Certo è che al nascer mio, non come ignoto
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LXXVII
X
Certo è che al nascer mio, non come ignoto
Le Muse mi lattaro,
Perchè al nome di lor fossi devoto;
Onde, benchè vêr me l’oro mirassi
5Di se medesmo avaro,
Non mai lungi da lor mossi i miei passi:
Così tra selve, e sopra aerei sassi,
E per solinghi liti
A’ mormorii correnti
10Di silvestri torrenti
Trassi i miei dì romiti;
E discendendo dalle cime alpine
Cercai le più riposte onde marine.
Spesso m’apparve Euterpe, e dolcemente
15Sostenne i pensier miei
Contra i dispregi della volgar gente;
E sorridendo m’affermò che aita
Pur finalmente avrei
Nei duri incontri della mortal vita.
20Sciocchezza estrema, colà dove invita
Sovrammortal possanza
A ben sperare un core,
S’egli perde vigore,
Ne sa nudrir speranza.
25Io raccolsi quei detti, e prestai fede,
E di felicità son fatto erede.
Cosmo rivolse in me sua man cortese,
Ed alzando mio stato,
Meraviglioso a’ popoli mi rese.
30Però consagro a’ pregi suoi mia lira;
Chè verso un core ingrato
Ogni bell’alma e tutto il ciel s’adira.
Dunque, vergine Clio, lieta rimira
De’ miei cotanti prieghi
35A’ cupidi fervori;
E de’ tuoi gran tesori
Gemma non mi si nieghi:
Scegli la più gentil che abbia Elicona,
Onde io cresca fulgor di sua corona.
40Che se quaggiuso in terra animi amici
Empionsi di diletti,
Ascoltando de’ suoi guerre felici,
Lunghissimo gioir non verrà meno
Degl’Italici al petto,
45Se io tesso istoria di valor Tirreno.
Ecco del nostro mar nell’ampio seno
Cascò d’obbrobrj carca
Aspra turba Ottomana;
E per l’onda Africana
50Pure mirò Tabarca
Stringersi in ceppi musulmani arcieri
Sotto il fischiar di fiorentin nocchieri.
Ninfe marine a Capo Bono udiro
Di falangi perverse,
55Piangendo libertà, lungo martiro:
E nel golfo dell’Idra acerbo scorno
Altra turba sofferse,
E venne afflitta a rallegrar Livorno.
Cose, onde il grido che risuona intorno,
60E per saggi s’apprezza
Meco stesso rammento:
Non ha stabilimento
La mortale grandezza,
E nel mondo quaggiù regna vicenda:
65Convien che altri sormonti, altri discenda.
Cartago era di Libia alta reina,
Poscia rasa le chiome
Serva si fe’ della virtù Latina;
Ed or d’orror miseramente involta
70Solo serba suo nome
Per l’immense ruine ove è sepolta.
L’ordine con Livorno oggi si volta;
Nella stagione antica
Fu piaggia paludosa,
75Dimora travagliosa
Di vil gente mendica,
Ch’estate e verno sosteneva affanni,
Tessendo a’ pesci con la rete inganni:
Ora ampie strade ed indorati tempj,
80Ed afforzate mura,
Ed alte torri, oltra gli umani esempi,
E contra i varchi altrui fosse profonde;
E con Dedalea cura
Immobil mole al tempestar dell’onde.
85Ad onta d’ottoman, da quali sponde
Non s’adducono palme
Per ornar questi porti?
Oh come in viso smorti
Percotonsi le palme
90Del superbo tiranno i servi avari,
In mirar tanto minacciati i mari!
Ed ecco da lontan carco di doglie,
Di Tripoli sul lido
Oggi il ricco Bassà pianger sue spoglie,
95E dir contra Macon bestemmie orrende,
Perchè il popol suo fido
Da’ toscani guerrier non si difende.
Donna del Ciel, cui notte e giorno splende
Di Montenero in cima
100Altar fra’ voti immensi,
A te spargansi incensi;
Che la tua man sublima
Di Cosmo il nome, e tra’ marin perigli
Tu governi, o Beata, i suoi consigli.