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Compendio storico della Valle Mesolcina/Capitolo XIX

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Capitolo XIX

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CAPITOLO XIX.

(dal 1525 al 1583)

La Mesolcina compra il castello di Mesocco e suoi privilegi; morte eroica di G. Boelini; bando dei Trivulzi; demolizione dei Castelletti, e descrizione del primo; citazione; decreto di riforma; Majnardo; assassinio di M. Boelini; separazione parrocchiale; rinuncia formale; divisione civile; capiluoghi; Centena; famiglie perseguitate; litigi; avvenimento; tariffe daziarie; diriti del Porto.





All’incominciare del 1525 Gian Giacomo Trivulzio, figlio del Magno, ad esempio del suo antecessore, cercava pure d’introdurre arbitrari gravami sugli abitanti vallerani, per cui la libera Mesolcina vedendo che i proprietari del castello di Mesocco tendevano sempre ad assoggettarla, e desiderando essa di ricuperare la totale di lei indipendenza per mezzo di sborsi, come avevano fatto la maggior parte delle Comuni delle Tre Leghe, propose, entrò in trattativa per mezzo de’ suoi delegati, ed ottenne la cessione di quel castello annesso tutti i suoi pochi privilegi, consistenti in certi giu[p. 115 modifica]dizj civili, nel diritto del dazio interno di Valle, della zecca, della general caccia vallerana, e della pesca dei fiumi Moesa e Calancasca, esclusi quei tratti non di sua competenza, perchè anteriormente già stati altrimenti disposti dai due de Sax; qual vendita fu fatta dal nominato Trivulzio alla Valle ai 14 luglio del sopraccitato anno per la somma di ventiquattro mila cinquecento fiorini da pagarsi in quattro rate, cioè la prima eseguita all'atto della scrittura, e le altre da effettuarsi di quindici in quindici giorni consecutivi.

Arrivato il termine della terza rata cioè del pagamento di sei mila fiorini, Giacomo Trivulzio pentitosi della vendita fatta, fece chiamare nella sua residenza Gaspare Boelini di Mesocco Cancelliere della Mesolcina, costringendolo con minaccie a segnare in nome delle Valle l'annullazione di tal vendita1; ma Boelini con eroica opposizione si rifiutò, per cui fu crudelmente gettato da un merlo del castello, ai 16 d’agosto, preferendo egli di morire piuttosto che tradire i suoi concittadini.

Per giustamente eternare un tanto amor di patria, si vede ai piedi dell'alta scoscesa rupe, [p. 116 modifica]e sul luogo ove Boelini fu precipitato, un Monumento portante una lapide ollare sulla quale si vede incisa la seguente iscrizione:


ALL’OMBRA . DELL’EROE .

GASPARE . BOELINI .

DI PATRIO . ZELO .

VITTIMA . GENEROSA.

XVI . AGOSTO . MDXXV .

I POSTERI . RICONOSCENTI .

P.


L’inumano Trivulzio credette con simile barbara azione d’intimorire i popoli della Valle, ma questi invece gridaron vendetta! dimandando da prima una pronta assistenza dalla Lega, la quale sentendo le lagnanze e le giuste domande della Mesolcina, ordinò immediatamente il bando al detto Trivulzio e la demolizione del castello di Mesocco con tutte le attinenti torri, ossia castelletti esistenti nella Valle, ciocché con giubilo ed unanimamente seguì al 24 di quell’Agosto dietro il convenuto segnale del tocco delle campane. Giacomo Trivulzio prevedendo quanto sarebbe accaduto, aveva nascostamente fatto evacuare tutti quei suoi fabbricati, di maniera cbe quando la popolazione si era affollata per tale distruzione, li trovarono deserti, eccetto che [p. 117 modifica]sul castello di Mesocco si rinvennero i due più grossi cannoni, essendo gli àltri due probabilmente stati spezzati e così portati via, quali due pezzi di campagna erano quelli di cui i Mesolcinesi si servirono nelle battaglie contro Massimiliano I., e gli altri due macchinosi che il fuggitivo Trivulzio non aveva potuto far trasportare, furono poi trasferiti sotto il tetto della casa comunale di Mesocco, ove restarono fino alla fine del passato secolo.

La famiglia Trivulzio aveva dominato nella Mesolcina durante quarantacinque anni, dopo il quale abbandono la Valle cessò per sempre d'essere molestata dai Castellani.

