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Voci di campanili/Il Duomo

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Il Duomo

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Sant’Ambrogio
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IL DUOMO




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BB
isogna aver visto nell’ora del tramonto, seduto su una panchetta dei bastioni qualche vecchio del Luogo Pio Trivulzio, colle mani riunite sul Duomo della mazza e il mento sulle mani, intento a guardare il Duomo, per comprendere che cosa esso sia per un milanese. Anzi, che cos’è la Madonnina del Duomo, poichè è la colossale statua lucente, così piccina per chi la [p. 93 modifica]vede dal basso, che attrae soprattutto gli occhi e il cuore dei vecchi popolani.

Essi non sanno, nè crederebbero, che l’alta guglia conta poco più di cento anni; per essi il Duomo è cominciato di là: la guglia è finita, ma il resto... oh, il resto! — È come la fabbrica del Duomo — dicono per indicare qualunque lavoro che dura all’infinito.

Ed anche per chi sa, questo monumento sembra destinato a passare incompiuto da una generazione all’altra. Le civiltà mutano, si trasformano idee e costumi, gli uomini spariscono, ma il Duomo rimane a chiedere ad ogni secolo il suo contributo.

Chi l’avrebbe detto a Gian Galeazzo, al suo popolo, alla schiera d’artisti che si misero con ardimento e con entusiasmo all’opera grandiosa! Ebbero essi l’ingenua fede di poterla finire? E se non l’ebbero, quanta virtù è nel principiare un lavoro colla sicurezza di non vederlo compiuto, nella speranza che i figli lo continueranno! Occorre una pazienza nella vita, uno stoicismo nella morte, un’abnegazione per sè ed una fiducia in chi verrà dopo, — che noi non abbiamo più.

Quanta gente diversa d’abiti, d’abitudini e di [p. 94 modifica]pensiero s’affollò nelle immense navate in giorni di solenni feste religiose, di fastose incoronazioni, di pomposi funerali! Che solitudine e che silenzio nei giorni tranquilli dell’anno quando l’organo non fa udire la sua voce armoniosa, e il canto dei fanciulli non si espande limpido e sonoro sotto le vôlte. Come ci si sente piccini in Duomo e nello stesso tempo come vicini a Dio! le preghiere appena uscite dalle labbra par che piglino il volo verso l’alto, e noi stessi ci sentiamo come librati nell’infinito.

Pregare in Duomo vuol dire lasciar vagare lo spirito dietro gli occhi nella variopinta penombra, in un dolcissimo assopimento fisico, in un indefinito mistico sogno: non vanno a pregare in Duomo quelli che sanno che cosa chiedere a Dio: i dolenti che hanno bisogno aiuto e conforto cercano l’ombra raccolta delle chiese umili e piccine.

O candido e frastagliato tempio, che sembri sprigionarti dal centro della città operosa e rumorosa come l’aspirazione prepotente ad una idealità, come arresti ammirata la folla spensierata e gaudente, quando nei pomeriggi d’inverno esci fuori come una visione dalla nebbia colle tue punte di ghiaccio rosate e vaporose! [p. 95 modifica]

Quando il vento del nord porta il nero pennacchio di fumo dell’officina elettrica ad annerire la guglia e la Madonna, esce dal cuore dei milanesi una protesta come a un sacrilegio. Intorno alla Madonnina non devono volare che rondini e colombi, preghiere ed affetti; stella lucente che brilla di lontano, salutata — dai finestrini dei treni arrivanti — da visi stanchi di viaggiatori che tornano al loro nido dopo una lunga assenza: fissata con tenerezza pensosa — dalle soffitte, dagli alti terrazzini, dai bastioni, — da solitari che vivono di memorie.

Quando lassù sventola la bandiera tricolore è un ridestarsi, come al suono di una fanfara, di elettrizzanti vecchi sogni di libertà, di speranze giovanili audacemente realizzate, di uno sciame di dolci emozioni patriottiche.

Nei tramonti sereni, nell’ora dell’Angelus, quando tutte le campane qua e là, vicino e lontano, da tutti i campanili della città si richiamano, si salutano e pregano insieme, le rondini che girano turbinando intorno, sembrano angeli che raccolgano le voci d’ogni campanile per portarle alla sovrana della chiesa, alla Madonna dorata del Duomo.

Essa è muta. Accoglie ma non risponde, poichè [p. 96 modifica]il rombo soffocato che esce dal tiburio non è certo la sua voce.

Il Duomo di Milano potrà dirsi compiuto in tutta la sua essenza spirituale quando le sue campane squilleranno liberamente dall’alto. Portiamole in su, come furono per tanti secoli nell’antica città, sul campanile altissimo, isolato nella piazza della Basilica maggiore, che dominava tutta la Lombardia.

Fatto ruinare dal Barbarossa, fu rieretto, quasi non si potesse comprendere la potente metropoli senza la sua alta campana che chiamava a raccolta i cittadini: e rovinato di nuovo, le sue pietre rimasero a sedile degli uomini del Comune, come speranza di riedificarlo ancora. E chi sa che il progetto del maraviglioso tempio gotico non sia germogliato dall’idea della risurrezione di un campanile più alto e più bello che non fosse mai stato. Ma la provvisoria torre di legno, eretta in un momento d’impazienza sulla fronte della chiesa, non fu mai sostituita da quella di marmo, e la sua scomparsa iniziò per le campane un’êra di esilio e di prigionia non ancora finita.

Ridate la sua voce al Duomo; essa porterà i cuori in alto, al di sopra dei tetti degli uomini, là dove comincia l’infinito. Fate ch’esso possa [p. 97 modifica]rispondere ai voti e alle preghiere dei vecchi campanili della città.

Tutto, Signore.
Tranne l’Eterno, al mondo.
È vano.

È vano — risponderà il campanile del Duomo, come l’eco di Valsolda. È vano tutto ciò che non viene dall’eterno, che non tende all’eterno.

Da gli spiriti mali
Signor guarda i mortali!
Oriamo.

Oriamo.