Trezzo e il suo castello/VI

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Capitolo VI

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Capitolo VI.

Republica Ambrosiana — I castellani Giovanni da Serratico, Fermo da Landriano e i fratelli Villani.


Inauguratasi (14 d’agosto del 1447) la Republica Ambrosiana, i Capitani e i Difensori di essa posero tra le prime loro cure rassicurarsi anche il dominio del castello di Trezzo, come lo prova, a tacer d’altro, una loro lettera ai conte Francesco Sforza1. I medesimi (15 di ottobre) spedirono al detto conte, loro capitano generale, una convenzione stipulata con Giovanni da Serratico, castellano di Trezzo, per la restituzione del forte, affinchè pur egli vi apponesse il proprio sigillo, e ciò per maggior sicurezza del castellano stesso. Donde appare abbastanza [p. 53 modifica]chiaramente che rendendo il castello a’ Milanesi senza quest’ultima guarentigia, il Serratico temeva d’incorrere lo sdegno dello Sforza, o per lo meno di fargli cosa isgradita2.

Sul finire dell’anno i Veneziani presero Bettino d’Almenno connestabile dei Milanesi, al quale era affidata la guardia di Trezzo, e lo condussero a Cassano, e di là a Bergamo, correndo voce che lo volessero maltrattare nella persona. I Capitani e i Difensori della libertà di Milano, avuto di ciò notizia, si affrettarono a notificare il fatto al conte Francesco perch’egli, alla sua volta lo partecipasse a Michele Attendolo, commandante dell’esercito veneto «perchè tale tractamento (dicevano essi) ordinaremo essere facto a li suoi, quale intenderemo essere facto alli nostri» e per ciò volevano altresì essere informati qual fosse l’intenzione del medesimo Attendolo in proposito3.

Per il trattato di Rivoltella conchiuso (il 18 di ottobre del 1448) circa un mese dopo la celebre battaglia di Caravaggio, i Veneziani divennero amici dello Sforza, il quale potè quindi rivolgere le armi contro i Milanesi cui aveva fino allora servito. Egli, come apprendiamo da una lettera del [p. 54 modifica]marchese di Ferrara, nel settembre del 1449 mandò uno de’ suoi travestito a capitolare col castellano di Trezzo, ed avviò pure negoziati cogli ambasciatori di Como venuti al suo campo. Carlo Gonzaga gli si unì con quattordici squadre e mille fanti. Francesco Piccinino era ammalato. Insomma conchiudeva il marchese che la prosperità dello Sforza era sì innanzi che ormai tutta Italia insieme più non gli poteva togliere l’ambito ducato, ma il solo Iddio4.

Alcuni Milanesi (22 di novembre) trattavano di vendersi ai Veneziani, partito che trovò un gagliardo oppositore in Teodoro Bossi. Trezzo rimaneva ancora in potere dei Milanesi, e per ciò lo Sforza, non volendo indugiare ad impadronirsene, fece grandi profferte a quei castellani che erano i nobili fratelli Bonifacio, Ricciardo, Roberto ed Isopino Villani. Scarso per altro fu il frutto della pratica; perocchè ben potè da quelli ottenere che non lasciassero passare il fiume ad alcuno, nè milanese, nè veneto; ma nulla più, non volendo i Villani esporre al pericolo di sevizie da parte dei Milanesi alcuni loro parenti che dimoravano nella metropoli. Maggiori speranze gli diede Fermo da Landriano castellano della rôcca minore al di là dell’Adda, dove si stava costruendo un ponte di legno per trasportarvi l’esercito dei Veneti e le vittovaglie. Anzi ad incoraggiare quest’opera si portava colà ogni giorno, insieme co’ suoi maggiori officiali e [p. 55 modifica]Commissarj dei Milanesi, il generalissimo veneto, Sigismondo Malatesta. Del che il Landriano informò il conte Francesco, promettendogli che, appoggiato da cento Sforzeschi fedeli e capaci, gli darebbe in mano tutti que’ suoi nemici. Piaque al futuro duca il progetto e gli mandò persone adatte con due esperti conduttieri. Ma, fosse caso o accorgimento, nel giorno prefisso comparve colà il solo commissario de’ Milanesi, Innocenzo Cotta5, ed ei solo fu preso. Era questi fratello di Lucio, gran nemico dello Sforza, prefetto del castello di S. Colombano, e per il quale i Milanesi eransi mantenuti in possesso del Lodigiano.

