Viaggio intorno alla mia camera/Capitolo XXXVI

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Capitolo XXXVI

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Capitolo XXXV Capitolo XXXVII

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CAPITOLO XXXVI.



Ho promesso un dialogo fra la mia anima e l’altra; ma vi sono certi capitoli che mi sfuggono, o piuttosto ve ne sono altri, che scorrono dalla mia penna, quasi mio malgrado, e a scherno de’ miei disegni. Di tal numero è questo della mia librerietta, ch’io farò più breve che mi sarà possibile. — I quarantadue giorni s’affrettano al loro termine: e non basterebbero altrettanti alla compita descrizione del ricco paese, ove in questo punto io viaggio sì aggradevolmente.

La mia librerietta adunque è composta di romanzi, poichè bisogna pure ch’io il dica; sì di romanzi, e d’alcuni scelti poeti. [p. 131 modifica]

Come se i miei mali non mi bastassero, io prendo volontaria parte a que’ di mille personaggi immaginarj, e li sento così al vivo come i miei. Quante lagrime non ho io versato per l’infelice Clarissa, e per l’amante di Carlotta!

Ma s’io così ricerco in un mondo fantastico finte afflizioni, vi trovo, a compenso, virtù, bontà, disinteresse, quanto ancor non ne vidi nel mondo reale ove esisto. — Vi trovo una donna, qual io la bramo, senza capricci, senza leggierezza, senza finzioni; — nulla dico della beltà, riguardo alla quale ben potete fidarvi della mia immaginazione; — io la fo sì bella, che non trovi l’invidia ove l’emende. Allora, chiudendo il libro, che più non risponde alle mie idee, la prendo per mano e m’aggiro insieme per luoghi [p. 132 modifica]mille volte più deliziosi che i giardini d’Armida. Oh! qual pittore colorir potrebbe ciò che in essi è di magico; qual poeta esprimere le dolcezze che in essi io provo?

Quante volte non ho io maledetto questo Cléveland, che s’imbarca ad ogni istante fra nuovi malanni, cui potrebbe evitare! — Non posso soffrire questo libro, con questa catena di sciagure; ma fa ch’io l’apra per distrazione, e bisogna che mel divori sino alla fine.

Come lasciare il pover uomo fra gli Abaqui? che diverrà egli fra que’ selvaggi? Ancor meno io m’arrischio ad abbandonarlo nel suo tentativo, per uscire di cattività.

Alfine io prendo tal parte alle sue pene, a quelle della sua famiglia sventurata, che l’apparizione inattesa dei [p. 133 modifica]feroci Ruintoni mi fa drizzare i capegli, grondar freddo sudore, rabbrividire così davvero, come s’io stesso dovessi essere arrostito e mangiato da quella canaglia.

Quand’io ho pianto, e fatto all’amore, abbastanza, cerco qualche poeta, e parto di nuovo per un altro mondo.