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Viaggio di un povero letterato/XV

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XV - Venezia e il trippàjo

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XIV XVI
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Capìtolo XV.


VENÈZIA E IL TRIPPÀJO.


Venèzia! Trionfo di Santi e di pòpolo! Lo dìcono le vie, cioè i nomi delle vie in quei sèmplici rettangoletti bianchi di calce, filettati di nero.

Oh, bei nomi di Santi e di profeti, diventati tutti cittadini veneziani, San Bartolomeo, San Nicolao, San Marco, San Polo! Oh, bei nomi di Madonne, gloriose e formose! Quasi mi è parso, levando gli occhi al cielo, di vederti, o Madonna, Madonna del Tiziano, Madonna del Veronese, magnìfica nella corona degli àngioli e assunta al cielo; e gli àngioli festosi àgitano le palme e guardano il tuo mare, o Venèzia!

Bei nomi di condottieri, bei nomi di popolani, di artieri e di arti, hanno le tue vie, o Venèzia, con dichiarazioni precise, ùmili ed anche gloriose. Per [p. 156 modifica]esèmpio questa: Fondamenta di donna onesta! Mi sono soffermato a lungo a studiare queste singolarìssime fondamenta, tanto che alcune donnette mi chièsero se avessi perduto qualcosa. Risposi che chiedevo a quale pia leggenda si riferisse quella denominazione, e dove avesse abitato quella «donna onesta».

Una volta la ghe sarà stada: adesso la xe andada via! — rispòndono.

Ecco, io penso, verrà il giorno, e non lontano, in cui tutte queste singolari denominazioni di vie perderanno di significato. A molti non piàcciono i Santi; v’è chi ha in disprègio il dialetto; v’è chi crede troppo sèmplici questi riquadri imbiancati. Allora si farà come a Milano: invece di un rettangoletto imbiancato, metteranno una lastra di marmo con quattro bòrchie di metallo dorato, e in mezzo un nome moderno con la sua bella dichiarazione, in modo da facilitare al pòpolo la sua istruzione. Sparirà un po’ anche il costume del vestire. Mi meravìglio come già non sia sparito. Donne pàssano ogni tanto per le calli silenziose, vàrcano i ponti: testoline brune e bionde scoperte; visetti scialbi — cìpria fatta anche un po’ con l’anemia; [p. 157 modifica]— ma lo scialle nero a gran frange, ricade dalle spalle a terra con una maestà di peplo. Guarda quella strega magra! Ha una testa dogale. Pàssano; e il suono lamentèvole del dialetto, rotto da gàrrule risa, da interiezioni, Maria Vèrgine! fa venire in mente uno stormire di ròndini. Le loro gonne sono ancora gonne àmpie, nere, all’antica, e le loro scarpette sono pòvere scarpette. Così è oggi come una volta. E i greci in gonnellino? e gli orientali in turbante? Non vi sono più. E dove è trasmigrato quel vècchio cantastòrie, tutto rughe, tutto grinze, che ripeteva con voce che pareva le onde del mare, la stòria della regina Cornaro, di Marcantònio Bragadìn? Deve èssere ben morto.

Vòglio andare da me uno a San Marco, e vedere se mi ricordo. Ecco, mi sono smarrito in questo dèdalo di calli. V’è un odorino..., ma non è puzzo: odor di àlighe dai canali verdi, di lumachini, di vecchi fòndaci: ma non è puzzo. È odore di Venezia. E nemmeno si può dire, sporcìzia: quel bucatino di bimbo, a festoncini, sospeso lassù, è grazioso. Èccomi in un campiello dove pare che l’orològio del tempo si sia fermato. Le case [p. 158 modifica]sembra che stìano per cadere da un momento all’altro per malattia di decrepitezza: ma quella cappa elegante di camino le tiene su. È lùglio, e c’è un ribrezzo di umidore in questo campiello; ma un tronco di glìcine, che beve la sua vita chi sa da quali morte putrèdini, sale su pel vècchio muro, lambe alcune transenne bizantine, sale su e cerca il sole: ha trovato il sole lassù su quell’altana, s’è arrampicato attorno alle quattro colonnette bianche dell’altana e vi forma un diàfano padiglione di verde e di gràppoli color lilla. C’è una signorina lassù sull’altana con tutti i capelli biondi, sciolti al sole. Sta assorta, con le mani a leggio: ella legge. Quale libro? Daniele Cortis? Il Fuoco? Già un tempo fu Madonna Isotta e Messer Tristano! E il sole vi scherza sempre.



Ecco il trippàio pulitìssimo. Pochi uòmini io ho in mente così coscienziosi e gravi nel suo uffìcio, come il trippàio. E perciò dinanzi alla sua bassa minùscola bottega mi sono soffermato a lungo in ammirazione. Egli si stava in piedi, [p. 159 modifica]alto, quadrato, sbarbato: come un maggiordomo di grande casa: dietro stava il suo calderone di terso rame; il suo grembialone era immacolato.

Toglieva dai fumosi bollori della caldàia un po’ di trippa nera, verde, biancastra, vìscida, reticolata, spugnosa; lasciava gocciolare meticolosamente, deponeva in una tortiera ben stagnata; e quivi tagliava con delicatezza di damina: rovesciava poi i pezzetti in una carta bianca, spargeva il sale ed offriva ai molti avventori che facevano coda. Sempre in silènzio! Ma forse non era mùtolo, e quando la schiera dei compratori si fu diradata, — Gran pulizia — dissi complimentando.

L’uomo parlava, con gravità; ma parlava.

Eh, sì, scior; gran pulizia a Venèzia! Senza pulizia, tripa no se vende a Venèzia!

— Trippa lessata come a Firenze?

Cognosso, son sta anca mi a Firenze. Ma a Firenze i vende soltanto tripa de bo: qui, a Venèzia, se vende carnami e tripa d’ogni sorte, e de tute le bèstie, piègore, montoni. Ma gran pulizia! — e così dicendo prese il forchettone e si apprestò a fornirmi una lezione di anatomia. [p. 160 modifica]

Questo coso bianco, longo, per esèmpio, xe....

Basta, basta, eloquente e dotto trippàio! Come tutto è melancònico e tràgico anche sotto l’ùtile funzione di offrire da mangiare al pròssimo per quattro soldi di trippa!

Le pècore, i plàcidi buoi, i montoni, pascenti in divina pace pel verde Appennino, queste cose certo non sanno.