Amor fa l'uomo cieco/Parte I

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Parte I

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Personaggi Parte II

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PARTE PRIMA.

SCENA PRIMA.1

Città.

livietta in abito di Cittadina, e Mingone.

Livietta.   Vi sto ben?

  Vi comparisco?
  Eh, che ti par? (al Servidore
  Benchè nata contadina,
  Non sto ben da cittadina?
  Non è ver?
  Oh, lo credo; non giurar 2.
Poco vi vuole a far che incivilisca

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Donna nata fra i boschi. Il sesso nostro

Ha un certo natural costume antico,
Che della vanità fu sempre amico;
Io non son già la prima
Che a spese d’un merlotto
Cambiasse condizion. Tante e poi tante,
Ch’erano femminaccie3 da dozzina,
S’hanno ingrandito coll’altrui rovina.
Tutto il suo consumò per mia cagione
Il semplice Cardone; anzi non solo
Dissipò i beni sui,
Ma s’ingegnò di consumar l’altrui 4.
Ora ch’egli è mendico,
Processato dal foro, e ch’è ridotto
All’ultima malora 5,
Sarei ben pazza a coltivarlo ancora.
Eccolo: oh com’è brutto!
E pur mi parve hello;
Or che non ha dinar 6, non è più quello.
Vuò ritirarmi: seguimi, Mingone;
Non dubitar, non vi sarà divario:
Se non Cardone, io ti darò il salario. (si ritira

SCENA II.

Cardone mal vestito, e detti ritirati.

Cardone. Per pietà, chi mai m’insegna

  Qualche asilo, qualche albergo?
  Buona gente...
  (Parlo al vento, alcun non sente):
  Fate un po’ la carità7.
Eccomi alfin ridotto

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Mendico, abbandonato

Sol per una ragazza,
Bellina8 sì, ma troppo vana e pazza.
Chi mi conoscerebbe? Oh, voglia il Cielo
Ch’io non sia conosciuto!
Ho fatto un tal intacco,
Che, se mi scopre la Giustizia, io sono
Per lo meno appiccato. Almen crepasse
Quell’avido mio zio, che inutilmente
Un tesoro conserva! Ah, ch’io frattanto
Perdo il tempo qui invano, e i sbirri, oh Dio!
Van me forse cercando. E dove mai,
Dove addrizzarmi posso,
Misero me! se non ho un soldo addosso?
Livietta. Olà, paggio, vien qui, prendi: codesta
È una dobla di Spagna;
Vanne dal pasticcier: di’ che mi mande
Due preziose vivande;
Poichè questa mattina
Viene a pranzo con me la Contessina.
Cardone. (Povere doble mie!)
Livietta.   Fermati; e questi
Due zecchini ti do, perchè tu compri
Di Borgogna e Toccai9 qualche bottiglia,
E il resto cioccolato10 con vainiglia.
Cardone. (Ed io muoio da fame). Olà, Mingone,
Ferma; non mi conosci? Io son Cardone.
Livietta. Stelle, che vedo mai! Così pezzente,
Così sporco Cardone? Agli occhi miei
Quello tu non rassembri, e quel non sei.
Cardone. Ah, purtroppo son quello. Ah tu, Livietta,
Deh non mi abbandonar! Vedi in qual stato
Son ridotto per te?

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Livietta.   Per me? Tu menti.

Che facesti per me?
Cardone.   Non tel rammenti?
Chi dal hosco ti trasse?
Chi ti fe’ cittadina?
Chi gli abiti, le gioje, e chi il denaro,
Ch’ora spendi, ti diè? Stelle! che sento!
Non lo rammenti più?
Livietta.   Non mel rammento.
Cardone. Ah barbara, ah crudele!
Io ti trassi dal nulla, e tu nel nulla
Mi riducesti: oh memorando eccesso!
Oh barbara natura! oh ingrato sesso!
Livietta. Ma chi fu la cagione
Del precipizio tuo, se non tu stesso?
Di me ti lagni adesso?
Fu la tua vanità, la tua superbia,
Che per mostrarti allora
Grande più che non eri e dovizioso,
Ti faceva far meco il generoso.
Io chiesi e non rubbai;
Donasti, ed io pigliai;
Se volesti così, non far schiamazzo:
Io savia fui, se tu facesti il pazzo.
Cardone. Hai ragione; gli è vero: il pazzo io fui.
Imparate, imparate,
Uomini delle donne adoratori:
Questi sono alla fine i nostri onori.
Crudel, dunque sintanto
Che suonava il contante,
Cardone era il tuo amante11;
Senza dinari12 adesso,
Il povero Cardon non è lo stesso.
Pazienza!

