Vera storia di due amanti infelici ovvero Ultime lettere di Iacopo Ortis (1912)/Lettera XIV

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Lettera XIV

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LETTERA XIV

12 novembre.

Ieri, giorno festivo, abbiamo con grande solennitá trapiantati i pini delle prossime collinette sul monticello di sabbia che sorge rimpetto la chiesa. Mio padre pure tentava di fecondare questo sterile monticello; ma i cipressi, ch’egli vi pose, non hanno mai potuto allignare, e i pini sono ancor giovinetti. Assistito io dunque da parecchi lavoratori, ho coronato la sommitá con cinque altissimi pini, ombreggiando inoltre la costa orientale di un folto boschetto, che sará il primo salutato dal sole, quando splendidamente comparirá dalle cime de’ monti. E ieri appunto il sole, piú sereno del solito, riscaldava l’aria irrigidita dalla nebbia del morente autunno. Le villanelle vennero sul mezzogiorno coi loro grembiuli di festa, intrecciando i giuochi e le danze di canzonette e di brindisi. Tale di esse era la sposa novella, tale la figlia, e tal altra l’innamorata di alcuno de’ lavoratori; perché i nostri contadini sogliono, come sai, quando si trapianta, convertire la fatica in piacere, credendo, per antica tradizione de’ loro avi e bisavi, che senza il giubilo de’ bicchieri gli alberi non possano mettere salda radice nella terra straniera.

Io frattanto mi dipingeva nel lontano avvenire un pari giorno di verno, quando, canuto, mi trarrò passo passo sul mio bastoncello a confortarmi ai raggi del sole, sì caro a’ vecchi, [p. 99 modifica] salutando, mentre sortiran dalla chiesa, i curvi villani, giá miei compagni ne’ di che la gioventú rinvigoriva le nostre membra, e compiacendomi delle frutta che, benché tarde, avranno recato gli alberi piantati dal padre mio. Conterò allora con fioca voce le nostre umili storie a’ miei e a’ tuoi nepotini, o a quei di Teresa, che mi scherzeranno d’intorno. E, quando l’ossa mie fredde dormiranno sotto questo boschetto omai ricco ed ombroso, forse nelle sere d’estate al patetico sussurrar delle fronde si uniranno i sospiri degli antichi padri della villa, i quali al suono della campana de’ morti1 pregheranno pace allo spirito dell’uomo dabbene, raccomandandone la memoria ai lor figli. E se talvolta lo stanco mietitore verrá a ristorarsi dall’arsura di giugno, esclamerá, volgendosi alla mia bassa tomba: — Egli innalzò queste fresche ombre ospitali!

  1. Chiamata da’ contadini la campana del De profundis, perché, mentre suona, sogliono recitar questo salmo per le anime de’ trapassati. L’editore [F.].