Codice cavalleresco italiano/Libro III/Capitolo III

Da Wikisource.
Accomodamento pacifico della vertenza fallito

../Capitolo II ../Capitolo IV IncludiIntestazione 28 maggio 2022 100% Da definire

Accomodamento pacifico della vertenza fallito
Libro III - Capitolo II Libro III - Capitolo IV
[p. 109 modifica]

III.

Accomodamento pacifico della vertenza fallito.

ART. 217.

Riuscito vano ogni tentativo per risolvere amichevolmente la vertenza, i rappresentanti riprendono l’esame dei fatti, che originarono la querela. [p. 110 modifica]

Discuteranno l’opportunità di sottoporre la questione al giudizio di un arbitro o di un giurì, e se ciò riesca vano, tenteranno tutti i mezzi per indurre i primi a richiedere l’intervento della Corte d’onore.

ART. 218.

Nell’esame dei fatti, dai quali trasse origine la vertenza, porranno ogni cura, tutta la loro intelligenza e coscienza per determinare se, chi offese, agì per impulso proprio, o di terza persona; per malanimo, o per scopo illecito e disonesto.

Nota. — L’oculatezza della parte offesa, specialmente, non sarà mai eccessiva su questo punto della controversia, per non correre il rischio di fare incrociare la spada del proprio cliente con quella di un mascalzone qualunque, prezzolato e camuffato da gentiluomo.

Ma anche l’offensore supposto o reale, ed i suoi rappresententi dovranno usare la più scrupolosa diligenza per accertarsi che il supposto o reale offeso agisca per impulso proprio, e non per suggestione di un vile brigante dell’onore altrui, che sorprendendo la buona fede di chi si può supporre offeso, cerca di colpire l’avversario di questo alle spalle per compiere una vendetta propria col braccio altrui.

Talora, invece, non è l’offesa che si lancia per mezzo d’una terza persona; ma è questa che, cambiando le carte in mano, come suol dirsi, fa sua l’offesa che altri ha lanciato.

In questo secondo caso non è più l’offeso che sfida l’offensore: non sono più queste due persone che si pongono di fronte nel combattimento, bensì è uno spadaccino di professione, od altri, i quali nulla hanno assolutamente a che fare con i due che ebbero la contesa, e che si battono sia per mercede, sia per animosità personale.

[p. 111 modifica]

Occorre adunque oculatezza, specialmente da parte dei rappresentanti dell’offeso, poichè questi vicarî o campioni, il più delle volte hanno la missione di sicarî; contro i quali, e contro il loro mandante si deve invocare la legge con tutti i suoi rigori, perchè estranei alla vertenza, vendono il loro braccio e profittano di una offesa altrui per dare sfogo ad una vendetta personale.

ART. 219.

Nell’apprezzare i fatti e nel determinare il grado dell’offesa, parleranno sempre a nome proprio, mai citando gli apprezzamenti del loro mandante.

ART. 220.

Nel difendere gl’interessi del proprio cliente, i rappresentanti si guarderanno dall’usare parole o gesti che potrebbero offendere, anche lontanamente, la suscettibilità di uno dei rappresentanti.

Nota. — Ciò proverebbe assenza assoluta di tatto e attirerebbe meritamente sull’autore lo sdegno e il disprezzo dei colleghi; giacchè, è contro ogni regola cavalleresca che da una vertenza ne sorgano altre. Però, è pure necessario far notare, che è dovere dei rappresentanti di non fare sfoggio di una suscettibilità intempestiva nelle trattative della vertenza. Il padrino, in una questione d’onore, deve esercitare il suo ufficio liberamente e non sotto l’impressione che, una sua parola, male interpretata da un altro, possa chiamarlo a duello. Così, come si esonera dal duello l’avvocato, il deputato, ecc., ecc., che nell’esercizio delle loro funzioni pronunciano frasi vivaci, ma che non contengono offese rigorosamente personali, si deve parimenti esonerare da ogni responsabilità il rappresentante, che in una vertenza d’onore pronuncia frasi vivaci, ma non rigorosamente offensive e personali, per la difesa e tutela degli interessi del proprio cliente.

[p. 112 modifica]
ART. 221.

Stabiliti i fatti, determinata la natura e la gravità dell’offesa e studiati i motivi apparenti o reali; se la vertenza esige una soluzione con le armi, i rappresentanti, stabilito a chi spetta la qualità di offeso, devono fare quanto è in loro potere, affinchè la soluzione della vertenza sia rimessa al giudizio di un giurì o di una Corte d’onore.

ART. 222.

