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Una disgrazzia (1832)

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Giuseppe Gioachino Belli

1832 Indice:Sonetti romaneschi II.djvu sonetti letteratura Una disgrazzia Intestazione 11 gennaio 2025 100% Da definire

Li negozzi sicuri Er zanatòto, ossii er giubbileo
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832

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UNA DISGRAZZIA.

     Come so’ le disgrazzie! Ggiuveddì,
In d’un orto viscino a Bbervedé,[1]
Ciannassimo un tantino a ddivertì
Pepp’er chiavaro, Bennardino e mmé.

     Cuanto stassimo alegri! Abbast’a ddì
Che cce bbevessim’un barile in tre:
E vverzo notte, in de l’uscì de llì,
Pijjassimo er risorio[2] in d’un caffè.

     Ma ar tornà a ccasa poi, ner zalì ssu,
Cosa diavolo fussi io nu’ lo so,
Sbajjai scalino e mme n’agnédi[3] ggiù.

     Ste scale nu’ le vònno illuminà:
E ëcchete spiegato, Picchiabbò,[4]
Come so’ le disgrazzie a sta scittà.

Roma, 13 dicembre 1832.


Note

  1. Belvedere, uno dei lati del Vaticano, rivolto ad oriente, a cui corrisponde il Museo Pio-Clementino-Chiaramonti.
  2. Rosolio.
  3. [Andiedi: andai.]
  4. [Cognome o soprannome.]