Gli avanzi dell’antico maestoso castello di Mesocco sono posti sulla sommità d’un arduo sorprendente scoglio che isolato s'alza nel mezzo e quasi nel centro della Valle, la maggior parte della quale viene dallo stesso dominata; ai suoi piedi ed a sinistra cupo gorgogliando scorre il fiume Moesa, ed alla sua destra insensensibilmente discende lo stradale. La sua forma presentanea è quasi quadrata, ed è attorniata da alte e massiccie muraglie della circonferenza di mille duecento piedi francesi, le quali rinchiudono i diroccati edifizj, le cui imprigionate torri si vedono orgogliosamente sopravvanzare le principali mura che hanno dieci piedi di gros[p. 118 modifica]sezza. È da osservarsi che essendo questo forte stato più volte rimodernato, perdette affatto la sua primiera forma. Le rovine del castello di Mesocco, così chiamato perchè è situato ad un quarto d’ora ed a mezzo giorno di questo paese, sono la più rimarchevole antichità di tal genere che esista nella Svizzera.

Durante il bando di Giacomo Trivulzio, la Mesolcina per mezzo di trombette lo fece nei due luoghi di Zurigo e di Mendrisio in modo pubblico citare a comparire entro un dato termine per ricevere il restante del pagamento derivante dalla vendita da lui fatta alla Valle di tutti i possessi e diritti che aveva avuti sopra di essa, ed ultimare le vertenze delle generali e particolari pretensioni che esistevano nel paese a di lui carico; ma nissuno di sua famiglia si presentò per tal fine, perchè detto Trivulzio si lusingava di poter pervenire a far annullare la cessione che aveva fatta per mezzo dei suoi salariati, i quali infatti pervennero, massime nella Calanca, a suscitare sollevazioni e contesti tendenti a richiamar i Trivulzi, nelle quali sedizioni alcuni di quei vallerani restarono morti. Simili vergognosi disordini furono ben presto ultimati anche per intervento della Lega2. [p. 119 modifica]Morto Gian Giacomo, Francesco suo successore, si trovò necessitato di comparire in Sessame, destinato dalla Lega come luogo neutrale per rispondere alle domande della Mesolcina che ottenne ragione di tutte le sue pretese, coll'obbligo però di saldare il citato Trivulzio, il quale non volle allora riconoscere le avanzate pretensioni della Valle.

Nel 1526 al 3 di gennajo il Congresso si radunò di nuovo in Iante espressamente per affari di religione, giacché il desiderio e gl'intrighi per la riforma ecclesiastica crescevano nella Repubblica. La Mesolcina vi spedì pure i suoi due anzinominati deputati.

In questa straordinaria Radunanza, grande era il concorso d’ecclesiastici e di politici d’ogni condizione, anche di lontani paesi, ivi concorsi per sentire l'importante annunciata disputa sulle tesi di riforma proposta da Giovanni Comandro, già Arcidiacono della cattedrale vescovile e parroco di s.Martino in Coira, proposizioni generali da lui già state anticipatamente divulgate in istampa; ma Teodoro Schlegel allora Vicario ed Abate di s.Lucio, s’impegnò affinchè l'odiosa disputa non avesse luogo, e così il Congresso si sciolse.

Posteriormente poi dopo ulteriori decisioni d'altri appositi simili Congressi tenuti entro l'i[p. 120 modifica]stess'anno, fu emanato il decreto della libertà di religione nella Repubblica, dietro il quale ben tosto alcune, ed in seguito più tardi molte Comuni delle Tre Leghe accettarono la riforma secondo quella stata adottata dalla chiesa di Zurigo che sempre in poi conservarono.

Anche nella Mesolcina e Calanca s’intrigava in quel tempo per l'introduzione della riforma, al qual effetto si spargevano nella Valle le tesi di Comandro che venivano pubblicamente lette e spiegate. Più tardi poi, allorchè molti preti d’Italia fuggivano dalla loro patria per godere della libertà di religione, ritirandosi nei paesi dei Grigioni, particolarmente ove è in uso la lingua italiana, si sentivano predicare in diversi luoghi delle due Valli sulla necessità d'una riforma ecclesiastica. Il primo di questi fu un certo Majnardo già Priore d’Asti, uomo assai letterato e passionato riformista, il quale sapendo che nei Grigioni esisteva tal libertà si portò nella Mesolcina credendo di mettervi in pratica i suoi talenti; ma avendo ricevuta poca accoglienza, egli stimò opportuno di partirsene pochi giorni dopo la sua venuta, rendendosi a Chiavenna, ove fece progressi, giacché nei venti e più anzi che colà dimorò, lasciò due chiese riformate.

