Anima sola/II

Da Wikisource.
II

../I ../III IncludiIntestazione 4 gennaio 2018 100% Da definire

I III
[p. 18 modifica]

Come è lontano quel di!


Vi confido queste cose, che non direi a nessuno, perchè siete nato gemello anche voi; anche voi non troverete mai l’anima compagna che tutti vanno cercando secondo la teoria di Platone, teoria che non è per noi, dal momento che quest’anima l’abbiamo già e forma una sola con l’anima nostra. Essa ci impedirà sempre di darci completamente, pur amando più degli altri e con tanta forza.

Io l’ho compreso subito la prima volta che vi vidi, ricordate quando?

So l’ora, la luce, perfino la gradazione di verde che avevano in quel giorno gli alberi di Villa Borghese; e lo stato del [p. 19 modifica] mio spirito mestamente tranquillo e la posa un poco stanca a cui mi abbandonavo seduta sull’orlo della fontana, scrivendo un nome con la punta dell’ombrellino sulla sabbia.

La Villa era così deserta in quell’ora che il vostro passo, sulle foglie secche, mi fece subito alzare il capo; e man mano che vi vedevo avvicinarvi a me, nella vostra persona, nel vostro volto, nella tinta indefinibile dei vostri occhi, nel modo che mi guardaste e in quello di arrestarvi, cortese ma freddo e leggermente sdegnoso, vi riconobbi diverso da tutti gli altri e pensai con una sensazione nuova palpitante di intima sorpresa: “Chi sarà costui?„ Come se voi aveste udita la mia domanda interna pronunciaste nello stesso momento presentandovi: “Sono il marchese di Middleforth.„ [p. 20 modifica]

Vedete, sono piccoli fili; non è di piccoli fili che si compongono tutte le tele? le tele dedicate ai modesti usi famigliari, quelle che vestono il soldato o che ondeggiano sulla sua testa col fiero nome di bandiera, quelle destinate a lottare coi venti e coi flutti, quelle che coprono gli altari: e i fili che tessono le simpatie e le parentele d’anima sono piccoli fragili fili, egualmente avvolti dall’Ignoto intorno a connocchie inconsapevoli dell’uso a cui sono destinati.

Pochi giorni prima a Milano, dopo il fiasco enorme della Badessa di Monreal, avevo ricevuto una lettera firmata: marchese di Middleforth: nella quale lasciando da parte l’insuccesso del lavoro drammatico, l’incognito scrivente riconosceva la forza del sentimento da me trasfuso nel personaggio della Badessa. Io non dubitai un solo istante che, malgrado la [p. 21 modifica]distanza delle due città, voi e il corrispondente sconosciuto non foste l’istessa persona, e nemmeno il più piccolo sospetto mi sorse che foste diverso da ciò che siete, cioè un gentiluomo perfetto. Voi pure — è una delle mie gioie più profonde e più delicate — sorpassando la ripugnanza che vi ispirano le attrici in genere, siete venuto a me guidato da quel filo invisibile che mette degli occhi all’anima; e lo faceste in un modo così naturale che potrebbe sembrare assurdo agli altri. Che c’è di più naturale che presentarsi da sè?

Oh! la soavità misteriosa di quel nostro primo colloquio! Voi entraste subito a parlare della Badessa di Monreal, dicendo che ad onta dei suoi grandi difetti vi piaceva in quel lavoro un certo ardore nascosto che io avevo saputo rendere quasi alla perfezione. "Quasi — [p. 22 modifica] ripeteste — perchè sento dentro di me un ideale più complesso e più forte!"

A questo punto tacemmo. Io pensavo che non avrei potuto facilmente spiegarvi nè così subito e forse mai, per quali vie il fatto della Badessa di Monreal era giunto a destare nel mio cuore quel gemito così lamentevole, così triste e scorato di illusione infranta, che voi avreste desiderato più forte e più complesso.

Il successo letterario della Abbesse de Jouarre aveva ispirato ad uno dei nostri giovani scrittori questo soggetto tolto alle cronache spagnuole del tempo dei Mori:

Una fanciullina di stirpe regale, rapita all’Africa nativa e chiusa in un convento della vecchia Castiglia, vi cresce in una perfetta consonanza di idee e di aspirazioni con le suore che la circondano; [p. 23 modifica] solamente la sua pietà è più ardente, il suo zelo più appassionato, le sue preghiere più poetiche, le sue astinenze più esaltate e continue. Nella patria di Santa Teresa e di Maria Alacoque la giovane selvaggia stupiva per la sua santità.

