Considerazioni sulla importanza militare e commerciale della ferrovia direttissima Bologna-Firenze/Capitolo 3/Ferrovie peninsulari

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C).Le ferrovie peninsulari.

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Capitolo 3 - Ferrovia Longitudinale Capitolo 4

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C). Le ferrovie peninsulari.


§ XXIII. Prodotti ferroviari. — Esaminando più particolareggiatamente le condizioni del servizio ferroviario, deve osservarsi che il maggior prodotto delle ferrovie a grande traffico non è costituito dai viaggiatori, nè dalle merci a gran velocità, nè da questi due elementi presi assieme; ma unicamente dal servizio merci a piccola velocità, il quale sulle reti principali del Continente Europeo rappresenta più dei due terzi del prodotto totale, come appare dal quadro sotto riportato1.

Da questo prospetto risulta: che il prodotto delle merci a gran velocità è una frazione minima del prodotto totale; che il movimento dei viaggiatori, facendo astrazione dalle grandi reti allacciate a Parigi, è dappertutto oscillante fra le 10 e le 15 mila lire al chilometro; e che perciò l’avvenire economico delle ferrovie dipende esclusivamente dal movimento delle merci a piccola velocità.

Questo movimento, che da noi è di gran lunga inferiore a quello delle altre ferrovie europee, è tanto più interessante in Italia perchè si presenta sotto il più favorevole aspetto, essendo in via di rapido e progressivo sviluppo, come lo prova il [p. 44 modifica] quadro sotto indicato2. Siccome poi questo movimento è ben lontano ancora dall’avere raggiunto la sua normale produttività, deve essere oggetto delle più attente cure per affrettarne lo sviluppo, ed anticipare lo sprigionamento della grande forza latente disseminata nelle fertili plaghe dell’Italia peninsulare Tirrena, destinata ad essere un grande emporio di prodotti agricoli.

A questo sviluppo concorreranno le numerose ferrovie in costruzione già indicate che, estendendo il traffico in vaste regioni ancora ignote al commercio e servendo in parte di scorciatoie alle ferrovie trasversali in esercizio, determineranno un grande incremento nel traffico esistente. Ma ciò non basta; dobbiamo inoltre promuovere tale sviluppo con altri mezzi adeguati, migliorando il servizio sulla Longitudinale Centrale, ove le merci devono effettuare la maggior parte del percorso a cui saranno assoggettate dall’originaria stazione di partenza a quella d’arrivo, affinchè non avvenga come oggidì, che un collo a piccola velocità impieghi, per andare da un estremo all’altro d’Italia, maggior tempo di quello occorrente per mare al transito Napoli-Londra.

Per studiare tale questione considereremo ciò che avviene sulla rete delle Ferrovie Romane, la quale, tenuto conto dell’insignificante movimento di merci effettuantesi per la Maremmana, rappresenta lo specchio fedele della produttività della Longitudinale centrale. Questa rete, malgrado le importanti città che collega, le popolate, fertili ed estese regioni che attraversa, ha il penultimo posto nei quadri riportati: e possiamo virtualmente assegnarle l’ultimo, se si riflette che le Ferrovie Meridionali, aventi minore produttività, soffrono maggiormente la concorrenza del mare; e che, per importanza di città e luoghi attraversati o collegati, non possono competere colla rete delle Ferrovie Romane, come è dimostrato dal minor prodotto delle merci a gran velocità e dei viaggiatori.

Le cause principali di questo anormale stato di cose si possono facilmente rintracciare, e daranno luogo ad importanti considerazioni.

