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Versi sciolti dell'abate Carlo Innocenzio Frugoni/3

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A SUA ECCELLENZA IL SIG. ANTONIO RAMBALDO DEL S.R.I. CO. DI COLLALTO

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A SUA ECCELLENZA IL SIG. ANTONIO RAMBALDO DEL S.R.I. CO. DI COLLALTO
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A SUA ECCELLENZA IL SIG.

ANTONIO RAMBALDO

DEL S.R.I. CO: DI COLLALTO


Nelle nozze della Sig. CONTESSA D. GIULIANA

sua Figlia.


G
Enio, ch’ami le cetre, e le ghirlande,

E i Nuziali riti, e l’alme faci,
     Che il buon Figliuol d’Urania in Cielo alluma,
     Scorgimi in Pindo, e dove lungo un fonte
     5Diletto a Citerea giovane Mirto
     L’aure d’odor cosperge, e d’ombra il suolo.
     Siediti meco, e meditiamo un canto,
     Che le Contrade de la bella Parma
     Di nova, o dolce maraviglia ingombri.
     10Non osa, ove tu sei, l’aspra fatica
     Mostrar l’ingrato volto. Ovunque vai,
     Te de gl’ingegni, Te signor de l’arti
     Seguono il facil’ estro, e l’aurea copia,
     E il favellar, che splendido s’avvolge
     15Tra le felici immagini del vero.
     Tu me nascente in riva al Mar di Giano,
     Tu me guardasti con sereno ciglio:

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     Sento il tuo Nume, e già la dotta lira
     Degna, che in sì buon dì d’alto si mova,
    20 Ecco da se fra le mie man discende.
     Chi non sà, quanto mai possente Amore,
     E quanto industre sia , l’acque, e le terre
     E l’aer vasto col pensier discorra.
     Vedrà, che quanto è Vita, e quanto è bella
     25Cura di riprodur, ciò che nascendo
     Sotto il fatal di Morte antico impero
     Cade, e vien manco, è d’Amor opra, e dono
     Amore a i pinti augei, che lieve piuma
     Atta a i diversi voli orna, e sostiene,
     30I bei fecondi amplessi, e i cari nidi,
     Amore a i muri abitator de l’onde
     I dolci furti, e i molli scherzi insegna.
     Amor le valli, Amor le dure rupi,
     Amor i campi, Amor le selve incende,
     35E le placide belve, e le silvestri
     Soavemente accompagnando, adempie
     L’eterna legge, che a i suoi forti strali
     La lunga fede, e il provido riparo
     Quaggiù fidò de le create cose.
40Però chi vegga di qual’ almo nodo

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     Amor distringe, e a propagarsi invoglia
     L’umana gente, che del sommo Fabbro
     L’ aura divina in cor racchiude, e volge,
     Dirà maravigliando: Ah sola questa
     45L’eterna man distinse, e questa sola
     A i doni augusti, e al gran retaggio elesse.
     Quei, che insiem lega marital catena,
     Duo più non sono, e più non son tra loro
     Dissimili, e diverti. Ecco in due salme
     50Par, ch’ una sola volontà concorde
     Uno spirito solo abiti, e viva.
     Grazia celeste il bel legame infiora,
     E d’ambrosia l’asperge, e lo dà in guardia
     Al saggio, natural, dolce disio
     55Di certa prole, che poi faccia intorno
     Quasi propago di novelle olive,
     A le paterne mense ombra, e corona.
     Sel vede l’Alma Fè, che intatti gode
     I talami serbar, sel vede, e priega,
     60Perchè colei, che tutto rompe, e solve
     Tardi il recida, e tardi lo contristi
     Di sospiroso, vedovile affanno.
Saggio Rambaldo, che le Tosche Muse

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 Teco chiamasti ad abitar su l’Istro,
     65Nobil Cultor di Pindo, e de le prische
     Storie, Maestre de la vita, amico,
     Non io di quanti, per sì caro, e santo
     Nodo trasser quaggiù beati giorni
     Farò memoria; perche in ampia Messe
     70Scerre mi giova sol due spiche elette,
     Che d’aureo gruppo novamente avvinte
     Veggio or lungo la Parma empier di speme
     E di gioconditate i patrj solchi.
     Veggio il Melio Garzon, che ne le vene
     75Non tralignante mai volve il buon sangue
     Succo regal: Veggio 1’eccelsa Donna,
     Cui lo accoppiar gli Dei, Donna, che vero,
     E degno germe del Collalto ceppo,
     Venne per lungo onor d’Avoli egregi
     80Dei Longobardi Re da 1’alta stirpe.
     Qual’ altra vide, o qual vedrà più lieta
     Altra copia di poi 1’Italo Cielo?
Di, se dal ver mi parto, e se i miei detti,
     O Dio Febo, di lusinga aspergo.
     85Forse tu cinto di purpuree rose,
     Novo in sul Taro celebrato Sposo

