Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere/Parte terza/Capitolo V

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Capitolo V

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CAPITOLO V

Della proporzione giusta fra l’oro e l’argento,
tanto d’antichi quanto di moderni.

È quasi l’opinione commune de’ prencipi o de chi tien pensiero del governo de’ loro Stati che, dandosi la proporzione giusta fra l’oro e l’argento, possa esser causa detta proporzione dell’abbondanza di detti metalli in quel regno; e all’incontro, eccedendosi o in piú o in meno in detta proporzione, che sia causa di far impoverire il regno o dell’uno o dell’altro di detti metalli opure di tutti doi: e perciò si è andato investigando quale fusse questa giusta proporzione e quale gli avessero dato gli antichi e quale li moderni. E, per accennare alcuna cosa in [p. 224 modifica]breve della proporzione degli antichi, per quanto si lege in Platone, nel suo tempo correa la proporzione duodecima, e ne’ tempi nostri poco differisce, ché in alcuni luochi piú e in alcuni meno si ritrova. Né bisogna discorrere, in ritrovar la giustizia o veritá esatta di detta proporzione, per rispetto della natura o qualitá di detti metalli, ché saria cercarla invano e dove non si può ritrovare; e mi par che si siano ingannati in questo pensiero, poiché questa proporzione è proporzione di prezzo, il quale sta sotto la potestá dell’uso, come dice la legge «Praetia rerum» ne’ Digesti nel titolo Alla legge falcidia. Sí che, stando in potere dell’uso, il prencipe, che vuol constituire questa proporzione forse nova dell’uso proprio antico e dar principio a un uso nuovo, deve considerare l’uso de’ luochi convicini o lontani, co’ quali il suo regno tiene o possa tenere commercio, e della abbondanza della moneta dell’uno e l’altro, insieme con il trafico che tra loro si tiene; e da queste e altre circostanzie conoscere in che modo torna conto al suo regno mutar la proporzione in piú o in meno dell’uso antico, con conformarsi o difformarsi dall’uso di detti luochi secondo li parrá espediente, e da simili considerazioni constituire il prezzo tra l’oro e l’argento che potria causare alcuno utile al regno.