Consta che fino dal 3 di dicembre il Malatesta ebbe nova della perdita di Trezzo. Egli se ne volle quasi disperare, e si riunì tosto a consiglio insieme col proveditore Cesare Gentile, Guido Rangoni ed Innocente Cotta. Quest’ultimo dolevasi assai della tardanza della Signoria Veneta, dicendo che, se questa avesse proveduto, Trezzo non sarebbe caduto in mano al nemico. Deliberarono quindi di provarsi a soccorrere i Milanesi per due diversi modi. Primo, di fare ogni sforzo per la via di Brivio, pensando che, innanzi che il conte prendesse altra misura, tutto il monte di Brianza si spiegherebbe in loro favore. Era infatti opinione di taluno che se lo Sforza si fosse impadronito del passo di [p. 56 modifica]Brivio, il dì successivo sarebbe signore di Milano. Il secondo modo era che la Signoria provedesse di denaro i Milanesi, sperando con ciò di staccare dal conte la maggior parte delle sue genti, essendo queste malcontente, ed in secreto a lui nemiche. Confortava gagliardamente Sigismondo Malatesta a questo partito un messo del conte Giacomo, detto il marchese di Varese, il quale asseriva di aver grandi pratiche fra quelle genti e che, avuti denari, ne corromperebbe molte.

Sopragiunse poco dopo un cancelliere del conte Angelo che smentiva la perdita di Trezzo, ammettendo tuttavia una stretta pratica dello Sforza col castellano. Il signor Sigismondo e il proveditore, radunatisi tosto a consiglio, deliberarono di mandare a Trezzo ad offrire al castellano molti denari, perchè tenesse fermo. Come il lettore di leggeri s’imagina, anche questo non rimase occulto allo Sforza. Il quale, secondo che provano i documenti, spedì da Lodi, dove risiedeva, il 12 di dicembre Antonio da Landriano suo conduttiero, munito di credenziale, al già nominato castellano Fermo a fargli diverse communicazioni e promesse. Frutto di questi negoziati furono i seguenti capitoli conchiusi (14 di dicembre del 1449) tra il detto Antonio in nome dello Sforza da una parte, ed il nobile Fermo dall’altra.

«Primo: il sopradicto Fermo castellano ut supra promette largamente al dicto Antonio de’ Landriano nomine et vice quo supra dare et consigliare le [p. 57 modifica]sopradicte torrette cum tutte le monitione soe mo et sempre ad ogni posta et requisitione de la prefata S. del conte ad qualunque persona la S. soa vorrà et comandara senza dimora, exceptione, ne replicatone alcuna; et perche lui stara dentro de le diete torrette, luy promette e così giurerà per sacramento tenere, conservare et guardare le diete bene, fidelmente et lialmente come degono et sonno tenuti fare li veri, boni et fidelissimi castellani et servitori, verso il suo signore et observare li ordini et comandamenti della S. soa ad. luy dati inviolabilmente ad unguem come jaceno; et che sempre da questo di presente inanzi el dicto Fermo ne disponera et farra de le diete torrette et soe monitione quanto per la excellentia del conte li sarà ordinato et comandato et esse torrette tenerle et guardarle in nome e ad petitione della prefata S. soa.

«Et converso lo sopradicto Antonio de Landriano nomine et vice della prefata excellentia del conte ut supra promete al dicto Fermo da Landriano castellano ut supra per vigore de una littera de la credenza dirrectiva al dicto Fermo per parte de la S. soa farli salvo et securo tutta la robba et cose sue proprie et de li suoi compagni che se ritrova dentro de le diete torrette. Et così de tutti li homini de qualunque loco se siano reducti ne le corne de le diete torrette, dummodo non siano rebelli o bandezati de la prefata S. soa, quale cose et robba sia et debia essere della prefata excellentia del conte che la soa S. ne possa disponere et fare come parerà et piacerà a la soa excellentia. [p. 58 modifica]

«Item lo sopradicto Antonio nomine et vice quo supra promette al dicto Fermo dare tutto il resto del suo servito de quello resta havere de la comunità de Milano fino in questo presente di, quale resto monta per mesi decenove per paghe dodici ad ratione di fiorini tre per pagha el mese, fiorini sei cento ottantaocto ad rationem de ss. 32 per chadauno fiorini vaie ducati trecento trentanove d’oro, videlicet ducati 339 d’oro.

«Item lo sopradicto Antonio promette al sopradicto Fermo castellano nomine quo supra che la excellentia del conte gli darà tante possessione o altre intrate che lo dicto Fermo havera de intrata ogni anno ducati doicento, videlicet ducati 200.

