Viaggio da Milano ai tre laghi Maggiore, di Lugano e di Como e ne' monti che li circondano/Capo VII

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Capo VII. Valli d'Ossola, Antrona, Bugnanca e di Vedro

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CAPO VII.

Valli d' Ossola, Antrona, Bugnanca,
e di Vedro.


In due distretti, direm così, divideasi una volta la valle d'Ossola, superiore e inferiore. Di questa, che stendeasi dalla foce della Tosa sino a Vogogna e alla Masone, già parlammo. Ora restaci a parlare della prima che è molto più estesa. Già avvisammo che dalla Masone, tragittando sul nuovo ponte il fiume, vassi sur una strada, sostenuta a foggia d’ argine, dirittamente a Palanzeno fra estesi prati, e costeggiando la destra del fiume medesimo. Ma chi è disposto ad andare a piedi o a cavallo, può tenere la sponda sinistra, passando per Prata, e indi per Caldezza, picciole terre.

Il monte, che s’ha a destra, comincia qui ad essere di quel granito venato, o sia in tavole, che da alcuni è chiamato serizzo, e che noi chiamiamo comunemente beola, [p. 84 modifica]forse dal vicino villaggio di questo nome, a cui, continuando per la medesima via, in breve tempo si giugne. Questo sasso è di frequentissimo uso, e quindi di grandissimo vantaggio pel nostro paese. Facilmente si taglia, seguendo l'andamento delle vene ben visibili, e se ne formano tavole di alcuni metri in lunghezza, e di molti piedi in larghezza, che sebbene sottili, pur sono difficili a spezzarsi, e in certo modo sono anche pieghevoli, attesa la lunghezza delle fibre onde il sasso è composto. Trovasi esso pure nell'opposto monte alla destra del fiume; e l'esser qui la Tosa navigabile sempre, (e lo è talora, quando alte son le acque, sino a Crevola) fa che facile e di poco dispendio ne sia il trasporto. Suna presso Pallanza suol essere il deposito delle beole, che su maggiori barche poi si caricano.

Da Beola, per incomoda strada, ora fra ben coltivate campagne, ora sulla rupe, o appiè della medesima, viensi alla pianura di Masera (Maceria) rimpetto a Domo. Amenissimo è questo luogo per le molte case di campagna che fra feconde vigne e fruttiferi broli v'hanno i ricchi abitatori di val Vegezza, e d'altri più elevati paesi. Si va a Trontano costeggiando la Melezza, che qui entra nella Tosa, di cui parlerò al Capo IX, o vero, tragittandola, si va al vicin villaggio di Masera. [p. 85 modifica]È qui pure la barca che trasporta oltre il fiume chi vuole andare a Domo.

Ma a questo insigne borgo ora viensi rimontando il fiume alla sua destra sponda, ov’è la strada carreggiabile che porta al Sempione. Da Palanzeno vassi per altra diritta via tra ’l fiume e ’l monte a Villa, detta Villa Coletto: ivi si tragitta su bel ponte il fiume Ovesca all’uscire dalla valle; e poichè questo fiume, appena giunto nel piano, in molti rami dividesi, è stato necessario formare un tratto di strada nel tagliato monte granitoso, e in gran parte di granito in tavole, il quale servì a costruire la muraglia che la strada sostiene. A Villa alcuni possessori di miniere d’ottimo ferro, e di forni da fusione in vall’Antrona, hanno grossa fucina, o maglio.

Da questo paese s’entra in vall’Antrona. Gli antiquarj ne derivano il nome dai Centroni, popoli antichi del Vallese, che qui voglionsi venuti quando gli Antuati loro socj entrarono in val d’Anza; e li etimologisti vi trovano la valle degli Antri, o sia caverne, cioè cavi fatti ne’ monti per estraerne le miniere metalliche e ’l sasso ollare. Oltre il ferro che v’abbonda, non però in filoni ma in gruppi, il cav. Robilant nomina quattro cavi di pirite aurifera, che lavoransi in questa valle, cioè al Portico di S. Pietro, a Camasca, [p. 86 modifica]ad Antrona-piana, e al filon del salto: quest'ultimo dà dan. 6 ¼ per % d'oro. In questi ultimi tempi lo scavo delle miniere aurifère è cresciuto, cosicché chi fuvvi pochi anni sono, vi contò più di 100 mulini per ridurre in polvere la pirite. Molte terre ha questa valle, che stanno a destra e a sinistra del fiume Ovasca. A destra v'ha Sepiana, Mezzavalle, Caveo; a sinistra Montescheno, Sonca, Cheggio, Antrona-piana sul finir della valle, ov'è effettivamente un piano, è Locasto. In mezzo alla valle v'è la terra di Sciaranco. Da Antrona-piana una non lunga strada conduce a Macugnaga, e una più lunga pel monte Moro nel Vallese. Non lungi da Antrona-piana v'è un laghetto abbondante di trote. Sui più scoscesi monti trovasi del bell'amianto; ma comunque siasi in questi ultimi tempi rinvenuta l'arte di ridurlo in tele e in carte, non se ne trae vantaggio.