Qualora le parti rifiutassero l’appello al giurì o alla Corte d’onore, e se i rappresentanti non credessero di rimettere il mandato: stabiliti i fatti e attribuite le qualità di offeso e di offensore a ciascuno dei due contendenti, constatano se gli avversari posseggono le qualità morali e fisiche richieste per impugnare le armi e per duellare. Passano quindi a determinare le condizioni di scontro.

Nota. — Questa constatazione consiste nel determinare l’onorabilità cavalleresca dei contendenti; e cioè, l’identità, l’età, lo stato fisico dei medesimi, nonchè la moralità degli avversari, tanto sotto il rapporto di persona, come sotto quello dei motivi apparenti o reali della vertenza.

Si fa inoltre notare che il 3 gennaio 1923 la Corte d’onore permanente di Firenze, presidente Gelli e giudici di turno: Generali comm. Ceccherini, comm. Sardagna, comm. Reghini, avv. P. Lepanto Boldrini, in vertenza appellata Salvadori-Gervasoni, giudicava che la querela in diffamazione sporta contro un testimone non impedisce l’azione cavalleresca per le ragioni seguenti:

«Se infatti a chi subì offesa negano le leggi d’onore il diritto d’inviare una sfida, quando abbia comunque fatto appello ad un Tribunale o a un Giudizio d’onore, non è [p. 113 modifica]però vietato al gentiluomo di querelarsi per diffamazione contro il teste che si fosse fatto sostenitore di un’accusa ritenuta ingiusta, specialmente quando da tale accusa sia a lui derivata un’onta gravissima. Resta in tal modo integra nel gentiluomo offeso la facoltà di adire le vie penali, senza che perciò venga comunque a mancare in lui il diritto di richiedere quella riabilitazione che solo dal giudizio di una Corte d’onore può derivargli. Ove infatti si ammettesse che l’esperimento giudiziario contro un testimone fosse di impedimento ad un successivo giudizio di una C. d’O., potremmo arrivare all’assurdo di vedere un gentiluomo, ingiustamente accusato, ottenere dinanzi al magistrato la condanna di chi, mentendo, lo privò dell’onore cavalleresco e trovarsi dopo nella impossibilità di chiedere una riabilitazione, pur essendo consentito un giudizio di appello dalle leggi di onore. Debbono, in simili casi, considerarsi le azioni penali esperite quali mezzi adottati da chi fu colpito nell’onore per procurarsi maggiori prove a discolpa, onde meglio affrontare il giudizio di una C. d’O. Prove a discolpa, malgrado l’autorità giuridica di una sentenza passata in giudicato; prove sul cui valore dovrà giudicare in modo insindacabile la Corte, che non può mai essere tenuta ad osservare incondizionatamente il dispositivo di una sentenza pronunciata in conformità delle leggi penali».

· · · · · · · · · · ·

«Tra le leggi di onore e le leggi penali esiste differenza sostanziale sia per la loro origine e natura che per i loro effetti, e in questa diversità le prime tanto affermarono la loro superiorità ed indipendenza da comandare talora come dovere ciò che le seconde puniscono come delitto».

ART. 222 bis.

Se durante la trattazione uno dei rappresentanti [p. 114 modifica]esigesse un mutamento alle condizioni già convenute; o pretendesse di non attenersi a quanto fu stabilito in precedenza, la parte contraria avrà il diritto di troncare ogni trattativa e con apposito verbale dichiarare chiusa la vertenza, specialmente se il rappresentante in questione rappresenta l’offeso (Bellini, VI, VIII).

Nota. — Quest'articolo non concede ai paurosi di fare l’eroe a poco prezzo. È da ritenersi che, quando si ha l’animo di ricorrere alla riparazione cavalleresca, si possegga pure tanta forza di volontà da scendere, occorrendo, sul terreno con l’arma in pugno. E perciò, questo articolo è un freno per quei rappresentanti prepotenti e punto coscienziosi, che vorrebbero rifare e disfare ad ogni istante il fatto a totale beneficio del proprio rappresentato; e, se questi (cioè il rappresentato) non vuol essere giudicato malamente dalla opinione pubblica, impedisca ai suoi padrini di fare i capricciosi e gli isterici in argomenti tanto seri e penosi1.

Note

  1. Per compilare questo Codice cavalleresco, il quale ha ottenuto e gode la stima e la simpatia universale, ho sottoposto ciascuno degli articoli, dai quali il Codice risulta formato e tutte le modificazioni, aggiunte ecc., all’esame e al giudizio di Cento persone, scelte volta per volta, tra i magistrati, tra gli ufficiali, gli uomini politici, i letterati, i commercianti, maestri di soherma, ecc., e che ciascun articolo è stato conservato o modificato nel senso indicatomi dalla maggioranza degli interpellati. Or bene, questo articolo 222 bis ottenne l’approvazione di ottantasette su cento giudici.