Vae Victis/Parte seconda/XIII

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XIII

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XIII.

Luisa guardò in faccia la sua sventura — e tremò. Non vi era più dubbio, non vi era più speranza. Novembre! Il terzo mese era passato. Ciò ch’ella aveva temuto più della morte, avveniva. L’oltraggio subito si perpetuava in lei. L’onta si era fatta eterna, la violenza si era fatta umana. Il delitto viveva — viveva! e le pulsava in seno.

Nel cuor della notte ella si levò a sedere nel letto. La realtà orribile l’aveva colpita come una percossa al cuore.

Rimase così al buio, coi denti serrati, le mani premute alle tempia; poi scivolò dal letto e stette immobile in mezzo alla stanza. Tutta la casa dormiva. Ella era sola, sola col suo orrore e la sua disperazione.

Come poteva sottrarsi all’orribile cosa che portava in sè? Come sfuggire a sè stessa? [p. 195 modifica]

Accese la luce e andò con rapidi passi allo specchio. E si guardò.

Si guardò a lungo facendo cenno di sì col capo, come una mentecatta; e la sua imagine riflessa, lunga e bianca nella camicia da notte, le faceva cenno di sì. Era vero. Ecco, ella ne riconosceva tutti i noti segni: quei lineamenti stirati, quegli occhi stanchi ed irrequieti, quella faccia che sembrava già troppo piccola in confronto al corpo — tutto tutto quell’aspetto spaurito, dolente — era la maternità! La maternità. Ciò ch’ella e Claudio avevano tanto desiderato, tanto sospirato — un altro figlio — ecco, ora le veniva concesso. La natura accordava alla violenza ciò che aveva negato all’amore.

Nell’esasperazione della tortura, nel parossismo dell’odio, la materia aveva risposto e fiorito.

Coi denti stretti, coi pugni chiusi ella guardava quell’imagine, guardava quel suo fragile corpo in cui si compiva l’eterno mistero della vita.

Notava la subdola preparazione della sua muliebrità per l’adempimento della sua missione: la curva già più marcata delle sue forme, e la trama delicata delle cerulee vene sul candor latteo del collo e del petto.

Con un gemito di creatura ferita ella nascose il volto tra le mani. [p. 196 modifica]

Mia Dio! Che cosa fare? Che cosa fare? Come in un baleno ella rivide la faccia convulsa, ubbriaca del nemico china sopra di lei... E con un grido che destò di soprassalto Chérie nella camera attigua, Luisa cadde a ginocchi presso il letto.

Liberarsene, liberarsene!... o morire!


Allora cominciò per Luisa la disperata corsa alla liberazione, la straziante ossessione dei tentativi di scampo.

Si levava ogni giorno all’alba e camminava per ore ed ore, noncurante dell’intemperie, affannandosi per aspre salite e ripide discese, correndo per affaticarsi e stremarsi; finchè madida di sudore, esausta, si abbatteva affranta...

A nulla giovò. Allora si decise di andare a Londra. Inventò ogni sorta di scuse per andarci sola; e in quell’enorme, crudele deserto di strade ignote, di folla ignota ella vagò in cerca di oscure farmacie. Tornava portandosi a casa delle medicine venefiche, delle bevande pericolose che le davano crampi e convulsioni, che la lasciavano malata, esausta, colla bocca amara e il viso spettrale.

Tutto era vano. La natura proseguiva inesorabile il suo corso. [p. 197 modifica]

Allora si decise di chiedere aiuto alle donne che sui giornali promettevano assistenza; e andò tremante ad esporre a loro il suo caso.

Ma esse non la conoscevano; era straniera e probabilmente senza danaro.

Nessuno volle ascoltarla, nessuno volle soccorrerla.

Finalmente Luisa si decise a consultare un medico. Il primo a cui si rivolse era un giovane svizzero, rigido, onesto e rude. Egli minacciò di denunciarla al suo Consolato, e la mise alla porta.

Allora ricorse a un dottore francese di cui qualcuno le aveva detto che era amabile e cortese. Difatti egli l’ascoltò, benevolo, se pure con un sorrisetto non scevro di malizia.

Già!... Ve n’erano molti di questi casi dolorosi.... Era quasi difficile credere che fossero tutti genuini!... Andiamo, andiamo! Si trattava qui veramente della violenza dell’odiato nemico?... O non era forse responsabile qualche bon ami? Qualche affascinante «Tommy» od ufficialetto inglese? Suvvia, era troppo naturale — e il dottore le prese la mano — quando si era ravissante come lei, con quelle guancie infocate e quegli occhi ardenti.... Ah! con quegli occhi si ha le diable au corps, n’est-ce-pas?

Luisa, comprendendo, era balzata in piedi fre[p. 198 modifica]mente di disgusto e d’ira. Allora egli cambiò tono e l’avvertì che se osava ripresentarsi a lui l’avrebbe denunciata alle autorità.

Col coraggio della disperazione Luisa andò da varî dottori inglesi; e quando si trovò davanti a loro non osò dire quello che desiderava. Essi le ordinarono dei calmanti e dei ricostituenti. Se mai ella osava narrare loro la sua storia, o non la credevano, o scotevano malinconicamente il capo raccontandole a loro volta dei casi che avevano conosciuti simili al suo, od altre storie di barbare atrocità. Luisa doveva interessarsi al fato dei bambini di Visè cui erano state mozzate le mani; doveva commuoversi per il soldato di Hertfordshire cui avevano strappato gli occhi.... Poi pagava cinque scellini (se era un medico della City) o due lire sterline (se era un medico di Harley Street) e se ne tornava a casa con una ricetta di sedativi e tonici.

