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Versi editi ed inediti di Giuseppe Giusti/Il Sospiro dell'anima

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Il Sospiro dell’anima

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Il Brindisi di Girella L'Incoronazione
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IL SOSPIRO DELL’ANIMA.


Ciascun confusamente un bene apprende
Nel qual si quieti l’animo.
Dante, Purg.


Suonar nel mio segreto odo una voce
     Che a se mi tiene dubitando inteso,
     E non sento l’età fuggir veloce
     In quella nota attonito e sospeso.
          Così rapido scorre e inavvertito
     Il libro, quando, per diversa cura.
     In se fermato l’animo e rapito,
     Non procede coll’occhio alla lettura.

Chi sei che parli sì pietoso e umìle?
     Un lieto sogno della mente? O sei
     Misterïoso spirito gentile
     Che ti compiangi degli affanni miei?
          Nella mestizia più benigno sorge,
     E tesori di gioie a me rivela;
     A me dubbioso e stanco aita porge,
     E così meco parla e si querela:

«Perchè sì pronto vai per il cammino
     Soave che per grazia il ciel ti diede,
     E sei fatto simíle al pellegrino
     Che per umida valle affretta il piede?
          No, no, questa non è terra di pianto,
     È giardino di fiori e d’acque ameno;
     Sofferma il passo, ah! non t’incresca tanto
     Il tuo gentile italico terreno.

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» Ma un sentier che la pace ha per confine,
     Laghi, perenni fonti, aure beate,
     Pianure interminabili e colline
     Di perpetua verdura inghirlandate,
          Sempre innanzi alla mente desiosa
     Siccome sogni ricordati stanno,
     E il forte immaginar che non ha posa
     Di stupor t’empie e di segreto affanno.

» Qui l’avida pupilla non s’appaga
     Nelle bellezze della donna amata,
     Nè tu vedesti mai cosa più vaga,
     Nè mai diversa donna hai desiata;
          O non ravvisi in lei l’Angelo vero
     Così velato di corporea forma,
     O quella che amoreggia il tuo pensiero
     Sopra i fior di quaggiù non posa l’orma.

» Vegliando incontro ai bei sogni ridenti,
     Ogni più chiuso albergo apre al dolore;
     E quasi armato di sè stesso, il core
     Vigor si fa degl’intimi tormenti.
          Di cosa lieve pueril talento
     Mai nol travolge seco in lungo oblio,
     E mai non seppe abbandonarsi, lento
     Seguendo inerzia, a lubrico pendio.

» Virtù d’amor non lieve e non mentita
     Come gemma derisa asconde e serba;
     La sua non terge per l’altrui ferita,
     Ma del comun gioir si disacerba;
          Non corre a maledir con facil piede
     Se il fatto non risponde all’alta idea,
     Vagheggia in sè coll’occhio della fede
     Secoli di virtude, e là si bea.

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» Però la mente tua, quando si cessa
     Dall’opre e dalle cure aspre del giorno,
     Ama, tutto tacendo a lei d’intorno,
     In quel silenzio ricercar sè stessa.
          E all’azzurro sereno, al puro lume
     Degli astri intendi l’occhio lagrimoso.
     Come augelletto dall’inferme piume
     Appiè dell’arboscel del suo riposo.

» Quest’ardito desio, vago, indistinto,
     È una parte di te, di te migliore,
     Che sdegnando dei sensi il laberinto,
     Anela un filo a uscir di breve errore;
          Come germe che innanzi primavera
     Dell’involucro suo tenta la scorza,
     Impazïente s’agita, e la vera
     Sentita patria conseguir si sforza.

» Però t’incresce il dolce aere e la terra
     Ch’ogni mortal vaghezza addietro lassa,
     E raro spunta dall’interna guerra
     Riso che sfiora il labbro e al cor non passa.
          Gli aspetti di quaggiù perdon virtute
     Delle pensate cose al paragone,
     E Dio, centro di luce e di salute,
     Ne risospinge a sè con questo sprone.

» Onde gl’inni di lode e il fiero scherno
     Che del vizio si fa ludibrio e scena,
     Muovon da occulta idea del bello eterno
     Come due rivi d’una stessa vena.
          Questo drizzar la vela a ignota riva,
     Questo adirarsi d’una vita oscura
     E la lieta virtù che ne deriva,
     Son larve, di lor vero arra e figura.»

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Ma quasi stretto da tenace freno
     Dire il labbro non può quel che il cor sente;
     E più dolce, più nobile, più pieno
     Mi resta il mio concetto entro la mente:
          E gareggiando colla fantasia,
     Lo stile è vinto al paragon dell’ale;
     E suona all’intelletto un’armonia
     Che non raggiunse mai corda mortale.

Ah sì! lunge da noi, fuor della sfera
     Oltre la qual non cerchia uman compasso,
     Vive una vita che non è men vera
     Perchè comprender non si può qui basso.
          Cinta d’alto mistero arde una pura
     Fiammella in mar d’eterna luce accesa,
     Da questo corpo che le fa misura
     Variamente sentita, e non intesa.

Come Elitropio, che l’antica mente
     Fingea Ninfa mutata in fior gentile,
     Segue del sole il raggio onnipotente,
     Del sol che più tra gli astri è a Dio simile;
          Continuando la terrena via,
     Rivolta sempre al lume che sospira,
     Seguirà, seguirà l’anima mia
     Questo laccio d’amor che a sè la tira.

Ahi misero colui che circoscrive
     Sè di questi anni nell’angusto giro,
     E tremante dell’ore fuggitive
     Volge solo al passato il suo sospiro!
          Principio e fine a noi d’ogni dimora
     Nell’esser, crede il feretro e la culla;
     Simili a bolla che da morta gora
     Pullula un tratto e si risolve in nulla.