Agamennone (Alfieri)/Atto terzo/Scena II

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SCENA SECONDA.

Agaménnone, Elettra, Egisto.



Egisto.

DEl glorioso domator di Troja
Dei Re sublime Re, come io venirne
Posso al cospetto, e non tremar? D’un Nume
La maestade, e lo splendore io veggo
130Sopra l’augusta tua terribil fronte...
Terribil sì; ma in un pietosa; e i Numi
Spesso dal soglio lor gli sguardi han volto
Agli infelici. Egisto è tale; Egisto

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Segno ai colpi finor d’aspra fortuna
135Teco ha comuni gli Avi: un sangue scorre
Le vene nostre; ond’io fra queste mura
Osai cercar, se non soccorso, asilo,
Che me potesse da nemici crudi
Scampar; nemici, che mi son fratelli.

Agaménnone.

140Fremer mi fai nel rimembrar che un sangue
Siam noi; per tutti 1’obliarlo fia
Certo il miglior; che di Tieste i figli
Si nimichin tra lor, dover ben parmi;
Non così, che la Reggia abbian d’Atreo
145Scelta ad asilo. Egisto, a me tu fosti,
E sei finor tu per te stesso ignoto:
I’ non t’odio, nè t’amo; eppur, bench’io
Gli odj nefandi posti abbia in disparte,
Senza provar non so qual moto in petto
150Mirarmi innanzi i’non poss’io, nè voce
Udir neppur del figlio di Tieste.

Egisto.

Ch’odiar non sa, nè può, pria che il dicesse

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Il magnanimo Atride, io già ’l sapea:
In alto cor basso desio non entra.
155Tu dagli Avi il valor, non gli odj traggi.
Punir sapresti,.. o perdonar, chi ardisse
Offender te: ma chi, qual’io, t’è ignoto,
Ed infelice, a tua pietade ha dritto,
Fosse ei di Troja figlio. Ad alta impresa
160Già non ti scelse Grecia a caso Duce;
Ma in cortsia, valor, giustizia, fede
Re d’ogni Re maggior ti conobbe ella.
Tal ti reputo anch’io, nè più sicuro
Io mi credei, che di tua gloria all’ombra:
165Nè rammentai, che di Tieste figlio
Fossi; d’avversa sorte io mi son figlio.
Negli infortunj miei pareami tutte
Lavate aver del mio sangue le macchie:
E se d’Egisto inorridire al nome
70Dovevi tu, sperai, che a’ nomi poscia
D’infelice, mendico, esule, oppresso,
Nel generoso tuo petto regale
Alta di me trovar pietà dovresti.

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Agaménnone.

E s’io ’l volessi pure, o tu, pietade
Puoi tu soffrir da me?

Egisto.

175 Chi mi son’io,
Ch’osi in non cal porre un tuo don?

Agaménnone.

                          Tu? figlio
Pur sempre sei del più mortal nemico
Del padre mio: tu m’odj, e odiar mi dei;
Nè ten poss’io biasmar: fra noi disgiunti
180Eternamente ci hanno i nostri padri;
Nè soli noi, ma i figli, e i più lontani
Nepoti nostri. Il sai; d’Atreo la sposa
Contaminò, rapì l’empio Tieste.
Atreo, poich’ebbe di Tieste i figli
185Svenati, al padre ne imbandì la mensa.
Che più? Storia di sangue, a che le atroci
Vicende tue rammento? Orrido gelo
Raccapricciar mi fa. Tieste io veggo,
E le sue furie in te: puoi tu d’altr’occhio

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190Mirar tu me? Dell’implacabil, crudo
Atreo per te non son l’immagin viva?
Fra queste mura, che tinte del sangue
De’ tuoi fratelli vedi, oh! puoi tu starti
Senza ch’entro ogni vena il tuo ribolla?

Egisto.

 195 Orrida, è ver, d’Atreo fu la vendetta;
Ma giusta fu. Quei che Tieste apporre
Figli si vide all’esecrabil mensa,
Eran d’incesto nati. Ei n’era padre,
Sì; ma di furto l’infedel consorte
200Del troppo offeso, e invendicato Atreo
Li procreava a lui. Grave l’oltraggio,
Maggior la pena. È vero, eran fratelli,
Ma primo fu che l’obliò Tieste,
Atreo secondo. In me del Ciel lo sdegno
205 Par che non cessi ancor: men rea tua stirpe
Colma ell’è d’ogni bene. Altri fratelli
Tieste diemmi; e non, qual’io, d’incesto
Nati son quelli; ed io di lor le spose
Mai non rapii; pur più d’Atreo spietati

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210Ver me son essi: dal paterno Trono
Escluso m’han; poco saria: ritolto
D’ogni retaggio suo m’hanno ogni parte;
Nè ciò lor basta: crudi, anco la vita,
Come pria le sostanze, or voglion tormi.
Vedi, se a torto io fuggo.

Agaménnone.

215A ragion fuggi;

Ma quì mal fuggi.

Egisto.

Ovunque io porti il piede,
Meco l’infamia del paterno nome
E del mio nascer traggo, il so: ma dove
Meno arrossir nel pronunziar Tieste
220Poss’io, che agli occhj del figliuol d’Atreo?
Tu, se di gloria men carco n’andassi,
Tu, se infelice al par di me ti fossi,
Tu il peso allor, tu sentiresti allora
Appien l’orror, che all’esser figli annesso
225Va non men che del mio, del padre tuo.
De’ mali miei dunque entra a parte; Atride

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Faccia d’Egisto quì ciò, ch’ei vorria
Ch’altri fesse di se, se Egisto ei fosse.

Agaménnone.

Se Egisto i’ fossi?... In qual ch’io fossi avversa
Disperata fortuna, il piè rivolto 230
Io non avrei mai di Tieste al seggio.
Ch’io non ti presti orecchio, in cor mel grida
Tale una voce, che a pietà lo serra....
Pur, poichè vuoi la mia pietà, nè soglio
Negarla mai, per quanto vaglia il nome, 235
E il mio poter fra’ Greci, adoprar vommi,
Perchè rientri ne’ paterni dritti;
Ma lungi d’Argo intanto va: trarrei
Torbide notti, ed inquieti giorni
A te vicino. Una Città non cape 240
Chi di Tieste nasce, e chi d’Atreo.
Forse di Grecia entro al confin vicini
Noi siam pur troppo ancor.

Egisto.

Tu pur mi scacci?
E che m’apponi?