Come la maggior parte del popolo mesolcinese non voleva invenzioni di religione, così i [p. 121 modifica]pochi ministri riformatori erano anche poco ascoltati, come il Majnardo; anzi in alcuni luoghi venivano insultati, motivo che gli obbligò alla partenza, fra i quali si trovava il Ministro regolatore che era stato espressamente inviato dal Sinodo per dimorare in Mesocco, giacché premeva assai a quei Concilio d’indurre la Mesolcina nella sua credenza, come vallata limitrofa all’Italia. Le cose restarono così in disordine, cioè, se la religione cattolica non era dimenticata, veniva però mal osservata sino alla venuta in Valle di s.Carlo.

In quei procellosi tempi in cui i Griggioni erano internamente agitati dallo spirito di riforma ecclesiastica, ed in Italia insieme ad altri confederati Svizzeri si sacrificavano a migliaja per il sostegno dei loro alleati, essi dovevano ancora combattere per riacquistare le loro provincie suddite, parte delle quali Gian Giacomo Medici detto Medeghino Castellano di Musso3 e vassallo del Duca di Milano, con dispotismo si era impossessato. Sebbene i Griggioni avessero scacciate le truppe del Medici dalla Valtellina e Chiavenna, non di meno quel usurpatore teneva ancora occupate lei tre Pievi ap[p. 122 modifica]partenenti pure alle Tre Leghe, ed andava erigendo delle fortezze che ingelosivano i Grigioni, i quali per mezza dei loro ambasciatori, ricorsero dall’Imperatore e da Francesco Sforza allora Duca di Milano, affinchè il piccol tiranno venisse chiamato all’ordine.

Le Tre Leghe per portare tali loro lagnanze a Milano scelsero l'eloquente Martino Boelini di Mesocco Dottor di legge, stato Vicario in Valtellina e zio dell’eroico Cancelliere Gasparo Boelini. Allorché quest'Inviato ritornava da Milano venne crudelmente assassinato, nel mese di marzo 1531, col suo figlio che seco aveva preso come segretario, insieme del loro servitore, da quattro manigoldi del Medici4. Come questo assassinio fu commesso sul territorio del Duca, dava a supporre che non fosse avvenuto senza sua saputa, onde le Tre Leghe ricorsero subito agli altri Cantoni Svizzeri dimandando ajuto contro un comune nemico, i quali si prestarono prontamente e scacciarono i nemici dai paesi sudditi dei Grigiori, distruggendo altresì tutti i forti ripari che il Medici vi aveva fatti construrre; indi per una capitolazione stabilita in maggio dell'istess’anno, i Grig[p. 123 modifica]gioni vennero di nuovo al pacifico possesso delle loro provincie soggette.

Nel 1548, la Comune di Sta. Domenica, causa i prodotti giusti motivi di lontananza, ottenne con condizione dal Vescovo diocesano la separazione da Santa Maria, e di formar parrocchia divisa, alla quale s’unirono le altre tre più vicine Comuni di Augio, Rossa e Cauco.

Volendo Francesco Trivulzio confermar alla fine quanto il suo padre aveva conchiuso colla Mesolcina, segnò sotto la data del 2 ottobre 1549, la rinuncia formale delle sue pretensioni che ancor credea d’avere sulla Valle, dimandando soltanto che questa gli sborsasse l'altra metà non per anco ricevuta, cioè dodici mila e cinque cento fiorini; ma siccome la Valle portò a di lui carico sei mila e cinque cento fiorini per tante spese generali e pretensioni particolari, che furono riconosciute dallo stesso Trivulzio, non gliene vennero pagati che sei mila in conpimento dei venti quattro mille cinque cento tenor la scrittura segnata dal suo antecessore.

