Versi sciolti dell'abate Carlo Innocenzio Frugoni/11

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All'avvocato Suzani

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AL SIGNOR

CO: AVVOCATO SUZANI

Lo consola per la morte del Fratello.


P
Erche io 1’arti non sò, che puon di Morte

Romper le dure leggi? oggi non certo,
O Suzani, n’andresti in bruna spoglia
Avvolto, e in mezzo al cor da grave, acerba
5Doglia compunto; e in su la nera barca,
Che l’avaro Caron move pei stagni
Pigri di Lete, ritornar vedresti
Di là, donde alcun mai non fè ritorno,
Il tuo German diletto a le superne
10Aure celesti, e a le Magion de i vivi.
Ma nè Febo mi diè conoscer quelle
Erbe potenti, e que’ potenti sughi,
Di che il buon Figlio suo sparfe le caste
Lacere membra, e richiamolle in vita:
15Nè a tai prodigi de le prische Argive
Fole ho gran Fede, e sò, che i nostri nomi
Laggiuso Urna capace agita, e scote,
E tardi, o tosto in su l’orrenda riva
Noi tutti aspetta il Gondolier d’Abisso,

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20Per tragittarci in su l’antica prora
Ne scuri campi, e ne l’eterno esiglio.
Ben io ti posso in su l’Aonia cetra
Ornar di dolci armoniosi modi
Qualche di bei consigli aureo conforto;
25Sebben, che il duol, che i tuoi pensieri ingombra,
In me non lieve di tristezza impresse
Orma funesta; e poi che Teco in nodo
Di candida amistà mi unir gli Dei,
Prima sarà, che il Condottier del lume
30Muti 1’eterno corso, e de’ mortali
Nieghi a le lunghe notti il chiaro giorno,
Che i tuoi non senta amari casi avversi.
Dirai, che mentre ancor di vigor pieno
Al tuo German scorrea le vene il sangue,
35Nel più bel corso de’ suoi merti vide
Quella venir, che al nostro danno cieca
I miglior fura, e lascia stare i rei.
Duro il membrar quante sue belle intatte
Virtudi in notte intempestiva avvolte
40Da noi si dipartiro, e sparver seco;
E sò, che mai più viva in noi non sorge
Del ben l’immago, che qualor si perde.

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Or’ è, ch’ a mente ad ora ad or ti torna
Qual d’incorrotta fè, qual d’alto senno,
45D’alto consiglio in sen tesor chiudesse;
E qual su le sue labbra aurea soave
Vena di dotto ragionar versasse
Colei, che l’alte orecchie, e le superbe
Mente de i Re dolce lusinga, e piega;
50E vederlo ti sembra, allor che i cari
Patrj tetti lasciando in mezzo ai plausi,
E a i fausti Voti al Tebro il piè rivolse,
E Te in fronte baciando altro promise
Che là restarsi cener bianco, e freddo;
55Simile a Pianta, che qualor più lieta
Incontro al Sole con le folte chiome,
Col forte tronco si solleva, e largo
Ristoro d’ombre a i Greggi stanchi, al lasso
Passaggier porge, e il natio campo onora,
60Da inaspettata acuta folgor colta
Da 1’alto al basso inaridita cade.
O nostra sventurata egra Natura,
Che cadendo altrui sei lunga di pianto
Cagione; e se più tardi il fosco prendi
65Cammin di morie, 1’altrui duro Fato

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Lassa! sopravvivendo a pianger resti.
Però sebbben Torrente allor, che spuma
Precipitoso, e doppie sponde, e doppi
Argini impaziente urtando atterra
70Umana possa invan travolger tenta,
Pur ove scemi la volubil Piena,
Il doma sì, che tien rispetto, e fede
Ed a la colta, e a la non colta piaggia:
Non io del tuo dolor frenar tentai
75Gl’impeti primi, ne il piacer ti tolsi,
Che provan nel lor pianto gl’infelici.
Ebbe pietà il suo dritto, ebbel Natura;
Or se ’1 abbia ragion. Serena il ciglio,
T’accheta, e in pace al tuo destin consenti.
80Colui, che piangi, queste inferme cose
Carco di pregi, e di memoria degno
Cangiò con le immortali, ed or sul Cielo
Sotto il candido piè si mira il Sole,
E gli aurei cerchi, e i lumi erranti, e i fissi
85E se pur ver Piacenza un vivo ardente
Sguardo volge talor, con noi s’adira,
Che piangiam sua ventura, e andiam per cruo
E tempestoso Mar fra densa nebbia

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D’insano error, e fra crudeli venti
90Di torti affetti, e di discordi voglie,
Con debil legno, e con incerte vele
Lungi dal vero eterno Porto errando.