Andromaca (Euripide - Romagnoli)/Secondo episodio

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Secondo episodio

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Euripide - Andromaca (420 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1931)
Secondo episodio
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Entra Menelao, recando con sé il figlio d’Andromaca.

menelao

Qui sono: il figlio tuo fatto ho prigione,
che tu mandasti in casa altrui, di furto
dalla mia figlia. Tu per te salvezza
dall’idolo speravi, e per tuo figlio
da chi lo nascondea. Ma poi s’è visto
che tu men lunga la sapevi, o donna,
di Menelao. Se tu quel luogo sgombro
non lasci, ucciso in vece tua sarà
questo fanciullo. Scegli dunque, se
vuoi tu morire, o se morir costui
deve pel fallo tuo contro mia figlia.

andromaca

O fama, o fama, tu mille e mille uomini
da nulla esalti a eccelsa vita. Ma
io solo ammiro chi possiede meriti
reali; e chi mendaci, io quello reputo
che l’apparenza sola abbia, mercè

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della fortuna. Il fiore tu degli Èlleni
guidando un giorno, la città di Príamo
prender volesti, tu, cosí dappoco,
che per le ciance d’una figlia, ch’à
senno di bimba, tal furore sbuffi,
e scendi in lizza contro me, tapina
femmina e schiava. Ah, tu non sei di Troia
degno, né di te Troia. Esternamente
quelli che di saggezza han l’apparenza,
sono belli a veder, ma dentro, simili
a tutti quanti gli altri uomini, tranne
per la ricchezza: la gran forza è qui.
Ma concludiamo, Menelao: tua figlia
m’ha ucciso di sua mano: ecco, son morta;
ma non potrà la macchia d’omicidio
schivare; ed anche tu di tale strage
rendere conto al popolo dovrai,
ti ci costringerà l’esser suo complice.
Se poi la morte io schivo, uccidereste
il figlio mio? Ma il padre patirà
di suo figlio la morte a cuor leggero?
Troia imbelle cosí non lo denòmina:
quanto occorre farà: degni di Pèleo
saranno gli atti suoi, degni d’Achille:
la figlia tua da casa scaccerà.
Tu mi dirai che la dài sposa a un altro?
Per dignità dirai che il tristo sposo
abbandonò? Ma si sa tutto. E chi
la sposerà? Dovrai tenerla in casa
senza marito, a incanutire vedova.
O pover’uomo, che di tanti mali
il torrente non vedi! In quanti letti
non soffriresti che tua figlia entrasse,

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pur con vergogna tua, pria di patire
quello ch’io dico. Non convien per futili
ragioni, a grandi mali aprire l’adito,
né, se noi donne siamo un sí gran male,
debbon gli uomini a noi rendersi uguali.
Se filtri ho dati alla tua figlia, e reso,
com’ella dice, sterile il suo ventre,
non a malgrado mio, ma di buon grado,
senza all’are prostrarmi, io di tuo genero
voglio al giudizio sottopormi; a cui
render non debbo minor conto, se
di figliuoli lo privo. È questo il mio
sentimento. Del tuo, temo un sol punto:
che tu per una donna hai posta già
a sacco la città dei Frigi misera.

coro

Troppo ad un uom tu, donna, hai favellato:
oltre la mira il senno tuo colpí.

menelao

Futilità son queste, a ciò che dici,
o donna, e indegne del poter mio regio
e dell’Ellade. Sappi or che le cose
onde bisogno ha l’uom, valgon per lui
piú del sacco di Troia. Io per me reputo
malanno grande, che mia figlia perda
lo sposo; e a lei giungo alleato: tutto
può minor peso aver; ma la sua vita
perde una donna, se lo sposo perde.

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Sopra i miei servi deve Neottolemo
aver potere, e sopra i suoi mia figlia
ed io stesso: non c’è fra quanti sono
amici veri, bene alcun, che proprio
d’un solo sia: sono comuni i beni.
Se quanto meglio io so non sistemassi
gli affari miei, per aspettar gli assenti,
sciocco sarei, non delicato. Or via,
lascia gli altari della Diva. Ché
se muori tu, salvi da morte il pargolo;
ma se morir non vuoi, l’ucciderò.
O l’uno o l’altro ha da lasciar la vita.

andromaca

Ahi, che sorteggio amaro! E su che vite
mi proponi la scelta! E sia che vivere
o non vivere elegga, un’infelice
sempre sarò. Ma tu che a tanto scempio
per sí lieve cagion t’appresti, ascoltami:
perché m’uccidi? per qual colpa? quale
città tradii? qual dei tuoi figli uccisi?
quale casa bruciai? Col mio padrone
costretta giacqui: e me per questo uccidi,
e non lui, che di tutto ebbe la colpa,
anzi la causa assolvi, e sull’effetto
che sol da quella derivò, t’avventi?
Ahimè, sciagura mia, misera patria
mia, che orrori patisco! A che dovevo
partorire di nuovo, e questo cruccio
sovrapporre all’antico, e farlo duplice?
Ma perché questo mal gemo, e non lagrime,
e non rifletto agli altri che m’opprimono?