La Mesolcina che quasi da quattro secoli aveva formato un sol Magistrato governativo, nel 1551, si divise, coll'approvazione della Lega, in tre Giurisdizioni totalmente separate riguardo al civile, dandosi i nomi di Vicariati, ma formanti un solo inappellabile Tribunal cri[p. 124 modifica]minale di Valle, composto di trenta giudici, dividendosi pure in quattro Squadre per così molto più facilitare fra esse il comparto e l’alternativa di tutte le cariche ed entrate appartenenti all’intera Valle. La Giurisdizióne di Mesocco, definita dal ponte di Sorte in su, fu composta d’una Squadra e mezza, come pure dal detto ponte in giù quella di Roveredo, e l'intera Calanca d’una Squadra soltanto. Queste intere e mezze Squadre si sottodivisero poi fra di esse in Degagne per così dividersi ed alternarsi tutte le cariche che loro appartenevano, giacché da quell’anno in poi le Giurisdizioni si riservarono d’eleggere separatamente i loro Magistrati. La Giurisdizione della Calanca convenne però per motivi particolari di riunirsi al Vicariato di Roveredo per nominare assieme alla maggioranza i membri dei loro separati Tribunali, per i quali era fissato un sol Cancelliere ed un sol Fiscale. La Giurisdizione di Mesocco prescrisse la prima domenica d’aprile d’ogni biennio qual giorno fissato per la nomina del suo Magistrato, e la prima di marzo le altre due Giurisdizioni, ciocchè viene praticato anche oggi giorno, osservando che nel giovedì precedente ciascuna di tali due domeniche devesi tener Consiglio, chiamato di Vicariato, nel qual giorno solo, e non prima, resta permesso agli aspiranti alle cariche di raccomandarsi al popolo. [p. 125 modifica]In questi adottati cambiamenti si fissò che Mesocco e Roveredo sarebbero i due soli Capoluoghi, ove si sarebbero alternativamente tenute le sessioni del criminale, e quelle dei generali conti di Valle, per cui si ordinò di far construire per conto delle tre Giurisdizioni una casa di Residenza in ciascheduna dei due scelti Capo-luoghi, con i suoi necessari locali e patibolo, coll’obbligo pure della loro manutenzione.

A cagione delle sopraccennate variazioni politiche, si fissò in quell'anno che l’ordinaria annuale Assemblea Generale che si teneva in Lostallo, avesse luogo a’ 25 di aprile invece della prima domenica di quel mese, come era anticamente praticato, e ciò anche per maggior comodo della popolazione, la quale vi si rendeva in processione nel detto giorno. D’allora in poi quella Radunanza venne denominata Centena a motivo che da qualche tempo non intervenivano d’ordinario nelle Assemblee generali che cento votanti circa per deliberare sugli affari pubblici di Valle.

Nel 1555, in marzo molte famiglie di Locarno, in allora borgo, ora Città del Cantone Ticino, espulse per motivo delle nuove credenze religiose, ricoveraronsi improvvisamente, sotto la condotta d’un loro curato Giovanni Beccaria, nella Mesolcina, ove furono accolte colla [p. 126 modifica]massima cordialità. Glutz-Blotzheini5 nella sua breve descrizione che fa di Roveredo, dice che cento sedici furono gli adulti Locarnesi dei due sessi, oltre i fanciulli, che a quell’epoca si rifugiarono in quella Comune, fuggendo le persecuzioni per aver essi abbracciata la riforma di religione. Queste molestate, indi esigliate famiglie, parte delle quali si fermò in Roveredo, e parte si trasferì a Mesocco, dimorarono nella Mesolcina per due mesi circa, trovandosi sicure sotto una sincera protezione sì dell’intera popolazione, che dei Magistrati; dopo il qual tempo partirono per l’interno della Svizzera, scegliendosi per nuova loro patria delle terre de’ protestanti.

Francesco Trivulzio credendo di poter far validare una da lui supposta ambiguità nella scrittura di cessione, che dodici anni prima aveva segnata in favore della Valle, nel 1561, per mezzo d’avvocati si rivolse alla Lega affinchè obbligasse la Mesolcina a rispondere in causa, ciocché seguì ancora sotto il Tribunale di Sessame: il quale con sentenza appoggiata alle giuste riprodotte ragioni della Mesolcina, cassò tutte le vecchie e nuove invalide avanzate pretensioni del Trivulzio. [p. 127 modifica]Verso quel tempo insorse nella Mesolcina un gran rumore derivante dal fatto successo ad un Vallerano, che si era complicato nella compra d’alcuni effetti del monastero di Cazis, avvenimento raccontato anche nella Germania Sacra d’Eichhorn6.