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     Caro a l’intonso Apollo, e caro a Marte,
     O se t’armi di plettro, o se pur tratti
     Ne gli Ungarici Campi Asta guerriera,
     90Seguace de l’invitte Aquile Auguste,
     Dimmi, tu forse di letizia acceso
     Non dai grazie ad Amor, ch’a sì sublime
     Sposa gentil Te destinò, Te scelse?
     Dacché Tu seco anzi in Lei vivi, e spiri,
     95Veggio, veggio ben’ io, che ne’ tuoi lumi
     Altra luce miglior scintilla, ed arde;
     Tutto mutato sei: suonan dolcezza
     Le tue parole, e d’ogni parte fai
     L’interno gaudio trasparir, qual fuori
     100Di schietto permeabile cristallo
     Chiuso tralucer suol tremolo raggio.
     Tu sai, quali in cor nudre, e al vulgo cela
     Rare doti Costei, Costei, ch’or bea
     Le tue tranquille notti, unico segno
     105De i saggi desir suoi. Ferma in lei stanza
     Poser somma onestate, amabil grazia,
     Celere accorgimento, e grave senno.
     Questa è beltà verace. Ah mal s’accende
     Chi una fedel del Talamo compagna

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     110Cercando, al volto lusinghier s’arresta,
     Ove di fresca gioventù, che piace,
     Per poco ride fior caduco, e breve,
     Nè stolto cerca, qual le vaghe forme
     Regga, e per entro non veduta avvivi
     115Alma, fonte de l’opre, e de i costumi,
     E de gli affetti, e de i pensier Reina;
     E tardi poi sul mal pensato, e stretto
     Vincolo, d’ira, e di dolor si strugge,
     Favola de le genti. Anche 1’incauto
     120Pastor, che vinto da stanchezza fida
     La destra, e il fianco a l’erba molle, e verde,
     Dipinta di viole, e di ligustri,
     Senza osservar, se insidiosa serpe
     Alberghi, e copra, invan se stesso accusa,
     125E la vaghezza del ridente prato,
     Punto dal dente reo, tardi detesta.
     Veder conviensi di qual pianta tagli
     Ramo, che innestar vuoi. Passa ne’ figli
     L’indole patria, e tra gli esempli cresce,
     130E si fa ferma, e si avvalora in modo,
     Che niun consiglio, niuno studio ha forza,
     E niun corso d’età, perche s’ammendi.
Ben tel vedesti Tu, vivo de i Meli,

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     E de la Patria onor, Garzon bennato,
     135Ed in buon punto ardesti al puro foco
     Di quelle luci, che ver Te pietose
     L’inelita Giuliana alfin converse.
     Mira qual ben disposto, ed agil corpo
     Avvolga in ricchi manti, e come i passi
     140In leggiere volubili carole
     Vezzosamente maestosa intrecci.
     Odi in quante non sue culte favelle
     Schiuda gl’ interni sensi, e, quasi vena
     Di presto mele ibleo, versi tesoro
     145Di peregrini accenti. In Lei ravvisa
     Le materne virtù; ravvisa in Lei
     Trasfufo il Genitor, che tanto accresce,
     E tanto illustra lo splendor de gli Avi.
Mestier certo io non ho di pormi a tergo
     150Immaginate penne, e gir nel grembo
     Caliginoso de i futuri tempi,
     E là dentro veder, qual deggia questo
     Nobile Par d’Amanti al secol nostro
     Dar generosi Figli, ond’ abbian grido
     155Le Toghe, e gli Ostri, e le onorate spade,
     E l’Italico nome in pregio torni;

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     Perocché senza ricercar de’ fati
     Le custodite, favolose sedi
     Possonsi i prodi argumentar da i prodi,
     160E su le cetre presagir, mirando
     Le lor sorgenti, ove, qual pianta in seme,
     Vicini a pullular stannosi avvolti.
Orna adunque i tuoi Tetti, e di fior spargi
     Le vie, che pregan, che il leggiadro piede
     165Le prema, e segni, e la superba Rocca,
     Seggio de i prischi Lupi, empi di festa,
     E di solenne, inusitata pompa,
     Bella Soragna, e al bel Connubio applaudi,
     Che ben ragion tu n’ hai. Candide, e terse
     170Intanto io quinci avventurose rime,
     Scelte fra mille in su l’Ascree pendici
     Mando su l’Istro a l’immortal Rambaldo,
     Perche il cortese suo favor le scorga,
     Laddove l’alma Euterpe i degni Nomi,
     175E i degni versi in auro incide, e serba.