Non potete immaginarvi fino a qual punto io mi sento penetrata da questa situazione. La vedo la giovane esiliata, nelle notti azzurre che i gelsomini dovevano profumare così dolcemente, inginocchiata nella sua cella, cogli occhi e col cuore rivolti al misterioso paese che la affascina con lontani ricordi. Nominata badessa del convento, il suo misticismo cresce. È nella chiesa lastricata di marmi funebri, o nell’ampia spianata del giardino in mezzo alla quale sovrasta una croce, che ella aduna tutte le notti le suore intorno a sè, poichè il giorno non [p. 24 modifica] basta alla sua smania d’amore divino. Tutta la Castiglia la proclama santa; dai più lontani paesi si accorre per implorare la sua benedizione. Ella come non dorme, non mangia più, non parla; eterizzata trascorre i suoi giorni nell’estasi. Questo è tutto il primo atto che a voi piacque di più, mentre il pubblico non dissimulava la sua impazienza.

Ma quel momento della rivolta, quando nel silenzio claustrale rimbomba improvviso il fragore delle armi ed i Mori urlanti battono alle porte del convento! Come era il mio volto, che cosa dicevano i miei occhi nell’istante fulmineo della rivelazione? E come fu che senza parlare, movendo risoluta verso le suore per correre io stessa ad aprire le porte, un lungo applauso — il solo durante tutto il dramma — scosse il teatro da cima a fondo? [p. 25 modifica]

Abbiamo discusso, almeno voi discuteste, questo subito passaggio, questa apostasia di vent’anni di chiostro, suscitata dall’improvviso ritorno di voci, di squilli, da tutto un tumulto d’armi e di uomini per cui ella si getta nelle braccia degli invasori con quel grido: oh! mia patria! che voi trovaste volgare, che a me invece sembra così profondo per tutto ciò che contiene di simbolo.

Sì, fu sotto gli alberi di Villa Borghese, nel tramonto splendido del cielo di Roma che voi, straniero, mi diceste di non comprendere quella invocazione alla patria.

Io pensai subito che dovete sempre essere stato molto felice, e guardai minutamente la forma eletta del vostro cranio, la vostra fronte sulla quale otto o dieci generazioni di intelligenti hanno [p. 26 modifica]stampato il suggello della sovranità e tutte le linee del vostro volto improntate a una distinzione di razza che mai non falla. Pochi istanti prima mi avevate detto che era vostra intenzione di percorrere l’Italia senza alcun limite di tempo e di luogo; eravate dunque libero e ricco, oltre che nobile ed intellettuale. Una breve vita senza lotte, abbellita dai migliori sorrisi della fortuna, vi aveva condotto al possesso pieno e completo dei vostri diritti d’uomo superiore.

Ed ancora, dopo queste riflessioni si fece un silenzio fra noi due. Calava la sera. L’umidità degli alberi mi faceva pensare con raccapriccio ai giorni della mia infanzia trascorsi in un tugurio, accanto ad una vecchia ignorante, fra persone la cui bontà rudimentale non scusava a’ miei occhi l’invincibile volgarità; al pezzo di pane che mi davano ed [p. 27 modifica]all’inedia in cui lasciavano languire la mia anima e una tenerezza indicibile cui prese per la povera fanciulla che fui.

In voi l'ora doveva ridestare immagini ben altrimenti opposte: forse il paterno castello, rallegrato dalle fiammate che i pini scoppiettanti facevano salire sotto la cappa arabescata del regno degli Stuart; e il fantastico parco intravveduto dietro i cristalli policromi; e la madre, la dolce madre vostra che vi accarezzava.

— Bisogna andare a vedere la cupola di San Pietro indorata dal riflesso degli ultimi raggi — diceste.

Mi alzai come cosa naturalissima, come fosse già inteso che si dovesse partire insieme, come se vi avessi conosciuto sempre. Nell’istante di muovermi, vidi che il vostro piede aveva cancellato il nome da me scritto sulla sabbia [p. 28 modifica]con la punta dell’ombrellino, nè me ne rammaricai — mi parve anzi una liberazione. Credo di non aver dato nessun segno esterno di sensibilità, per quanto ogni memoria strappata dal cuore lasci una ferita, e conobbi fin da allora la vostra straordinaria finezza. Con un accento e uno sguardo che non vi aveva visti ancora, mormoraste piano, in una tonalità affettuosa che contrastava col timbro dominatore della vostra voce: — Spero di non averle fatto dispiacere. Ad ogni modo resteremo amici?...