Da Villa la strada va retta sin presso a Domo, lasciando a sinistra, or più or meno in alto, le terre di Costa, Valpiana, Calice e Valanzo, e a destra le Cabane o sia magazzini e casucce per lo più di legno, ove deporre si suole ciò che sin qui viene pel fiume o qui si carica, e oltre il fiume v'è Beola, di cui parlossi, Quarta e Coasca. Prima di giugnere a Demo vedasi un monticello chiamato il [p. 87 modifica]Calvario, così detto perchè rammenta il monte consacrato colla morte del Redentore. Osserverà il naturalista che qui il monte è di roccia primitiva fogliata a strati verticali, ma non in tutto uniforme, perchè una parte è di scisto micaceo, e l’altra di gneiss; e che tale è pure l’opposto monte di Trontano.

Prima d’arrivare a questo colle v’è all’ovest una breve valle, detta valle d’Anzone, importante perchè somministra quel sasso ollare che noi chiamiamo pietra da Lavezzo o Lavezzella che resistendo al fuoco, serve ad utensili di cucina e alle stufe, in questa e nelle più elevate valli, necessarie e frequenti; e serve del pari per fabbriche e per ornati, che ben lisciati somigliano bronzo. Da alcuni e detto Fonolite (pietra-suonante), perchè assottigliata e percossa dà un suono.

Piega la strada a sinistra scostandosi dalla Tosa, e dopo mezzo miglio si giunge a Domo, così detto ne’ tempi posteriori, perchè ivi era la chiesa principale e matrice di tutta la valle. Anticamente questo borgo chiamavasi Oscela, e vuolsi edificato dagli Osci, vetusti popoli dell’Etruria. Tolomeo colloca Oscela nei Leponzj. Questo borgo subì la fortuna di tutti gli abitatori di questa valle, soggetta in ogni tempo ad essere infestata dai Vallesani e da altri Transalpini, che pel Vallese venir soleano in Italia. Fu ne’ bassi tempi [p. 88 modifica]chiamato la Corte di Mattarella, 1 e soggiacque ai Vescovi di Novara, che v’aveano un buon castello, indi ai Visconti, agli Sforza e a tutti i Signori di Milano, finchè fu, come; parte dell’Alto Novarese, ceduto al Re di Sardegna, e or appartiene al regno d’Italia. Non poteva edificarsi in più inopportuno luogo un borgo. Il fiume Bogna da molti secoli gli accumula intorno le ruine de’ monti che vanno disfacendosi, e già n’ha coperta di steril ghiaia la campagna, un tempo fertile. Ciò devesi in gran parte all’avere distrutte le selve di val Bugnanca, e introdottavi l’educazione delle capre, per le quali nessun albero vi può crescere, e rattener così la terra contro la corrosione delle acque. Domo, secondo Saussure, è 157 tese sopra il livello del mare.

Era Domo altre volle considerevol castello cinto di mura di pietre tagliate, che sembran essere d’ardesia o di sasso calcare: di tegole ardesiache son certamente i tetti delle case. Nella chiesa parrocchiale vedonsi molti lavori di pietra ollare. La nuova strada, per cui molto si è distrutto de’ vetusti edifizj, ne ha fatta dilatare e innalzare la contrada principale. La fabbrica della dianzi chiesa di S. Francesco è a sassi neri e bianchi, i primi [p. 89 modifica]dei quali sono della mentovata pietra ollare. Domo è ora opportunissimo luogo per una fiera. Val Bugnanca, che dal fiume ha il nome, quantunque poco profonda, è bastevolmente larga e popolata. Sta pur in essa qualche miniera di pirite aurifera. Incontrasi Vagna, vedesi all’opposta sponda Cesore, ov’è una cava della mentovata pietra ollare: v’è quindi la parrocchia di S. Marco, e a destra il monte Ossulano, su cui sta la chiesa di S. Gottardo. Trovansi poi Bugnanco di dentro, e Bugnanco di fuori, l’uno a destra e l’altro a sinistra del fiume. Sul monte ch’è al nord della valle trovasi profondo laghetto.

