Vera storia di due amanti infelici ovvero Ultime lettere di Iacopo Ortis (1912)/Lettera XLVI

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Lettera XLVI

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Lorenzo F. all'amico Angelo Lettera XLVII
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LETTERA XLVI

Ore 10 della mattina.

E posso lasciarti, o Teresa..., fuggirti! E non mi sono precipitato giú da una balza, in seno d’orridi burroni? non ho avuto il meschino coraggio di frangermi le cervella? Vile! me ne sto spirando un lieve fiato di vita, simile agli ultimi raggi d’una lampana [p. 158 modifica] che manca e s’estingue. Qual altra cosa in tutto l’universo mantiene ancora per pochi minuti la mia miserabil esistenza, se non che il pensiero solo, la sola memoria della mia Teresa?... Ma piú poco m’avanza!...

Per pietá, mi perdona..., per pietá! o celeste angelo, se osai... Mi s’agghiaccia il sangue nel ricordarlo!... Ma quella voce, quel suono, quelle lagrime, quegli occhi, il vivo caldo delle tue guance, i respiri della bocca, i palpiti del tuo seno m’acciecarono, mi accesero, mi bruciarono tutto. Io colsi de’ baci, m’immersi nel delicato candore di quelle membra leggiadre! Tu pur mi ti mostravi dolce, pietosa, e l’amore ti traspirava dalle umide pupille! Io godeva e penava; in seno della desiata felicitá, tremava, infuriava, gemea. Tanto è vero ch’io son condannato da crudele destino a viver sempre infelice! Ma «scellerato»! Questa terribil parola ancor mi rimbomba cupamente all’orecchio e mi trafigge. Sorge dal profondo del petto un atroce rimorso, che mi sgrida. — Hai cimentato la sua virtú, e profanati quei labbri su cui riposano i celesti geni! — Teresa! io saprò vendicarti, espierò una colpa... Gran Dio! e questa è colpa? E sono dunque delitti le voci del sentimento, i fremiti dell’amore, le scosse della natura? Che ne dice il tuo cuore, o Teresa?... Forse, chi sa?... ti penti di quell’amaro rimprovero, e concedi, io spero, una lagrima al giovane infelice... che t’adorava..., la cui anima bollente seppe scordarsi, un primo ed un solo istante, il religioso rispetto, che sempre, e tu ’l sai! riverente ed umile ti portò. Oh... rimembranze!

Ho meco di piú, oltre la tua lettera, anche un piccolo monile, che racchiude il tuo gentile ritratto: lo trovai nel giardino dopo la tua crudele partenza. Ti ricorda che l’altro ieri mi lasciasti la dolce lusinga che un giorno poi me lo avresti donato? e mentre te lo chiedeva con tanta ansietá, sorridendo mi replicavi: —Sì... un giorno? — Vedi se il cielo, fra tanti affanni, mi manda un raggio di salute!... O forse fu la soave tua tenerezza, la qual, con arte pietosa, volle lasciarmi un gentile pegno d’amore e un sollievo dolcissimo negli estremi miei diì? Comunque sia, colgo avidamente sì bella occasione. Ah, lasciami, o divina Teresa, pe’ tuoi begli occhi io te ne priego, mi lascia questo tesoro, ch’io copro di lagrime e di baci! Fosse vero (ciò che ci disse un giorno l’innamorata Ernestina, e lo dicea con tanta ingenuitá e tanta grazia!) fosse vero ch’egli potesse trasferir ne’ tuoi sensi tutti i movimenti e le illusioni de’ miei! Allora... oh...! Ma non senti tu il vezzoso tuo volto [p. 159 modifica] bagnato de’ miei pianti? la tua bocca, il tuo seno ardentemente compressi da’ miei furibondi baci? Non t’arde il fuoco delle avvampanti mie labbra? Non ti penetrano, non ti abbruciano il cuore i miei sospiri di morte? Sciagurato colui, che con un freddo e superbo sorriso ardisce tacciar di follia queste idee!... Che l’insensato non ami giammai! o arda lungi, e per sempre, dalla sua bella!

Ricevi tu pure ed accogli questo caro compagno delle nostre ore piú dolci. Povero Werther! quanto sono mai simili i nostri affanni! Le carte sono macchiate ancora delle mie lagrime e... delle tue, Teresa! Quando talvolta vi leggerai le note da me scritte su quei margini, dirai teco stessa, ed in braccio alla tua soave melanconia: — L’amico del mio cuore le scrisse. — Ma io forse... non sarò piú! e tu mesta sospirerai!

Teresa, addio! Il cielo è ritornato sereno, nitriscono impazienti i destrieri, il domestico mi affretta, si trasporta il mio baule, e sto per salire ormai sul cocchio; alcuni amici mi salutano e danno il buon viaggio. Oh Dio! par che tutto congiuri, e perché?... perch’io non ti riveda mai piú!... Mai piú? Purtroppo! Addio dunque, addio!

P. S. Parto verso Ferrara. Se la mia debol salute, se il dolore, se la disperata passione mi lasciano qualche giorno in vita, io ti scriverò... sí! adorata Teresa. Mi si offusca la vista e l’intelletto, traballano i miei ginocchi, e provo tutti gli orribili affanni! E pure m’è forza partire, e pure... Addio, Euganei colli; addio, opache selve, mormoranti fonti; voi arbori amati, voi erbe, voi fiori... e tu..., mio angelo..., mia Teresa..., addio!...

Dopo non breve tratto di cammino, seduto ancora entro la carrozza, sospese un poco li affannosi gemiti e scrisse.