Il velo misterioso dei vostri occhi si sollevò e mi parve di sprofondare i miei in un cielo radiosamente azzurro. Come ci comprendemmo in quel momento! Due o tre volte appena, nei tempi che seguirono, vidi nelle vostre pupille e nell’iride abitualmente fosca che le circonda, questo improvviso e rapido sfolgorio, come [p. 29 modifica]un momentaneo denudamento della vostra anima.

Mi è caro ritornare così sopra certe ore del passato, poichè non v’ha dubbio che la felicità si compone più di ore che di giorni e più di pensieri che di cose.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

Come non potrei rammentare il piacere vivo, schiettissimo e reciproco che nessuno di noi due tentò dissimulare, quando ci incontrammo pochi giorni dopo al Pantheon? Per l’orrore delle parole comuni ci eravamo lasciati senza nessuna promessa di ritrovo, ma la certezza di rivederci aveva reso ben dolce il nostro addio:

— Fra le tombe, — diceste salutandomi.

Io vi guardai, stupita di trovarvi così giovane; e mentre la prima volta mi eravate sembrato pallido e quasi troppo [p. 30 modifica]serio, scoprivo allora con un certo timore la delicata freschezza del vostro colorito e la vostra bocca così infantile nella barba austera, che mi dava l’impressione di una rosa spuntata in un bosco. Ebbi un istante di vergogna, durante il quale credo di avere arrossito.

— Non avete recitato queste sere — diceste ancora.

Risposi un no asciutto senza spiegare la causa, occupata come ero a domandare a me stessa quanti anni potevate avere.

Eravamo fermi davanti alla tomba del gran Re, ma voi stavate di fianco, col volto alzato, e la luce dell’impluvium vi rischiarava così bene che potei cogliere la linea di quella bocca strana, infantile e crudele nello stesso tempo, che disegna nel vostro sorriso una specie di arco acuto. Osservai pure sotto la fierezza del vostro profilo la [p. 31 modifica]rivelazione della spiritualità che i vostri occhi confermano pienamente e che emana da tutta la vostra persona, come un fluido posto tra voi e il mondo, quella che io chiamo la vostra aria. Alfredo di Vigny e Chateaubriand dovevano assomigliarvi un poco.

— Amo queste tombe (staccandoci dall’arca di Vittorio Emanuele, seguivamo la curva del Pantheon osservando gli altri sepolcri) ed è un sentimento bizzarro quello che provo qui; piuttosto che l’ammirazione è una gioia orgogliosa che mi invade, una serenità di persona che smarrita ritrova il suo sentiero. Se sapeste la folla di pensieri che mi assale sempre in questo luogo! Io penso che forse...

Non dissi di più. Ripetendo ora queste parole mi meraviglio che ne abbiate penetrato l’orgoglioso e folle significato. [p. 32 modifica]E che lo penetraste me ne avvertì subito il velo più cupo dei vostri occhi, quella fierezza fredda nella quale vi ravvolgete come in una corazza tutte le volte che sospettate un rivale del vostro orgoglio.

Ma io allora non vi conoscevo ancor bene. Confusa del mio ardire e della vostra freddezza vi domandai scherzosamente se avevo detto qualche sciocchezza. M’appagai della risposta: “tutt’altro„; e il silenzio che la seguì mi parve più dolce di qualunque altra parola che aveste potuto dire.

Veniva dalle tombe una voce così simpatica al mio cuore, e voi stesso entravate così bene nella elevata malinconia dell’ambiente, ci sentivamo così a posto, così vicini d’animo a quel Re ed a quei Genii, che mai forse come allora l’accordo invisibile di due intelligenze vibrò la sua nota più acuta e più penetrante. [p. 33 modifica]Sì: ho bisogno di evocarvi come eravate allora per continuare le mie confidenze. Alba luminosa di un periodo di tempeste, quei primi giorni mi stanno davanti incancellati. Che importa se a tanta distanza la vostra persona reale svanisce in una visione fantastica? Non è tutto sogno la vita? Voi mi insegnaste che il male ed il bene non esistono in modo assoluto; che importa a tal patto l’essere o il non essere? Io vi vedo, vi creo, dunque esistete.