Da Domo a Crevola diritta, alta ed amena è la strada, lunga circa due miglia. Sulla Bogna, torrente che la attraversa, è formato un bel ponte. Giunta al monte, che le sta in faccia, la strada, tagliata or nel granito, ora nello scisto micaceo, ora nel quarzo, comincia a salire per andare al ponte costruito sul Dovedro, o Vedro, Vecchio, o Diverio, giacchè con tutti questi nomi dagli scrittori trovo nominato il fiume che viene dal Sempione, e presso la terra di Crevola perde ne la Tosa le acque e’l nome. Questo ponte che attraversa la valle è imponente; ha 100 metri di larghezza, e 28 metri è alto dal letto del fiume, dal cui mezzo sorge una pila di granito somiglievole ad una torre. Il botanico vedrà [p. 90 modifica]con meraviglia vegetare, sebbene stentatamente, le opunzie al nord del ponte. Si continua a salire sino al casolare detto Morgantino, presso cui trovasi un marmo non dissimile da quello della Candoglia, dice monsig. Bescapè vescovo di Novara; che nelle visite sue pastorali osservava pur sovente le cose con occhio da naturalista e da antiquario2. Egli trovò pur qui gli avanzi d’un’iscrizione che Alciato copiò intiera a Sesto Calende, (e che ora è in Milano) postavi da certo Veccone o Beccone, sulla quale è scolpito a rilievo un becco3. Parlai già d’altra [p. 91 modifica]iscrizione relativa al viaggio di Cesare; e sebbene questa sia forse supposta, certo è però che narra egli stesso4 d’aver fatta adattare al trasporto delle merci dalla Gallia Cisalpina alla Transalpina, questa via delle Alpi. Il mentovato marmo forma un ampio strato inclinato che attraversa il fiume, e da esso son tratte le otto colonne, di circa undici metri di altezza, destinate al grand’arco sull’ingresso della strada Napoleona (del Sempione) in Milano. Questo marmo, come la dolomia, strofinato nell’oscurità è fosforico. [p. 92 modifica]

Si discende alquanto, giacchè, per la ripidezza e durezza del sasso è convenuto salire piucchè il corso del fiume non l’esigeva. La strada sempre larga 8 metri è sovente tagliata nel granito, o nello scisto argilloso granatifero, in cui ben discernibili sono i grossi granati. Per la difficoltà di rompere e tagliare il sasso (che in un sol luogo era traforato, e chiamavasi l’anello di cui ora solo vedesi un resto) la vecchia strada passava dalla sinistra alla destra riva; ma ora alla sinistra sempre continua, perchè ha il vantaggio d’esser in faccia al mezzodì. Ove il monte lo impediva, questo s’è traforato, formandovi la prima galleria, larga otto metri; come il resto della strada, alta sei, e lunga 60: una grande apertura nel mezzo verso il fiume serve a darle luce; che pur ha dai due ingressi posti in retta linea. Vedesi in essa un filoncino di pirite di rame. Non tardasi a vedere aprirsi verso nord la valle sinora augustissima. Varzo chiamasi quel paese formato di molti casolari. Gli studiosi delle antiche lingue osservano che Varzo o Vargo in lingua celtica significa apertura e dilatamento, onde un’origine celtica danno a questa, come alle vicine popolazioni. Su bei ponti tragittansi i tre torrenti di essa che vengono da elevati ghiacciai. I ponti son di travi su basi di sasso, come in tutta l’Ossola. [p. 93 modifica]

Al ristringersi della valle del Dovedro è convenuto scavare la strada molto nel sasso, ch’è sempre granitoso e in massa, e farvi un’altra galleria sotto Trasquera. Questa non è più lunga di dieci metri. Chiamasi la galleria d’Isella, nome d’un paesuccio, a cui presto s’arriva.

Gli enormi massi che son nel fiume, le vaghe cascate d’acqua spumosa, le spalle e le creste de’ monti coperte di faggi, o ispide per gli abeti, le grandi scogliere che stanno in alto, e par che minaccino di cadere, sono tutti oggetti che occupano e sorprendono e talora pur ispaventano il viaggiatore.

