Come per dritta linea l'occhio al sole

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Simone Serdini

XIV secolo Indice:Le Rime di Cino da Pistoia.djvu Letteratura Come per dritta linea l’occhio al sole Intestazione 27 agosto 2021 100% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Rime scelte di poeti del secolo XIV/Saviozzo da Siena


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Opus Simonis de Senis super tres Comædias Dantis


     Come per dritta linea l’occhio al sole
Non può soffrir la ’ntrinsica sua spera,
3E riman vinto assai da quel che suole;
     Così lo ’ngegno mio da quel ch’egli era
Rimaso è vinto dalla santa luce,
6Che come ’l sole ogn’altro corpo ’mpera.
     Franca Colonna, or poi che tu se’ duce
In dimandarmi, ed io voglio ubbidire:
9Ma degna musa fia che mi conduce.
     Per lei ardisco, e poi per te servire,
Parlar del sacro fiorentin poeta
12Che nostra lingua ha fatto in ciel salire.
     Qual divina influenza il bel pianeta
Mercurio giunse a Febo in ascendente,
15E Venus vide grazïosa e lieta!
     Furon le ninfe a lui tutte presente;
E vide Apollo il suo ricco Parnaso,
18E Dafne, più che mai bello e fervente.
     Vide Minerva il benedetto vaso
Pien di rugiada partorire un fiore
21Che in grembo a Beatrice è poi rimaso.
     Felice ventre, in cui tutto ’l valore
Dell’idïoma nostro in fra’ Latini
24Acquistò gloria, e tu porti l’onore!

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     O lume d’eloquenza fra’ divini
Poeti, che per fama hai venerato
27La patria tua e tutti i tuoi vicini!
     Ben ti puoi millantar, popolo ingrato,
Del ben che ’n vita tu non conoscesti,
30Ed anche il cener suo hai disprezzato.
     Non fur gli antichi tuoi tanto molesti,
Che discacciasse le virtù invidia
33Sol per ben fare, come tu facesti.
     Oh maledetta fame, oh trista invidia
Delli stati caduchi, anzi veneno,
36Che v’ha acciecati nella sua perfidia!
     Brievi e leggieri assai più che baleno,
Divisi con affanni e con paura,
39Dove venìano a poco a poco meno!
     Non bastan pur le tombe e sepolture
All’osse svelte dalle crude morti;
42Chè ne son pieni i poggi e le pianure.
     Rapine incendi uccisïoni e torti,
Puttaneggiar le vergini e gli altari...
45O giustizia di Dio, come ’l comporti?
     Questi boccon desiderosi e cari
Acerberan la strozza ancor a’ figli,
48E forse a’ nostri dì parranno amari.
     Trovossi Dante tra cotali artigli,
Che per seguir gli stati e ’l ben civile
51Corse in esilio ed a maggior perigli.
     Tutto fu lume al suo spirto gentile,
Che sviluppato di sì gran disìo
54Tolse da poi così leggiadro stile;
     E, posti gli error pubblici in oblìo,
Dopo gli studi italici, a Parigi
57Volse abbracciar filosofìa e Dio.
     Non molto stette poi riveder quici
La Scala i Malespini il Casentino,
60Che fur di lui veder troppo felici:
     E poco poi rivolse il suo cammino
Al buon Guido Novel, quel di Polente,
63Sì gentil sangue fatto poi Caino.

