Vita di Dante/Libro II/Capitolo XVI

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Capo Decimosesto - Ravenna, ultimo rifugio, ultimi lavori, ultima ambasceria, morte, sepoltura.

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Capo Decimosesto - Ravenna, ultimo rifugio, ultimi lavori, ultima ambasceria, morte, sepoltura.
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Ora ti prego, o dolce Signor mio,
Che tu ti degni di manifestarmi
L'estremo, fin del breve viver mio.
Deh non volere a terra rivocarmi
Nel mezzo de' miei giorni; ma più tosto
Aspetta il tempo e l'ora di salvarmi.
...........................................................
Or fa, Signore, che della mia tomba
Io esca fuora, non oscuro e greve,
Ma puro come semplice colomba;
Acciò ch'io essendo allora chiaro e lieve
Possa venire ad abitar quel loco
Che li tuoi figli e servitor riceve,
Dov'è diletto e sempiterno gioco.
Salmi di Dante, Salmo V, v.24,25,29.


Lasciammo Dante in Udine alla corte Guelfa del patriarca Pagano della Torre, nell’anno 1319. Addì 20 gennajo 1320 il troviamo, poi, quasi di passaggio in Verona; se abbiasi a credere al titolo d’un libretto stampato a Venezia nel 1508, e [p. 392 modifica]citato già da’ bibliografi; ma che lascio lor dire, od anzi lor domando, se sia superstite1. Quel titolo è così:"Quæstio florulenta ac perutilis de duobus elementis aquæ et terræ tractans super reperta, quæ olim Mantuæ auspicata, Veronæ vero disputata et decisa, ac manu propria scripta a Dante florentino poeta clarissimo, quæ diligenter et accurate correcta fuit per Rev. Magistrum Joannem Benedictum Moncellum de Castilione Aretino, regentem Patavinum ordinis Eremitarum divi Augustini, sacræque theologiæ doctorem excellentissimum"2. Certo, si vorrebbe vedere il libro stesso per congetturare plausibilmente se sia da aggiungere questa all’opere di Dante; e se ci sien dati quindi per la vita di lui, ed un soggiorno a Mantova, ed uno, terzo o quarto, a Verona al principio del 1320, che ci mostrerebbe non venute a compiuta rottura le dissensioni di Dante collo Scaligero.

Ad ogni modo, o poco prima o poco dopo, [p. 393 modifica]dovette incominciare il soggiorno di Dante in Ravenna. Del quale parlano sì tutti i biografi3, ma senza dire quando principiasse. Il Boccaccio sembra porlo subito dopo la morte d’Arrigo VII; ma ella è contraddizione troppo evidente a tutte le altre memorie certe, perchè le possiamo dar fede. Continua poi il Boccaccio, al solito suo, con più parole che fatti:"Era in quel tempo signor di Ravenna, famosissima e antica città di Romagna, un nobile cavaliere il cui nome era Guido Novello da Polenta; il quale ne’ liberali studi ammaestrato, sommamente i valorosi uomini onorava, e massime quelli che per iscienza gli altri avanzavano. Alle cui orecchie venuto, Dante fuori d’ogni speranza essere in Romagna, avendo egli lungo tempo avanti per fama conosciuto il suo valore, in tanta disperazione si dispose di riceverlo e d’onorarlo; nè aspettò da lui di ciò esser richiesto". Ma avendolo esso invitato, accettò Dante e andò a Ravenna, "dove onorevolmente dal signor di quella ricevuto, e con piacevoli conforti risuscitata la caduta speranza, [p. 394 modifica]copiosamente le cose opportune donandoli, in quella seco per più anni il tenne, anzi sino all’ultimo della vita sua". - E più giù:"Abitò, adunque, Dante in Ravenna, tolta via ogni speranza del ritornare mai in Firenze (comechè tolto non fosse il disìo), più anni sotto la protezione del grazioso signore; e quivi colle dimostrazioni sue fece più scolari in poesia, e massime nella vulgare; la quale, secondo ’l mio giudicio, egli primo non altrimenti tra noi Italici esaltò e recò in pregio, che la sua Omero tra’ Greci, e Virgilio tra’ Latini"4.

Oltre alla liberalità di Guido Novello, potè pur Dante esser tratto dall’antica famigliarità stata già tra esso e i Polentani. Guido il padre di Francesca aveva avuti, oltre essa, tre figliuoli: Bernardino, il compagno d’arme di Dante a Campaldino; Ostasio e Bannino. Morti tutti prima del 1318, sopravviveva e signoreggiava in Ravenna Guido detto Novello, figiuolo di Bannino, e nipote così di Bernardino e di Francesca. Il rifugio, poi, offerto o [p. 395 modifica]conceduto liberalmente da Guido al poeta, mostra per sè, essere quello stato lungi dall’offendersi del modo in cui fu cantata la colpa della zia, già prima nota a tutti, ma compatita solamente dopo quel Canto immortale.

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Note

  1. Cinelli, Biblioteca volante; Apostolo Zeno, Lettere, vol.II., 204; Pelli, p.241.
  2. Tiraboschi, Ed.Minerv.V.p.82.
  3. G.Villani, pp.507, 508; Leon.Aret.Ediz.Min.T.V., p.58.
  4. Bocc., Vita di Dante, pp.38,39,40.