Da Isella si va a Gondo, ma prima di giugnervi si passa per due gruppi di case, de’ quali uno dicesi Balmerei, e l’altro San Marco. Ivi vedesi a sinistra una vaghissima cascata. Gondo sta presso al confluente d’un torrente, che venendo dal S. O. si getta nel Dovedro. Lì presso è una miniera di pirite aurifera5, e sen lavorano tre filoni, i quali stendonsi anche alla sinistra del fiume. Ivi pure è un filone di marmo, che somministra la calcina alla parte media della valle. Presso Gondo è il confine del Regno Italiano, e comincia il Vallese, ora Impero Francese. [p. 94 modifica]

Dopo Gondo, la strada che sin qui parea stendersi in un piano, non avendo che sei piedi d’alzata per ogni centinaio, non diviene già molto più ripida, (poichè in 400 metri non s’alza che di 32) ma è doppiamente piegata, per acquistare dolcemente la brusca alzata che fa monte. Lì presso incontrasi della bella distene, o sia cianite, con entro de’ grossi, ma non trasparenti giacinti. Così si prosiegue sino al torrente di Frassinone, che precipita da alto ghiacciaio, appoggiandosi a duro granito verso N. O. Qui non solo si è formato un bel ponte presso una cupa e fragorosa cascata del Dovedro, ma è pur convenuto scavarvi in seguito una galleria lunga 182 metri, la quale, tanto per secondare le ripiegature del monte, quanto per istabilirvi una linea visuale di direzione è stata distribuita in tre parti, con due ampie aperture, che lasciandovi penetrar la luce, ne accrescono l’orrida maestà.

All’uscirne si tragitta il fiume per qualche tratto, tenendo la sponda destra del Dovedro; e si ritorna per altro ponte a sinistra, poco lungi dall’ultima galleria detto di Gabio, nome del vicin paese, posto ove il fiume piega al nord. Quest’ultima galleria è di 70 metri. Il Gabio ne ha 1289 sopra il livello del mare.

Poichè costeggiando il fiume, siccome fassi [p. 95 modifica]per l’antico sentiere, ripidissima riuscirebbe via, gl’ingegneri francesi, che qui sottentrarono agl’italiani, per considerevol tratto la prolungarono verso ouest, acciò più dolce riuscisse, qual di fatti è, la salita per giugnere al villaggio di Sempione, che gli abitanti, i quali parlano un corrotto tedesco, chiamano Simplendorf. Non brutto paesuccio è questo per quella grande elevazione; e vi può trovare ristoro e ricovero.

Ma volendo andar sino alla vetta, si passa presso il casolare di Camasca, vedendo all’ovest due gran ghiacciai, e gli strati e le piramidi loro, e un altro poi sen vede a destra, ove presso la strada scorgesi ancora negli abbattuti e infranti larici la ruina da esso portata per una così detta Avallanca.

Presso al ghiacciaio istesso vedesi il filone di quel sasso calcare6, che trovasi in altri luoghi delle alte Alpi, e fu, pel cav. Dolomieu che primo ne scoprì le proprietà, chiamato Dolomia: or chiamasi da naturalisti calce carbonata magnesifera, perchè contiene di fatti molta magnesia. Si calcina però, benchè sia sì dura da dar fuoco alla percossa dell’acciarino, e serve a tutte le fabbriche di que’ contorni; ed è rimarchevole che tal [p. 96 modifica]pietra fassi cadere dalle più alte creste de’ monti.

Non tardasi a giugnere alla solitaria casa del sig. barone di Stockalber, che pare una torre quadrata, anzi che una casa destinata a servire d’ospizio ai viandanti7. V’abitano, appunto per esercitare l’ospitalità, alcuni Canonici regolari qui venuti dal Gran San Bernardo; ma ora ad essi si fabbrica più presso alla vetta un’abitazione più adattata all’oggetto della loro istituzione; essendo loro state assegnate nel regno italiano entrate sufficienti a tal’uopo. In quell’altezza abbondano pure vene metalliche; ma, per quanto io so, non utili sinora. Pochi alberi vi si veggono, ma il monte, ove v’è terra, vedasi coperto di rododendri, e gli scogli lo sono di licheni or rossi or verdi. Trovasi a quell’altezza un’estesa torbiera, che la strada ha tagliata.