Il ricco monastero di Cazis, fondato già verso la fine del settimo secolo per servire di clausura alle nobili donzelle della Rezia, ebbe in seguito a soffrire molte calamità, a motivo particolarmente delle cattive amministrazioni. Dopo l’adottata riforma ecclesiastica, cioè nel 1570 per opera di Giovanni Planta allora signore di Razins e d’altri caporioni della Lega Grigia, il detto monastero con tutti i suoi beni tanto mobili, quanto immobili, venne esposto al pubblico incanto. Un certo Pietro Maggio di Roveredo avendo saputo il termine di detto incanto, si portò in Cazis coll'intenzione di rilevare a basso prezzo tutto lo stagno, di cui il monastero era in abbondanza fornito, e di cui il Maggio faceva particolar commercio. Fattane la compra, e volendo egli cancellare lo stemma del monastero inciso sugli effetti del rilevato metallo per sostituirvi la sua marca, non potè mai miracolosamente in nissun modo pervenire al suo [p. 128 modifica]intento, e così tutto confuso se ne ritornò alla sua patria, ove appena arrivato vide con dolore la sua casa del tutto incendiarsi, e raccontando egli al suo amico Maffei quanto gli era accaduto, questi lo rimproverò dicendogli: Non te l'ho forse io detto di non frammischiarti in quelle cose? e l'altro rispose: Ora è troppo tardi. Tutti quei che furono i primi cooperatori alla distruzione del monastero di Cazis, fecero in breve tempo una morte infelice, e l’istesso sopraccennato Planta fu circa un anno dopo, per ordine delle Tre Leghe, pubblicamente decapitato in Coira.

Il detto monastero venne poi di nuovo stabilito, come si trova oggidì, per le successive restituzioni de' suoi beni, e particolari beneficenze.

Nel 1580 Raffaele figlio di Francesco Trivulzio appoggiandosi particolarmente che la Mesolcina era feudo imperiale e fidecomisso, tentò pure nuove liti contro la Valle sì in Iante che a Tronte, ma anche da quest’ultimo Tribunale fu in modo diffinitivo giudicato e sentenziato a favore della Mesolcina, in maniera che la famiglia Trivulzio non abbia per l'avvenire mai più a pretendere cosa alcuna, tanto sulla supposta Signoria del castello di Mesocco e suoi antichi attributi, quanto sui sei mila cinquecento fiorini, imponendo perpetuo silenzio alla detta [p. 129 modifica]causa, con ordine alla Valle di non essere in futuro più obbligata a rispondere in giudizio qualunque sopra tal materia.

In una Centena del 1581 si fece la revisione delle vecchie tariffe daziarie d’entrata ed uscita della Valle, lasciando intatte quelle di transito, regolamento che sussiste sostanzialmente in vigore anche oggigiorno. In quell'istessa Centena, le quattro squadre adottarono diffinitivamente, per due anni consecutivi, l’alternativa per il ricevimento di tutte le rendite di Valle, che Esse affittavano poi a particolari.

Lostallo, che faceva parte del Porto di Mesocco, cedette, verso quel tempo, a questa Comune la sua sesta porzione, simile a quella di Soazza, del diritto di someggiare, del Furleit, e del Teller, perchè non si trovava allora a portata d’adempiere agli obblighi annessi al Teller.

Il Porto di Mesocco, composto oggigiorni delle Comuni di Mesocco e di Soazza, fu formato come gli altri quattro che si trovano lungo la stradale mercantile che conduce a Coira, in tempi irrecordevoli. I diritti del porto consistevano che solo quei vicini attenenti ad una Comune, la quale ne faceva parte, potevano condurre la mercanzia di transito sull’estensione del loro Porto. Ogni individuo che partecipava d’un Porto, poteva però andare a caricare merci in [p. 130 modifica]una delle Dogane di Coira o Bellinzona, nominate Kaufhaus, e condurle direttamente all’altra, ciocché veniva chiamato someggiare a dirittura. Il Furleit consisteva in una piccola tassa che pagavano i cavallanti per ogni collo di mercanzia, imposizione destinata per il mantenimento della strada dei Porto; qual diritto del Furleit annesso i suoi aggravi fu poi ceduto dal Porto di Mesocco ad alcuni suoi soli particolari. Il Teller era pure un’imposta, minore di quella del Furleit, che similmente pagavano i cavallanti per ogni carica, e che veniva unicamente assegnata per tener aperta la strada del Porto in tempo di neve.

  1. In quel tempo la sola firma del Cancelliere di Valle era di tal'importanza, che bastava per validare qualunque generale o privato istrumento.
  2. E Zschokke, Storia delle Tre Leghe, seconda Edizione, pag. 153.
  3. Forte sul Lago di Como.
  4. Sprecher, Cronica Retica, lib. III, pag. 146.
  5. Prima Edizione.
  6. Pag. 345.