Beatrice (Serao)/III

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Ma non tutte le donne possono essere innamorate, amanti, spose, mogli. Avete osservato quanto e troppo si parli dell’amore, in questo nostro tempo e come questo elemento unico, egoisticamente attragga tutti gli sforzi degli artisti e tutte le ricerche degli psicologi? Avete notato come la passione che pure considera e riassume tutti gli ardori di tutti gli affetti, sia monocorde, nel mondo moderno, sia la sola passione d’amore quella che ci occupi e ci preoccupi, tutti quanti, attori e spettatori, soggetti di [p. 50 modifica] cronaca e cronisti? Avete considerato che il mondo moderno non si degna studiare la donna che nei soli rapporti del sesso, nella sola manifestazione amorosa, trascurando tutto il resto? Ama, non ama, non può amare, non vuole amare, non deve amare, non sa amare, non può vivere senza amare, muore di amore, muore per amore; ecco le sole questioni che opprimono gli studiosi e gli artisti. Ma dunque, non sa e non deve fare altro la donna, e veramente non sa e non fa altro, questa nostra donna? Null’altro? Ma dunque ella non esiste più, in tutti gli altri suoi affetti, ella non è più una figlia amorosa, ella non è più una sorella amorosa, ella non è un’amica amorosa, ella non è più una cristiana pregante, ella non è più una donna che pensa, che sente, che vive, oltre l’amore? Possibile? Possibile? E giacchè nessuno psicologo, ahimè, nessun artista, ha potuto negare la tremenda verità ed è che l’amore sia un sentimento breve e fallace, un sentimento più degli [p. 51 modifica] altri soggetto a tutte le miserie, ed a tutte le caducità umane giacchè le limitazioni, le imperfezioni, le delusioni dell’amore non le può negare nessuno, giacchè esso, sovra tutto, è breve, breve, breve, vuol dire che la esistenza feminile conta solo, nel mondo sentimentale, per due anni, per un anno, per sei mesi? E le donne che non riescono a essere amate, le donne che non riescono ad amare? Non esistono costoro? È possibile? E quando non si può più nè amare, nè essere amate, di amore, bisogna, dunque, veramente morire? Solo l’amante ha diritto di vivere, solo l’amante è oggetto di analisi nei romanzi e nei trattati di psicologia? E la madre, signori, signore, la madre? La madre che è madre, sempre, col suo cuore, da venti anni sino alla morte, la madre il cui sentimento non teme il tempo, non teme il tradimento non teme l’abbandono, la madre che ama che è amata, oltre la tomba? La madre, il cui sentimento è rafforzato dall’istinto più [p. 52 modifica] vero, più innegabile, la madre che ama con le sue viscere e col suo cuore, la madre il cui amore ha mille forme, mille furori, mille ardori, mille follie? O psicologi, o artisti, o figli, o ingrati!

Ma se, nell’assorbimento ingiusto e monotono, indizio di debolezza e d’impotenza dell’arte e della psicologia moderna, se in questa idea fissa dell’amore, se in questa monomania in cui quelli che pensano e che osservano, restringono meschinissimamente la loro visione, è dimenticata questa forma così svariata e così nobile, così umana e così divina che è la madre, ella non perde, no, il suo fedele, costante, immutabile posto d’ispiratrice, che tenne nel tempo, che nel tempo terrà. Se l’amante prende un uomo e lo fa diventare un artista, la madre riceve da Dio un bimbo e dà alla società un uomo: e i germi della grandezza spirituale che l’amore fa fiorire, furono invero, seminati dalle mani materne. O anni dell’infanzia, quando, ai [p. 53 modifica] mistici che onorarono la filosofia religiosa e la fede, le prime preghiere furono insegnate da una cara voce e le manine furono congiunte da due bianche mani affettuose; o anni dell’infanzia quando, a coloro che furono grandi nella poesia e nella prosa, i primi libri furono aperti dalle stesse mani provvide e la testa materna si chinò accanto a quella del fanciullo, per rendergli più agevole, meno pesante lo studio; o anni dell’infanzia, quando i primi conati della mente trovarono i buoni, dolci occhi materni sorridenti incoraggianti! O voci di Dio, o voci dell’arte, o voci della scienza, non parlaste voi per mezzo della sua voce? Le sacre parole che accendono l’anima, le parole che dànno i sogni e che dànno le visioni, le parole che schiudono gli orizzonti, oltre i confini del mondo, non è, forse, lei che le ha pronunziate, per la prima?