«Item lo sopradicto Antonio nomine quo supra promette al dicto Fermo che per fin che piacerà a la excellentia del conte che esso Fermo sera per castellano delle diete torrette, sera pagato et havera el soldo per paghe 25 ad ratione de fiorini tri per paga singulo mese cum hoc che lo dicto Fermo sia tenuto et debia tenere le sopradicte paghe XXV bone et sufficiente et fare la mostra delle diete paghe una volta et più el mese, secondo et come parerà et piacerà a la soa excellentia o ad altri per la S. soa sopra ciò deputati.

«Item lo sopradicto Antonio de Landriano nomine et vice ut supra promette al dicto Fermo che ogni volta che la excellentia del conte vorrà removere et torre via el sopradicto Fermo da le dicte torrette, la prefata S. del conte gli darà de [p. 59 modifica]provisione ogni mese fiorini venticinque ad razione de soldi trentadoi per chadauno fiorino fino al beneplacito de la S. soa, et in caso che la prefata S. del conte gli torra et removera dieta provvisione al dicto Fermo, promette dicto Antonio che la S. del conte gli provvedara de uno officio condecente ad luy o di qualche altra cosa si che lo dicto Fermo resterà ben contento.

Tute et singole cose et capituli sopradicti l’una parte ad l’altra et l’altra ad l’una prometteno observare inviolabilmente et in cosa alcuna ullo nunquam tempore aliqua ratione, vel causa contrafare, et promette lo sopradicto Antonio al dicto Fermo per la excellentia del conte gli serra observati et mantenuti li sopradicti capituli ad unguem corno jaceno. Et in fede et magiore fermeza et chiareza de tute le sopradicte cose li sopradicti Antonio de Landriano nomine quo supra et Fermo da Landriano castellano ut supra se sonno sottoscripti in li presenti capituli de loro propria mano et sigillati de li loro consueti sigilli.

«Antonius de Landriano manu propria subscripsi.

«Ego Firmus de Landriano castellanus supradictus manu propria subscripsi.»

Lo Sforza non dimenticò questi patti. Conservasi tuttora una sua, data in Lodi (25 di giugno, 1450), con cui assegnò a Fermo un’annua provisione di duecento ducati d’oro sulle entrate ducali da essergli corrisposta in tre rate, duratura finchè il [p. 60 modifica]duca stesso potrà sostituirle un podere gradito al Landriano.

I nobili signori de’ Villani (il 5 di settembre del 1451) ricevettero in feudo onorifico, nobile, gentile ed antico per ensis evaginati traditionem la rôcca di Castelnuovo e Castel vecchio del borgo di Trezzo con pascoli, prati, boschi, molini, peschiere e diritti d’acque, pedaggi ed imbottato, con tutti i privilegi annessi al feudo, riservato però al duca il diritto su li alloggiamenti dei cavalli, su li stipendiarli suoi, non che su la gabella del sale, sui dazj della dogana, delle grasce, della mercanzia e della ferrarezza. Li investiti furono Rizzardo, Bonifacio e Roberto fratelli de’ Villani figli del fu Saturno; Catellano, Francesco, Rainoldo, Antonio, Pietro e Bertramo figli del fu Isopino; Giovanni detto Zanino; Ambrogio detto Bossino; Leo volo, Lino e Francesco figli del signor Bonifacio; Giovanni, Saturno, Giovanni Stefano, Giovanni Lazaro, Giovanni Andoardo e Giovanni Antonio figli del signor Rizzardo; Brunoro, Estore, Sagramoro e Giovanni Innocenzo fratelli, figli del signor Roberto, i quali tutti prestarono il giuramento di fedeltà ed omaggio al duca rappresentato dal suo ciambellano e procuratore Pietro Pusterla; con la promessa di non rinunziare al feudo. Il duca pattuì che dopo la morte dei fratelli Villani Bonifacio, Roberto e Rizzardo, i superstiti dovessero, però contro un annuale assegno in perpetuo di fiorini 4000, lasciare al duca Castelnuovo, Castelvecchio ed il borgo [p. 61 modifica]di Trezzo, ricordando loro che erano stati costituiti castellani e custodi della rôcca e dei due castelli col mensuale stipendio di 150 ducati d’oro. L’accennato assegno era garantito su le entrate dei dazi della dogana, della mercanzia e delle grascie di Trezzo e Pontirolo.

