Amorosa visione/Capitolo XXXI

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Capitolo XXXI.

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Capitolo XXX Capitolo XXXII
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CAPITOLO XXXI.




Dove tratta come vede la Fortuna, e’ ben che dà e toglie; e nell’ultimo come si rammarica di lei.


Tosto finì il suo cammin costei,
     Che di quel loco per una portella
     In altra sala ci menò con lei.
Ell’era grande, spazïosa e bella,
     5Ornata tutta di belle pitture,
     Siccome l’altra ch’è davanti ad ella.
Oh quanto quivi in atto le figure
     Si mostravano tutte varïate
     Dall’altre prime, e non così sicure.
10Color con festa e con gioconditate
     Parevan tutti con li vestimenti,
     Costor con doglia e con avversitate.
Hai, quanto quivi parevan dolenti,
     E spaventati qualunque vi s’era
     15Con vili e poverissimi ornamenti!
Ivi vid’io dipinta in forma vera
     Colei, che muta ogni mondano stato,
     Talvolta lieta e tal con trista cera:

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Col viso tutto d’un panno fasciato,
     20E leggermente con le man volveva
     Una gran rota verso il manco lato.
Horribile negli atti mi pareva,
     E quasi sorda, a niun prego fatto
     Da nullo, lo intelletto vi porgeva.
25E legge non avea nè fermo patto,
     Negli atti suoi volubili e incostanti,
     Ma come posto, talor l’avea fratto,
Volvendo sempre ora dietro ora avanti
     La rota sua senza alcun riposo,
     30Con essa dando gioia e talor pianti.
Ogni uom che vuol montarci su, sia oso
     Di farlo, ma quand’io ’l gitto a basso,
     In verso me non torni allor cruccioso.
Io non negai mai ad alcuno il passo,
     35Nè per alcuna maniera mutai,
     Nè muterò, nè ’l mio girar fia lasso:
Venga chi vuol. Così immaginai
     Ch’ella dicesse, perchè riguardando
     D’intorno ad essa vi vid’io assai,
40I qua’ sù per la rota ad erpicando
     S’andavan colle man con tutto ingegno,
     Fino alla sommità d’essa montando;
Saliti su parea dicesser: regno:
     Altri cadendo in l’infima cornice
     45Parea dicessero: io son senza regno:
In cotal guisa un tristo, altro felice
     Facea costei, secondo che la mente,
     La qual non erra, ancora mi ridice.

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Allor rivolto alla Donna piacente
     50Dissi: costei, ch’io veggio qui voltare,
     Conosc’io per nemica veramente:
Tra l’altre creature, a cui mi pare
     Dover portar più odio, questa è dessa,
     Perocchè ogni sua forza e operare
55Ell’ha contro di me opposta e messa,
     Nè preghi nè saper nè forza alcuna
     Pacificar mi può giammai con essa.
Ognora nella faccia persa e bruna
     Mi si mostra crucciata, e sempre a fondo
     60Della sua rota mi trae dalla cuna,
Gravandomi di sì noioso pondo,
     Che levar non mi posso a risalire,
     Onde giammai non posso esser giocondo.
Ridendo allor mi cominciò a dire
     65La Donna saggia: e tu se’ di coloro,
     Ch’alle mondane cose hanno ’l disire?
A’ quai se ella desse tutto l’oro,
     Che è sotto la luna, pure avversa
     Riputerebber lei al voler loro.
70Torrotti adunque di cotal traversa
     Opinïone, e mostrerotti come
     Più son beati que’ che l’han perversa.
Il dir, Fortuna, è un semplice nome;
     Il posseder quel ch’ella dà, è vano,
     75O senza frutto affanno se ne prome;
Odirai come, e se ’l mio dire strano
     È dalla verità, conceder puossi
     Che seguir vizio sia al salvar sano.

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Solamente da te vo’ che rimossi
     80Sieno i pensier fallaci, se procede
     Il mio parlar con ver, sicchè tu possi
In te vedere come si concede,
     Che quel che più al vostro intendimento
     Aggrada, più con gravezza vi lede.
85Allora rispos’io: io son contento,
     Donna, d’udire, acciò che ’l mio errore
     Io riconosca, perocchè io sento,
Non aver nulla esser grave dolore.