Prima ispiratrice! Quando appena appena gli occhi del fanciullo si schiudono, intendendolo rudimentalmente, allo spettacolo del [p. 54 modifica] mondo, è la madre che gli addita la semplice beltà delle cose: più tardi, egli ne comprenderà il senso, più tardi egli ne afferrerà tutti i significati, ma la impressione primiera, quella che uno sguardo sapiente e dolce gli indicò, rimarrà come sorgente eterna di ammirazione. Quando appena appena il cuore del fanciullo comincia a palpitare, amando qualcuno, è un cuore palpitante che si appoggia sul suo, è una parola tenera che gli spiega le ragioni e gli scopi dell’amore, è una guida amorosa che gli insegna perchè si deve amare e come si deve amare. Quando l’aspetto dei cieli immensi e le vivide stelle, e tutto l’organismo mirabile del creato e dell’uomo si rivelano confusamente al bimbo, la madre, prima ispiratrice di fede e di pietà, gli dice come Iddio volle questa grandezza a lui simile, come lui sublime. Spesso, nella infanzia, coloro che furono, più tardi, destinati a essere le fiaccole dell’umanità, non danno segno d’ingegno più vivace: spesso, il loro [p. 55 modifica] mondo interiore, già esistente, non sa esprimersi. Ah che la madre vede quello che gli altri non vedono. Ah che essa sa quello che gli altri non sanno; ella ha il presentimento ed ella ha lo spirito profetico; e ciò che, più tardi, meraviglierà il mondo, non la stupisce! A questi figliuoli che già portano impressa sulla fronte il mistico suggello dell’idea, a questi figli che furono segnati dallo spirito, a questi fanciulli fatali, i cui occhi già cercano alla vita quello che essa non può dar loro che più tardi, per forza, per violenza, le carezze materne vanno più pietose, più soavi, già lenienti i primi segreti sussulti. Ah chi li conosce, questi primi sussulti dei fanciulli che saranno artisti e pensatori, chi li conosce e chi ne freme, di terrore e di orgoglio, se non voi, madre? Queste prime ansie che conturbano l'adolescenza e la rendono infinitamente triste, quando la coscienza dell’ingegno soffoca di emozione il giovanetto, voi le raccogliete, o madre! Siete voi che [p. 56 modifica] comprendete e che cercate placare le subite e bizzarre ribellioni di uno spirito che si sprigiona dalla mediocrità, le malinconie lunghe e ingiustificate dei quindici anni, e la selvatichezza scontrosa e le fughe da tutti i contatti volgari: voi che intendete il segreto delle notti già trascorse alla lettura e allo studio, il segreto della mano che disegna e che cancella, il moto della mano che cerca sui tasti, qualche cosa che non giungo a precisare! Il primo aprirsi, sgomento, e inebbriato dall’animo del vostro fanciullo, quando batte sul cuore l’arte e batte la scienza, quando il pensiero già martella nella testa, è spiato da voi e voi ve ne spaventate e ve ne inebbriate, come vostro figlio, e voi avete negli occhi la sua stessa luce di paura e di felice meraviglia, voi madre sua, madre di questo ingegno che si è svegliato e che vibra, madre di quest’anima che grandeggerà, domani!

Prima ispiratrice! Le opere di giovinezza, [p. 57 modifica] così folte di cose e così ingenue, così ricche di energie accumulate e così simpaticamente inesperte, così audaci e così innocenti, queste opere di giovanezza, ritengono tutta la ispirazione materna. Vi spira dentro una tenerezza che, ahimè, sparirà successivamente, poichè la vita è amara ed è anche amara l’arte: vi è un candore affascinante che non resisterà ai morsi dell’esistenza, ma che forma la delizia delle opere di gioventù: vi è una bontà, riflesso, eco, della bontà materna. Uno scrittore, un’artista giovanile può essere violento, se il suo bel sangue ricco ribolle, non sarà mai crudele; può essere aggressivo, non sarà mai spietato; può essere appassionato, sarà sempre casto, poichè alle sue spalle, avanti a lui, la mano materna, la voce materna la parola materna ancora guidano il suo intelletto. Purtroppo, purtroppo, tutto ciò è destinato a dileguarsi, a perire: i roventi ed essiccanti aliti del mondo distruggono [p. 58 modifica] questa rugiada, distruggono questo balsamo. Ma esso fu: ma nel cuore del più perverso artista, ma nell’anima del più gelido pensatore, ancora, talvolta, tutto si penetra di dolcezza, tutto si colorisce di bontà e il nome materno, mai sarà da essi nominato senza il miracolo gentile.

Ispiratrice prima, o madre, ma per voi non si scrive la Commedia, non si scrive il Canzoniere nè si dipinge la Trasfigurazione, nè si compone la Nona sinfonia: i figli non vi immortalano. Voi li fate belli e sani, voi date loro il talento e la cultura, voi insegnate loro la preghiera e il lavoro, voi asciugate le loro lagrime e carezzate i loro volti, ma un’altra donna viene e ve li porta via, un’altra donna che essi canteranno che sarà la loro Musa e il loro altare, il loro amore e il loro rogo. Ogni tanto, il figlio, l’artista ritornerà, stanco, disfatto, alle braccia materne: ma per fuggirne: e voi, forse morirete sconsolata. Non l’amore solo ve li ruba: ma [p. 59 modifica] è l’idea, è la loro idea, questa terribile, lusinghiera abitatrice dello spirito. La gelida morte vi porta nelle sue braccia, lontano da lui. Sconsolata, lontana? Il mondo delle anime, oltre la tomba, è fatto per voi, Beatrice, per voi, madre: ancora, di là i soavi occhi dell’innamorata guardano il poeta: ancora i grandi, buoni, occhi materni guardano il poeta e lo benedicono.