Vera storia di due amanti infelici ovvero Ultime lettere di Iacopo Ortis (1912)/Lettera XV

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Lettera XV

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LETTERA XV

31 novembre.

Stamane me ne andava per tempo alla villa, ed era giá presso alla casa di Teresa, la quale suole destarsi col sole, quando mi ha fermato un lontano tintinnio d’arpa. Mi sono tosto avveduto che la nostra amica svegliava l’armonia, chiamandola quasi confortatrice e compagna de’ suoi mesti pensieri. Oh! io mi sento sorridere tutta l’anima e scorrere in tutto me stesso la voluttá che allora m’infondeva quel suono. Esagero forse? Tu, che l’hai prima di me conosciuta, o Lorenzo, tu puoi ben dire

che a ben laudarla lagrimar conviene:

ed io non iscrivo che a te solo.

Certo ch’io non potrei né asserire né negare a me stesso ch’io l’amo; ma, se mai..., se mai..., davvero non d’altro che [p. 100 modifica] di un amore incapace di un solo pensiero. Dio lo sa! perché (e non tei dissi?) questo mio cuore vuol sempre occuparsi.

Mi fermava lì lì senza batter palpebra e senza neppur fiatare, con gli occhi, le orecchie e i sensi tutti intenti per divinizzarmi in quel luogo, dove l’altrui vista non mi avrebbe costretto ad arrossire de’ miei rapimenti. Ora pònti nel mio cuore, quand’udiva a cantar da Teresa quella strofetta di Saffo volgarizzata da me con l’altre due odi; unici avanzi delle poesie di quella veramente amorosa fanciulla, che la caligine dell’etá non ha cancellato:

                         Sparîr le pleiadi,
                    sparì la luna;
                    è a mezzo il corso
                    la notte bruna:
                    io sola intanto
                    mi giaccio in pianto.

Balzando di un salto, ho trovato Teresa nel gabinetto di Odoardo, poco discosta da un acceso focolare, assisa su la sedia stessa ov’egli soleva starsene nell’ore che dipingeva. Era ella neglettamente vestita di bianco. Il tesoro delle sue nere chiome disciolte velava parte della sua spalla destra e del seno, e scendeva a far parere piú candido l’ignudo braccio, che mollemente accompagnava le rosate sue dita mentre arpeggiavano fra le corde. Posava un suo piede sui pedali dell’arpa, e, sebbene mi fosse semirapito dalla veste e da un scarpino color di giacinto, io mi sentiva una certa delizia nel contemplarlo... Bensí Teresa sembrava confusa nell’aversi veduto d’improvviso un uomo che la mirava in abbigliamento così discinto, ed io stesso cominciava dentro di me a rimproverarmi di importunitá e di villania. Tuttavolta ella giá proseguiva, ed io sbandiva tutt’altro desiderio tranne quello di contemplarla e di udirla.

Tu se’ dunque sola, o Teresa? Ma tu, nella tua solitudine e in mezzo le ricordanze dell’aimor tuo, canti soltanto la mia canzonetta. Questo, questo solo mi sta nel cuore e mi domina tutti i pensieri.