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Livietta.   È ver: l’indovinasti, lo voglio

Un marito che possa
Mantenermi un braccier, e sei staffieri,
Due donne, otto cavalli, e due cocchieri.
Vuò pizzetti, vuò stoffe, e vuò ricami,
Vuò gioje alla gran moda,
E il paggio che mi regga ancor la coda.
Cardone. Lodo la sua intenzion, ma non la credo
Facile da eseguir.
Livietta.   Forse eseguita
La vedrà questo mese.
Cardone.   Ha già il partito
Sì tosto preparato?
Livietta.   Sì signor, l’ho trovato.
Cardone. Col braccier, coi staffieri?
Livietta. E i cavalli, e i cocchieri.
Cardone. Mi consolo, signora.
E la carrozza?13
Livietta.   E la carrozza ancora.
  La carrozza ci sarà,
  E la voglio a tiro a sei,
  Col staffiere, - col bracciere.
  Senza questa a’cenni miei,
  Non mi voglio maritar.
  Ha capito? così va;
  S’ella ben non l’ha capita,
  Or la torno a replicar.
Cardone. (Ecco pur troppo il feminil costume,
L’ambizion delle donne è il solo nume).
Non mi vuoi?
Livietta.   Non ti voglio.
Cardone.   Eh via...

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Livietta.   Sei sordo?

Cardone. Dunque, che far dovrò?
Livietta.   Fa ciò che vuoi:
Io penso ai fatti miei, tu pensa ai tuoi.
Cardone. Mingon, parla per me. (a Mingone
Livietta.   Taci, non voglio
Moltiplicarmi il tedio
Con le tue voci ancor. (a Mingone
Cardone.   Dunque ti lascio;
Dunque parto, crudel.
Livietta.   Va pur.
Cardone.   Ma dimmi,
Che t’ho fatto, ben mio? Cara Livietta,
Bella più di Cleopatra,
Io ti fui più fedel di Marcantonio.
Ma dillo tu, faccia di testimonio. (a Mingone
  Gioia mia, devo partire
  Così afflitto e sconsolato?
  Disgraziato, - che t’ho fatto?
  Niente affatto. - Dillo tu...
  Come fu... - parla per me. (a Mingone
  Sei tu sola il mio tesoro,
  Per te languo, per te moro,
  Senza te non posso stare.
  Dillo tu, non è così? (a Mingone
  Signor sì, che così è.
Livietta. Ma questo pianto tuo quasi mi move
I dolori di corpo.
Cardone.   Orsù, t’intendo.
Morto mi vuoi veder? Morrò, già vado,
Vado della Giustizia
Da me stesso in le man; io le mie colpe
Pubblicherò; dirò che per Livietta
Tutto il mio consumai,
Indi quello degli altri ancor rubbai.

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Mi caccieran prigione,

Mi manderanno a morte;
E allor della mia sorte
Tu contenta sarai...
Oh non ti avessi conosciuta mai!14
  Parto dunque, o mia diletta,
  Ma il mio cuor resta con te.
Livietta.   Non chiamarmi tua diletta,
  Che il mio cor non è per te.
Cardone.   Tu sei come tartanella,
  Che nel mare a vento in poppa
  Veleggiando se ne va.
Livietta.   Rider mi fa.
Cardone.   Uh, chi viene contro a me?
Livietta.   Ben, chi viene?
Cardone.   Vedo gente tutta armata;
  Questa certo è la giornata
  Di dovermi moschettar.
  Ta ta ta ta fa ta ta bu...
  Gioia bella, questo core
  Perchè tu gli dai tormento,
  Io già sento - consumar.
Livietta.   Non parlarmi più d’amore,
  Perchè non mi dai tormento,
  Nè mi sento - consumar.


Fine della Prima Parte.


Note

  1. Conserviamo la divisione in scene, come nell’edizione Zatta.
  2. Con questi versi, lievemente ritoccati, comincia l’Intermezzo della Contadina astuta, ossia di Livietta e Tracollo (Napoli, 1734), attribuito al Mariani. Vedi Nota storica.
  3. Nell’edizione di Genova, 1742, è stampato: feminuccie.
  4. Ed. genovese: gli altrui.
  5. Nel testo: mal’oro.
  6. Ed. genovese: donar.
  7. Anche questi ultimi versi derivano dalla Contadina astuta.
  8. Ed. genovese: graziosa.
  9. Così nel testo.
  10. Ed. genovese: cioccolata.
  11. Ed. genovese: era tuo amante.
  12. Nell’ed. genovese, qui e sempre: danari.
  13. Nell’ed. genovese: "E la Gondola? Poi segue, come nel Finto pazzo (1741): "E la Gondola ancora. — Sì la Gondola ci sarà, — E la voglio anche a due remi, — Ed ancor la Signoria: — Senza questa a voglia mia — Non mi voglio maritar ecc. ecc.
  14. Nell’ed. genovese così segue: "Deh placati, o cara, — Non mi far più penar. — Liv. Non v’è più riparo, — Va via, non mi parlar. — Card. Deh mira, deh ascolta. — Liv. Son cieca, son sorda. — Card. lo vado a morire. — Liv. Salute a chi resta. — Card. Che fiero martire. — Liv. M’hai rotta la testa. — Card. Ma voglio la morte, mio bene, da te. — Livo. È festa di Corte, — Udienza non c’è ", E così finisce il Primo Intermezzo.