendendo l’assalitore.
  2. Le fortezze fuori d’Italia erano peraltro assai peggiori delle nostre, nelle quali già molti miglioramenti eransi introdotti, non proporzionati però ancora e progressivi giusta il rapido perfezionarsi dei mezzi d’offesa. Vedansi Froissart e Monstrelet, che ad ogni tratto parlano di città di Francia non d’altro munite che d’un fosso e d’una siepe.
  3. La rocca, molto male definita ne’ dizionari, è giusta il Marchi (III, 83 cod. Magliabechiano) fortezza ed abitazione de’ Padroni dei luoghi: quant’era possibile, vantaggiavasi del sito. Scopo della fortezza era, com’è tuttora, di comandare una città od un passo: ed è parola generica.
  4. Quanto segue è aggiunto dal cod. Sanese (f.° 30 v.°).
  5. Gli schiarimenti a questi precetti sono nella Memoria III.
  6. «Oggi le mura delle fortezze si fanno basse, et e’ fossi larghi e profondi». Lettera del 1509 presso Gaye, II, pag. 3. Memoria III, capo VIII.
  7. L’intiera pianta di Sarzanello, e quella della rocca di Tata in Ungheria fatta da Mattia Corvino hanno figura di rombo (Bonfini, Rer. Hungaric. Dec. IV, lib. VII).