La vetta chiamasi il Plateau. Ha al fianco orientale un gran ghiacciaio, che parte delle acque manda all’Italia, e parte alla Francia: queste entrano nel Rodano. La nuova strada, stando sul fianco del monte che guarda mezzodì, nella quale pur v’è la galleria delle Tavernette, dolcemente discende a [p. 97 modifica]Briga: dicesi però più esposta ai venti che la vecchia via la quale immediatamente discende, e quasi precipita nella valle; ma non è carreggiabile.

Notai già che alcuni, latinizzando il nome del monte Sempione, chiamaronlo Mons Sempronii: altri Mons Scipionis; ma monsig. Bescapè, con miglior criterio, crede doverlo chiamare Mons Caepionis, sapendosi che tre anni avanti la battaglia di Mario, di cui parlammo, il console Gn. Servilio Cepione avea sin colassù condotte le legioni contro i Cimbri, che già da quella parte minacciavano l’Insubria e l’Italia. Collega di Cepione era Manlio, da cui probabilmente ebbe il nome Ponte-Maglio, di cui parlerò nel Capo seguente.

Dalla vetta, come dissi testè, continua la nuova via nel Vallese, e quindi alla destra, o sia al nord del Lago di Ginevra, pel paese di Vaud, o alla sinistra (ed è più breve) pel Faucigny, per andare in Francia.


    Alla più grande altezza. All'altezza media.
    Phaca australis. Saxifraga inconstata. De
    Rhodiola rosea. Vest.
    Aster alpinus. ---- bryoides.
    Artemisia mutellina. ---- androsacea.
    ---- glacialis. Silene rupestris.
    ---- spicata. Arenaria biflora.
    Cherleria sedoides.

  1. Capis Della Corte di Mattarella. Milano 1673
  2. Novaria sacra. Lib. I. p. 204
  3. All’erudito viaggiatore piacerà legger anche 1a lapide tratta dal codice dell’Alciato, e riscontrata colle stampe del Grutero e del Bescapè.

    Vivus        Fecit

    BECCO . MOCC
    ONIS . Filius . SIBI . ET . VTI
    LIAE . VECCATI . Filiae . VX
    ORI . ET . FRONTO
    NI . Filio . ET . CRACCAE
    LIVONIS . Filiae . VXO
    RI . ET . MASCIO . Filio
    ET . PRIMAE . OG
    TAVI. Filiae . VXORI . ET
    SEXTO . Filio

    Dai nomi barbari di Beccone, Moccone, Veccate, o Beccato, Livone, Mascio, Cracca si deduce che tal famiglia per anche non avea conseguita la romana cittadinanza. Si nota in oltre quanto antico e di celtica origine sia il vocabolo Becco nel significato datogli da’ moderni, cioè di rostro d’uccello e di capro. Per l’uno Svetonio in Vitellio, parlando di Antonio nato in Tolosa, c’insegna cui cognomen in pueritia becco fuerat: id valet gallinacei rostrum. Per l’altro basta il cippo anzidetto, nel cui frontispizio vi ha il capro o becco, simbolo che vivo ancora si fece il sepolcro, perchè avea nome Boccone, ciò che confermasi con varj esempli. Narra Plinio che Sauro e Batraco nelle Spire di certe colonne da essi lavorate incisero la lucertola ed il ranocchio per indizio del loro nome; scrive Lattanzio che la meretrice Leaena fu scolpita in forma di Lionessa, e Venatore nel Museo Veronese ha effigiata sull'epitaffio una caccia; Tito Statilio Apro mostra un cinghiale in Grutero; Publio Elio Tauro un toro in Fabretti; anzi nelle monete Voconio Vitulo ha un vitello, Furio Crassipede un piede, Publicio Malleolo un martello; sopra di che si consultino da chi più desidera i numismatici e i trattatori di epigrafia (Nota tratta da un esemplare di questo viaggio postillato dal sig. dott. Gio. Labus).

  4. Commentar. Lib. I
  5. La miniera di Gondo è di rame piritoso. Nel 1807 se n’era perduto il filone, che si ritrovò nel 1811.
  6. I calcari cristallini sono di formazione intermedia: alternano cogli scisto-quarzosi, e col calcare-saccaroide.
  7. Prima di giugnere all’Ospizio vedonsi gli scisti micacei. Oltre il monte lo scisto è a base di talco; presso l’Ospizio, calcedonia semi-trasparente.