Alcesto e Acaten
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ALCESTO E ACATEN
ALCESTO
Come Titan del seno dell’Aurora
Esce, così con le mie pecorelle
3I monti cerco senza far dimora:
E poi ch’i’ ho là su condotte quelle,
Le nuove erbette della pietra uscite
6Per caro cibo pongo innanzi ad elle:
Pasconsi quivi timidette e mite,
E servan lor grassezza di tal forma
9Che non curan del lupo le ferite.
ACATEN
Io servo nelle mie tutt’altra norma;
Sì come i pastor siculi, da’ quali
12Esempio prende ogni ben retta torma.
Io non fatico loro a’ disuguali
Poggi salire; ma ne’ pian copiosi
15D’erbe infinite do lor tante e tali,
Che gli uberi di quelle fan sugosi
Di tanto latte, ch’i’ non posso avere
18Vaso sì grande in cui tutto si posi.
Nè i loro agnei ne posson tanto bere
Ch’ancor più non ne avanzi. Et honne tante
21Ch’i’ non ne posso il numero sapere;
Nè perchè il lupo se ne porti alquante
I’ non me ’n curo, tale è la pastura
24Che tosto più ne rende o altrettante.
I’ do loro ombre di bella verdura,
Nè con vincastro vo quelle battendo:
27Come le piace, ognuna ha di sè cura.
Vicini ha molti rivi che correndo
D’intorno vanno a loro, ove la sete
30Ispenta, poi la vanno raccendendo.
Ma voi Arcadi sì poche n’avete,
Che ’l numero v’è chiaro; e tanto affanno
33Donate lor, che tutte le perdete;
E non che pascere ma elle non hanno
Ne’ monti ber che basti: e pur pensate
36Di più saper che noi, con vostro danno.
ALCESTO
Le nostre in fonti chiare dirivate
Di viva pietra beon con sapore
39Tal che le serva in lieta sanitate:
Ma le tue molte tirano il licore
Mescolato col limo, e tabefatte
42Corrompon l’altre e muoion con dolore.
E le tue furibonde rozze e matte,
Diversi cibi avendo a rugumare,
45Deboli e per ebrezza liquefatte
Si rendono, e non posson perdurare
In vita guari; et il lor latte è rio
48Nè può vitali agnei mai nutricare.
Ma il cibo buono che il peculio mio
Dalla pietra divelto pasce e gusta
51Lor poche serva buone; e ciò che io
Ne mungo è saporoso. E quella angusta
Fatica del salir le fa vogliose,
54E veder chiar dall’erba la locusta.
L’aria del monte le fa copïose
Di prole tal che ’n bene ogn’altro avanza,
57Poi l’empie d’anni e falle prosperose.
Et è sì lor per continova usanza
Il sol leggier, che ciascuna più lieta
60È sotto lui che ’n altra dimoranza:
Avvegna che quand’ei già caldo vieta
Il cibo più, col mio suon le contento,
63Cui ciascheduna ascolta mansueta.
Io guardo lor sollecito dal vento
E nella notte vegghio sopra loro,
66Alla salute di ciascuna attento.
ACATEN
A me non cal vegghiando far dimoro
Nè sampogna sonar; chè per sè sola
69Diletto prende ognuna in suo lavoro.
Nè non mi curo s’alla mia parola
Non ubbidiscon subito presente,
72Sol ch’io me n’empia la borsa e la gola.
Com’io le guardo a chi ben le pon mente,
Le tue veggendo, e ’l numero ne prende,
75All’avanzar mi fa più sofficiente;
In che la cura nostra più s’accende
Che ad aver poca gregge e vivace
78D’onde non tra’ si quanto l’uom vi spende.
Che dirai qui? Or non parla ma tace
Alcesto al mio cantar, però che vero
81Conosce quello, e già per vinto giace.
ALCESTO
Il tuo parlare è falso e non sincero,
Perch’io non taccio nè credo esser vinto,
84Ma vincitor di qui partir mi spero.
Tu hai il nostro canto in ciò sospinto,
Chi è più ricco e chi più mandra tira;
87Dove di miglior guardia fu distinto
Che cantassimo qui; la qual chi mira
Con occhio alluminato di ragione
90Vedrà chi meglio intorno a ciò si gira.
ACATEN
Dunque a ciò conchïude la quistione:
Chi più avanza, quelli ha me’ guardato
93E più sa del guardar la condizione.
ALCESTO
Non son da por già mai per acquistato
I tuoi agnei, chè molti a tristo fine
96Si vede tosto, lasso, apparecchiato;
Ma le mie poche, nell’alto confine
Vivaci poste, e d’assalto sicure,
99Non curanti di lappole o di spine,
E tutte fuor delle brutte misture,
Bianche, con occhio chiaro, e conoscenti
102Di me che lor conduco alle pasture.
ACATEN
Tu fai come ti par tuoi argomenti:
Ma molto è meglio delle mie il diletto
105Che l’util delle tue che sì aumenti.
Quando vorrò, da cui mi fia interdetto
Di su salire al monte? ove pasciute
108Assegni delle tue tanto perfetto.
ALCESTO
Da quelle erbacce gravi ritenute
Nell’ampio ventre, ch’affamate e piene
111Sempre le tien, di salir fien tenute.
ACATEN
Queste son tue parole: nè conviene
A te di me parlar, perchè non sai,
114Ne’ monti usato, e l’uso ancor ti tiene.
ALCESTO
Ne’ monti dov’io uso i’ apparai
Da quelle Muse che già li guardaro,
117E nelle braccia lor crebbi e lattai.
Ma tu più grosso ch’altro, in cui riparo
Già mai senno non fece nè valenza,
120Tàciti omai: chè gli tuo’ versi amaro
Suon rendono a coloro a cui sentenza
Come di savie stiamo: e la tua male
123Di pasturare qui difesa scienza
Con altrui cerca coprirla di tale
Mantel, che meco; chè tu se’ inimico
126Di greggia, più che guardia o mandriale;
Di che ancora anderai tristo e mendico.