Bella ci pare la risposta che Bonifacio e Rizzardo mandarono poco dopo (il 21 di febrajo del 1452) al duca Francesco per smentire alcune lagnanze a lui pervenute intorno al loro governo. Ben alieni dal torre il sangue e la roba ad alcun suddito, come era accaduto in altre terre, quei feudatarj dichiarano di credere che non solo ad esso duca, ma a tutti li abitanti dei dintorni di Trezzo fosse assai largamente manifesta la fama loro e de’ loro maggiori, come di signori che avevano sempre stimato ed apprezzato l’onore più dell’avere: soggiungono quindi esser ben vero che, come teneri del bene e della sicurezza dello Sforza, avevano punito i frodatori delle biade, pensando fargli cosa assai grata, ed avevano allibrati tutti i beni immobili de’ borghesi, affine di ripartire su di essi qualche carico per l’erezione di un muro a Castelvecchio già principiato al tempo del duca Filippo Visconti per salvezza d’ambedue i castelli6. [p. 62 modifica]

Spiegatasi nella primavera una nuova guerra tra i Milanesi e i Veneziani, questi fecero entrare le loro truppe nel Lodigiano. Dal suo canto il duca Francesco si recò da prima a Melzo, indi a Cassano ed a Trezzo, dove pose presidj, e finalmente nel Cremonese, dove riunì tutto l’esercito capitanato dal valoroso Gentile della Leonessa. I nemici allora guidati dal Piccinino passarono l’Adda, e sebbene si spingessero fino ai sobborghi di Milano, tuttavia furono costretti a ritornare indietro senza alcuna preda.

Limitandoci sempre, per la natura del nostro lavoro, a ciò che tocca Trezzo più direttamente, notiamo che il duca il 4 d’agosto aveva li alloggiamenti presso Quinzano, donde scriveva al capitano della Martesana, di Monza, di Trezzo e della Pieve di Incino di mandare guastatori a Gasparo da Suessa incaricato dei lavori di fortificazione. Avendo poi saputo come i nemici avessero l’occhio alla bastita che era altre volte a Vaprio; nè potendo dubitare che, una volta perdutala, sarebbe da quelli [p. 63 modifica]tramutata in fortezza, ingiungeva al medesimo Gaspare, a Rossino Piora e a Francesco da Trivio, che facessero continuamente sorvegliare la riva dell’Adda. Il Piora, come commissario residente in Cassano, inviava al Principe il 23 una relazione il cui compendio è il seguente: — essere allora la Muzza bassissima; dimodochè i nemici senza incontrare giornalmente resistenza, passavano al di qua, e scorrazzavano pel paese, soffermandosi a vendemmiare le uve; i ducali, sebbene cresciuti di numero, operare peggio di prima. Soggiungevasi che in quel giorno si era principiato a piantar de’ pali nella Muzza e a scavare una fossa alla torricella verso Trezzo, dove altre volte i Veneziani avevano formato un bastione. Ma per mancanza di guastatori non si poteva allora finir l’opera. Vedendo il commissario che per la bassezza dell’Adda la bastia e il ponte erano all’asciutto, credevali in grande pericolo d’incendio; epperò aveva mandato prestamente, col mezzo di suoi massai, de’ carri e de’ buoi con alcuni terrieri, facendo inoltre formare una rastrelliera al ponte e alla bastia in modo di assicurarli contro qualunque sinistro. —

D’altra lettera del 22 di ottobre ai ripetuti fratelli Bonifacio e Rizzardo è preziosa la poscritta che suona a un dipresso così: — Vi avvisiamo come jeri matina ci partimmo da Leno e venimmo qui a Calvisano col nostro esercito; la quale terra, di cui i nemici facevano grande stima e capitale, abbiamo ridutto alla nostra obedienza. Oggi riducemmo in nostro potere anche Castenedolo, e lo fornimmo a [p. 64 modifica]nostra posta, avendo i nemici jeri proveduto molto bene Malpaga. Questa matina vi abbiamo mandate alcune genti che l’hanno pigliata per forza, messa a saccomano, e finalmente abbruciata. I nemici sono già venuti a Ghede dentro la cerchia, e F hanno fortificata in modo che sarebbe impossibile snidarli. Noi siamo qui sulla campagna di Montechiari e tenteremo ogni via di tirarli in luogo dove sia loro forza di venire a fatto d’arme con noi. — Se non che, come impariamo dalle storie municipali, nessun rilevante fatto seguì, e le due parti belligeranti, sopragiunta la rea stagione, inviarono le milizie ai quartieri d’inverno.