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     Costui fu studïoso e fu scïente
Col senno colla spada, liberale;
66E sempre accolse ogn’uom prode e valente,
     La festa l’accoglienza quanta, e quale
Fusse l’onor che a lui si convenìa,
69Ravenna, tu sai ben, che a dir non cale.
     Qui cominciò di legger Dante in pria
Rettorica volgare, e molti aperti
72Fece di sua poetica armonìa.
     D’onde se ben, lettor, cerchi ed avverti,
Le rime non fur mai prima di lui
75Se non d’amore e d’uomini inesperti.
     Così ’l volgar nobilitò costui,
Come ’l latin Virgilio e ’l greco Omero;
78Ed onorò più ’l suo che ’l suo altrui:
     D’onde, per esaltare il magistero,
Con tant’alta materia il dir volgare
81Volse, e per esser solo in suo mestero.
     Or taccia ben chi mai volse parlare
Di tutto ’l viver nostro e del costume:
84Lingua mortal già mai non ebbe pare.
     L’acqua e le frondi del Permesso fiume
Bagnaro e cinser l’onorate tempie,
87Ch’a molti han fatto glorïoso lume.
     Nel cui principio poetando adempie
Le pene ai peccator quanto s’aspetta,
90Come le colpe fur più e meno empie.
     Vari supplicii orribile vendetta
Mostra per raffrenare i molti vizi
93Dove la gente vede tanto infetta.
     Perchè da’ nostri superiori inizi
Nasciam atti a ragione e libertate,
96Giustizia ordisce a’ rei degni supplizi.
     Inferno pone all’anime dannate,
Che fur esecutori di passioni
99E del celeste dono al tutto ingrate.
     Nel secondo entra in nuove regïoni;
Verso un prato di giunchi una montagna
102Murata in mezzo; e sagliesi a scaglioni;

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     Ed è 'n quell’emisper tant’alta e magna,
Che tocca ’l colmo suo l’etere puro;
105Dove gran gente con desìo si lagna.
     Qui punisce ’l poeta in fin al muro
Color che furo negligenti in vita,
108Però son più di lungi al ciel futuro.
     Da indi in su, sì come fu contrita,
Così di grado in grado ivi si purga
111In fin che giunge all’ultima salita.
     Qui mortalmente vuol che ciascun urga
Gli appetiti mondani ’n fin ch’ei puote
114E che per contrizione a Dio resurga.
     Nel terzo scande all’amorose note
Di cielo in cielo in sin ai santi cori,
117Là dove trova l’anime divote.
     Beatus vir che Dio temi et adori!
Beati quorum tecta sunt peccata!
120Beati immaculati e puri cori!
     O donna fecundissima e beata,
Beati gli occhi e benedetta l’ora
123Che t’ha ’n sì degno ostel fama acquistata!
     Non così caldamente or s innamora,
Che l’uom s’ingegni alle virtù per forma
126Che la sua donna in terra e in ciel s’onora.
     Dietro all’amata alla santissim’orma
Di Beatrice segue ’l suo poema,
129Dove c’insegna la beata norma.
     Come ’l maestro, poic ’ha dato ’l tema
Al fantolin che ’nanzi a lui attento
132Non sapendol comporre il mira e trema,
     Molte fïate, d’una volta in cento,
Gli mostra ’l nome il verbo il participio,
135Tanto che del latino il fa contento;
     E come a Roma tremefatta Scipio
Soccorse con parole e con affetto,
138Che fu di Libia allor grato principio;
     Così nel nostro debole intelletto
A parte a parte mostra e ci soccorre,
141E poi ci acquista un regno alto e perfetto.

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     Per questa intera via si saglie e corre
Al sommo ben felice ed a quel fine,
144Che nè resìa nè morte ’l può disporre.
     Lì non si tien le redine nel crine
Della rota del mondo, e non si pugne
147La man per côr la rosa in fra le spine.
     O felice colui che si compugne
Ad ora, e col ben far sempre s’adopra,
150E non aspetta in fin che ’l prete l’ugne!
     Qui mostra degno premio a ciascun’opra,
Qui finisce il comedo e sì t’accenna:
153Or cerca ingegno altrui che te lo scopra.
     Poco poi scrisse la famosa penna,
Finito il libro suo, chè Beatrice
156L’anima chiese, e l’ossa ebbe Ravenna.
     O vita sua perpetua e felice,
Vaso d’elezïon, esemplo nostro,
159Che così morto vivo anche si dice!
     Non fur i panni suoi purpura d’ostro,
Non furo i cibi delle varie prede;
162Ma furon scienza calamaio e ’nchiostro.
     Nacque, vacante la romana sede,
Corrente ’l tempo a’ prosperi annali,
165Ch’emme du’ ci con se’ e cinque procede.
     Cinquansei soli stette fra’ mortali,
E fece altr’opre grazïose e belle;
168Poi verso il ciel fuggendo aperse l’ali,
     Con Beatrice ad abitar le stelle.


(Dalle Rime e Prose del buon secolo tratte da mss. e in parte inedite, per Telesforo Bini; Lucca, Giusti, 1852.)