Allora Luisa decise che bisognava morire. Non vi era rimedio, bisognava morire. Aveva paura della morte. Si sentiva legata alla vita da un duplice istinto, il suo e quello della creatura che viveva in lei. Ah!

come tenacemente si aggrappava quell’essere alla vita! Non voleva morire, quell’immonda creatura — no! non voleva [p. 199 modifica]morire e liberarla. Si attaccava con tutte le fibre alla sua esecrata esistenza.

Ben sapeva Luisa che cosa sarebbe accaduto se portava fino al termine questo suo martirio! Sveglia, ogni notte, ella si figurava ciò che nascerebbe da lei, immaginava vivente questo essere concepito nell’odio e nell’orrore. E lo vedeva un mostro, una cosa informe e demoniaca, una cosa fantastica e terrorizzante che a guardarlo agghiaccia il sangue!...

Tale sarebbe la creatura che nascerebbe da lei, ch’ella dovrebbe carezzare e nutrire, — e recare tra le braccia andando incontro a suo marito quand’egli tornava zoppicante dalla guerra!...

Ossessionata e pazza, ella si figurava quell’incontro in mille modi — tutti terribili, tutti indicibilmente spaventosi.

Vedeva Claudio venirle incontro sulle sue grucce, fissarla incredulo senza capire.... Vedeva Claudio che impazziva.... Claudio che alzava la gruccia e sfracellava il cranio della creatura immonda, come era stato sfracellato il cranio di Amour.... Amour! Ah! quel terribile Amour ch’ella aveva veduto morto in quell’alba nefasta...

E Luisa tentennava la testa o parlava tra sè e sè. Già... già! fu quella, quella la prima cosa che videro i suoi occhi quando uscì barcollan[p. 200 modifica]do dalla camera dove l’oltraggio si era compiuto! E la spaventosa visione la perseguitava ancora: bastava che chiudesse gli occhi per vedere Amour — un ammasso nero e sanguinante, col cervello che gli schizzava dal cranio — Ah, mio Dio! E se questa visione orrenda l’avesse a tal punto impressionata che il bambino...? Silenzio! Questa era la pazzia; ella si sentiva impazzire.

Dunque bisognava morire.

Morire? Come morire? E quando fosse morta che cosa ne sarebbe di Mirella e di Chérie?

Chérie! All’idea di Chérie un nuovo torrente di pensieri invase il cervello vaneggiante di Luisa. Chérie! Che cosa aveva Chérie?

Non aveva essa pure quell’espressione irrequieta e strana, quei lineamenti stirati, quel viso ansioso e troppo piccolo in proporzione del corpo? Era possibile — era possibile che la mala sorte avesse colpita anche lei?

Allora Luisa si sforzò di ricordare, di ricordare quegli eventi di cui pure avrebbe pagato colla vita l’oblio. Cogli occhi chiusi, le membra scosse da brividi, ella impose a sè stessa di rivivere le ore più fosche della sua vita....

L’alba del cinque agosto.

.... La casa vuota, silenziosa. Gli invasori sono partiti. [p. 201 modifica]

Luisa, uno spettro livido nel grigio pallore dell’aurora, esce barcollando dalla sua camera... passa con un sussulto davanti ad Amour sulla soglia della camera di Chérie.... Poi scende vacillando le scale.

Ed ecco, accasciata ai piedi della ringhiera di ferro — Mirella! Mirella ancora colle braccia legate, colla piccola bocca aperta, ansando breve, a tratti, come un uccellino che sta per morire...

Luisa la solleva, slega e scioglie la sciarpa che la stringe, le spruzza dell’acqua sul viso.... e Mirella apre gli occhi.

Ma quelli non sono gli occhi di Mirella! Vi è delirio e frenesia in quelle pallide iridi che si volgono lente intorno alla stanza, che vagano indecise e che d’un tratto si fermano su un punto, folli, intente.

Che cosa mai guardano con quell’espressione di indicibile terrore?

La madre segue quello sguardo e vede una porta — la porta drappeggiata da una tenda rossa che dà in una camera da letto. È questa una camera poco usata dove talvolta un ospite o un paziente di Claudio ha dormito.

Ed è su questa porta che lo sguardo allucinato di Mirella si fissa. E’ aperta la porta; la tenda rossa pende strappata.... [p. 202 modifica]

Luisa guarda — poi guarda ancora; e non si muove. La luce elettrica là dentro è ancora accesa, una seggiola è rovesciata sul limitare, e là, là sul letto giace qualcuno.... È Chérie! Chérie nel suo vestito di velo bianco — Luisa vede che è tutto lacero e macchiato di sangue — Chérie, colle braccia alzate e le mani legate alla sbarra del capo-letto. Il largo nastro rosa le è stato strappato dai capelli per legarle così le mani sopra al capo. Ha la faccia graffiata e sanguinante. È immobile.

Sembra morta.

... Ah! come trovò Luisa la forza di sollevarla, di richiamarla alla vita, piangendo su lei e su Mirella, correndo disperata, folle, dall’una all’altra delle due creature?

Le aveva vestite, inviluppate di scialli. Era riuscita, ora trascinandole, ora portandole, a scendere con loro le scale, a trarle fuori — fuori da quella casa profanata!

Che cosa fare? Doveva chiamare aiuto? Doveva andare gridando la loro vergogna e la loro disperazione per le vie del villaggio?

No, no, no! Che nessuno le veda, che nessuno sappia mai ciò che è accaduto a loro.

.... Ma che rumore era questo — questo galoppo di cavalli per le vie deserte del villaggio? Ah! sono loro, sono gli ulani!... bisogna fuggire! fuggire! [p. 203 modifica]

Gemendo, barcollando, incespicando, ella sollevò, portò quelle due creature inconscie per il viottolo sassoso che conduce ai boschi....


E quivi, la mattina seguente, una pattuglia di soldati belgi le trovò.