Riprese le ostilità nel prossimo anno, il duca scrisse il 23 di genajo a! capitano del Monte di Brianza ed ai castellani di Trezzo e di Cassano, ingiungendo loro di appostare buone scolte nei luoghi più opportuni per respingere i nemici che designavano di passare a Pontirolo, e a quest’uopo avevano caricate sopra carra alcune navi. Quei castellani e Fermo da Landriano ricevevano poi (1° di marzo del 1453) lettere conformi, per le quali il principe li avvisava a ben premunirsi contro un connestabile dei nemici, chiamato Roberto da Tegna, dimorante a Treviglio. Erasi costui condutto nella precedente settimana con iscale e fanti alle Torrette di Trezzo per la via del rastrello, senza però riuscire a scalarle per la gran neve ed altre cagioni. Riposte adunque le scale, s’era egli ritornato a Pontirolo con animo di rinovare l’ardita prova, quanto più presto le nevi gliel permettessero. [p. 65 modifica]

Conchiusa (9 di aprile, 1454) la pace fra il duca e la Republica, furono assegnati al primo la Valsassina, la rôcca di Bajedo e di Pianchello, Lecco con le sue dipendenze, le Torrette di Trezzo e tutto il fiume Adda, e diverse terre nel Cremonese: delineazione di confini che due anni dopo venne riformata7.

L’anno appresso i Villani (23 di aprile) rinunciavano al duca il feudo di Trezzo8.


Note

  1. Eccone il tenore: — Capitanei et defensores libertatis illustris et excelse comunitatis Mediolani. Illustris fili noster dilectissime. Considerando de quanta importanza e lo castelo di Trezo, quale se po chiamare una porta de questa citade, cerchiamo continuamente daverlo in nostra possanza et mane et cum Zohanne da Serratico castellano li siamo devenuti ad certe conventione. Ma perchè el rechede et istantemente domanda che le diete conventione siano anchora signate et sottoscripte de mane vostra et cum promissione che insieme cum nuy le observareti et fareti observare, ve ne avisiamo a ciò che ne respondiate del parere vostro et vostro volere. Et parendovi di cussi fare, subito ve li mandaremo. Datum Mediolani, die XXVII septembris MCCCCXLVII — Raphael. (A tergo) Illustri filio et capitaneo generali nostro dilectissimo comiti Francisco Sfortie Vicecomiti marchioni et domino Cremone, etc.
  2. Vedi lettera originale nella corrispondenza Visconteo-Sforzesca.
  3. Vedi lettera dei Capitani e Difensori della libertà di Milano al conte «Dat. Mediolani die XXVI decembris MCCCCXLVIII» Noi l’abbiamo invece riferita al 1447 memori dell’uso allora vigente di incominciare l’anno col 26 di dicembre, avvertendo inoltre che, nel primo supposto, il tenore di essa ripugnerebbe alle circostanze storiche.
  4. V. Lettera di Nicodemo Tranchedino allo Sforza nella corr. cit.
  5. Era questi così amante della libertà, che, per sostenerla, contrasse debiti enormi.
  6. Non senza qualche meraviglia vediamo che per una mera dimenticanza del duca, i castellani di Trezzo avevano da lui ottenuto anche la facultà di concedere salvocondutti alle ville e a’ luoghi dell’Isola Bergamasca. Avea infatti lo Sforza già promessa in altra occasione tal facultà a Bartolomeo Colleoni. Memore questi del suo diritto, non indugiò allora a riclamare, e il duca, per non parere fedifrago, proibì ai Villani (6 di giugno) di dispensare quindi innanzi salvocondutti per la detta Isola senza il previo consenso dei Colleoni. (Vedi lettera ducale spedita dal campo contro Pontevico.) — I medesimi castellani furono esortati dal duca (4 d’agosto) ad usare ogni diligenza dal canto loro, perchè dal territorio milanese non si trasportassero a Bergamo vittovaglie. Avvisato poi lo Sforza come i nemici avevano deliberato di fare un ponte sull’Adda al passo di Vaprio, ed avendo le sue genti occupate a Cassano in alcuni lavori da farsi verso Rivolta, ordinò ai castellani di Trezzo di far custodire quel passo giorno e notte.
  7. Il fossato vicino alla porta di Trezzo fu giudicato appartenere al Milanese, perchè non ve ne ha cenno negli Statuti di Bergamo: esso comprendeva anche le Torrette al di là dell’Adda. Così da una informazione scritta, come pare, il 17 di luglio del 1433, da un in caricato ducale che doveva recarsi a Ferrara, allorchè era ancora pendente la controversia fra il duca di Milano da una parte, e la Republica Veneta dall’altra, per le terre della Valsassina, di Lecco, e di Brivio, e pei diritti sull’Adda.
  8. Vedi le nostre Notizie storico-statistiche intorno a Busto Arsizio, pag. 189.