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Ch’Ettore ucciso e trascinato vidi
crudelmente dal carro, ed Ilio in fiamme,
e schiava io stessa, ai legni argivi giunsi
tratta via per la chioma; e quando a Ftia
giunsi, andai sposa agli assassini d’Ettore.
Qual dolcezza la vita ha piú per me?
Dove l’occhio fissar posso? Alla sorte
presente, forse? O alla trascorsa? Questo
figlio restava solo a me, pupilla
della mia vita; e a ucciderlo or s’apprestano
quei che l’hanno deciso. Oh, non morrà
perché sia salva la mia vita grama:
ei se vivrà potrà sperare: a me
scorno sarebbe non morir pel figlio.
Ecco, l’altare lascio, ecco mi dò
nelle tue man’, ché tu mi sgozzi, uccida,
accoppi, a un laccio il collo appenda. O ligi
io che ti generai, nell’Ade scendo
perché non muoia tu. Se tu la morte
schivar potrai, di tua madre ricòrdati,
quanto misera fu la morte mia,
e coi baci a tuo padre avvicinandoti,
e lagrime versando ed abbracciandolo,
digli ciò che soffersi. A tutti gli uomini
diletti i figli sono al par dell’anima.
Chi n’è privo e li spregia, ha men di cruccio
ma misera è la sua felicità.
Si allontana dall’ara.

coro

Mi commuove l’udirti: a tutti gli uomini
ispira pïetà, sia pure estraneo,

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chi patisce sventure. Ora, a concordia
tu devi, o Menelao, tua figlia addurre,
e costei, che dai mali alfin sia libera.

menelao

Costei dunque prendete, ed avvincetele,
servi, le mani: udire ella dovrà
poco grate parole. Io, perché tu
puro l’altare della Dea lasciassi,
ti minacciai che ucciderei tuo figlio,
e nelle mani mie cosí t’indussi
a consegnarti. La tua sorte è questa,
sappilo. Quanto al tuo fanciullo, mia
figlia giudicherà se vuole ucciderlo
oppure no. Ma in questa casa ora entra,
e impara a non lanciar piú contumelie
contro i liberi, tu che schiava sei.

andromaca

Ahi, m’hai tratto in inganno, e son tradita.

menelao

Fanne pubblico bando: io non lo nego.

andromaca

Prodezze queste, su l’Eurota, sono?

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menelao

Ed anche in Troia, che l'offeso offenda.

andromaca

Dei non credi gli Dei, né che il giusto amino?

menelao

Sconterò, quando occorra: ora t'uccido.

andromaca

Questo implume anche, all'ali mie strappato?

menelao

L’abbia mia figlia: essa, se vuol, l'uccida.

andromaca

Ah, figlio mio, perché già non ti piango?

menelao

Certo nutrir non può troppo speranza.

andromaca

O fra tutti i mortali esecratissima
gente di Sparta, príncipi d’inganni,

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consiglieri di frode, tessitori
di malefatte, genti oblique, senza
franchezza mai, che fra raggiri sempre
avvolgete il pensier, deh, quanto ingiusto
è che felici voi siate ne l’Èllade!
Quali orrori tra voi mancano? Il sangue
non corre a rivi? Dei guadagni turpi
non siete vaghi? Non siete convinti
sempre che questo al sommo della bocca,
e quello avete in cuore? Ah, maledetti!
Ma la morte per me non è terribile
come per te. Fu la mia morte quando
cadde la città misera di Troia,
ed il mio sposo valoroso, che
da soldato di terra in vil nocchiere
ti mutò spesso. Valoroso oplita
contro la sposa or sei, m’uccidi. Uccidimi.
Ma dalle labbra mie blandizie alcuna
tu non udrai, né la tua figlia. Tu
sei fra i grandi di Sparta, e noi di Troia.
Né superbir se la mia sorte è misera:
esser tale potrebbe anche la tua.