§ XXIV. Spese d’esercizio. — La rete delle Ferrovie Romane è chiusa [p. 45 modifica] dall’Appennino dentro un cerchio di ferro dal quale il materiale mobile non può uscire, per raggiungere la valle del Po ed i valichi alpini, senza fare una lunga sosta al piede delle rampe appenniniche (V. fig. 1). Di più, le stazioni primarie delle Romane sono testa di linea, e quindi i regressi e le manovre sono all’ordine del giorno, tanto pel servizio merci a piccola velocità come pei viaggiatori. Infine, la circolazione dei treni pesanti è aggravata dalle notevoli contropendenze che s’incontrano qua e là sulle linee principali 3. In conseguenza di tali condizioni della rete, le spese d’esercizio sono elevatissime, ed il servizio delle merci a piccola velocità, sulla Longitudinale Centrale (che è la più lunga ed importante fra le linee delle Romane), è vincolato alla sosta di 24 ore al piede delle rampe appenniniche, al regresso nelle principali stazioni, ed a tante altre restrizioni4 che, aggiunte al ritardo di 12 ore se la merce proviene da una linea di diramazione, alla esclusione dei giorni festivi e di quelli di partenza e d’arrivo dal termine utile per la resa, riducono la velocità media delle merci che devono passare l’Appennino a 20 o 30 chilometri al giorno.

Ne segue che un vagone impiega otto giorni per fare un viaggio che su una linea a mite pendenza potrebbe compiere in due; e che, oltre alle maggiori spese di trazione e personale per fare il servizio, occorre un numero quadruplo di veicoli, i quali poi stanno inoperosi nelle stazioni a rendere più difficili le manovre e stentato il movimento.

Perciò è evidente che quando le scorciatoie facessero sparire le forti rampe, le contropendenze notevoli ed i regressi, il servizio merci, il quale ora richiede sulle Romane l’impiego di quasi cinque mila carri, potrebbe compiersi con due o tre mila solamente, e con minori spese di trazione e personale. Inoltre alla maggior prontezza nel servizio corrisponderebbe un sensibile incremento del traffico dovuto alla circolazione di molte merci che, per le esigenze commerciali e per la loro natura, non potendo stare molti giorni in viaggio, nè sopportare le tariffe della grande velocità, restano dove si trovano. Si opporrà che il materiale mobile esistente non si può mandare [p. 46 modifica]al Monte di Pietà, per cavarne fuori il capitale accennato; ma è pur vero che può tenere le veci di quello previsto per le nuove linee. Egualmente si può obiettare che il miglioramento del servizio merci a piccola velocità fa scemare quello a grande; ma basta dare un’occhiata al rapporto che passa fra il movimento a grande e quello a piccola velocità sulle linee germaniche ed austriache (in alcune delle quali il primo rappresenta la trentesima parte del secondo, V. quadro a pag. 43), per persuadersi che non è il caso di preoccuparci tanto di simili eventualità.

Frattanto, l’economia di due o tre mila carri (rappresentanti un capitale di 10 a 15 milioni di lire) che si otterrebbe, il vantaggio che si renderebbe al commercio colla maggior celerità dei trasporti, quelli che risentirebbe l’esercizio ferroviario coll’aumento del traffico e l’economia nelle spese d’esercizio non sono certamente elementi trascurabili, e devono seriamente indurci a trovare il modo di ovviare agli inconvenienti lamentati.

§ XXV. Trasporti a vuoto. — Un’altra importante osservazione si può aggiungere: dalla Relazione sull’Inchiesta ferroviaria (pag. 214) risulta che nel decennio 1870-79 il carico medio per ogni carro sulla rete delle Romane fu di tonnellate 2,36, mentre risultò di tonnellate 4,70 per le Meridionali e di tonnellate 6,50 per le ferrovie dell’Alta Italia.

Questa anomalia si può spiegare nel seguente modo:

Le Provincie meridionali tirrene pei loro rapporti commerciali furono sempre unite al continente europeo più dal mare che dalla terra. Il loro commercio, e specialmente quello d’importazione, si effettuò per secoli seguendo le vie marittime, le quali hanno forse ancora il sopravvento sulle ferrovie, avuto riguardo al fatto che il movimento d’importazione è monopolio di un ristretto numero di commercianti impiantati nelle principali città marittime.

Le ferrovie sinora costruite ebbero perciò il solo risultato di permettere agli industriali dell’alta Italia di esplorare le Provincie meridionali, per richiamare in quelle settentrionali i prodotti giovevoli al commercio ed alle industrie di quella regione. Tali prodotti, che o si vendono a vil prezzo o deperiscono nei luoghi di produzione, possono sostenere le gravi spese di trasporto per ferrovia ed essere inviati nell’Italia superiore. Lo stesso non avviene, e non può avvenire pei prodotti naturali ed industriali di questa regione, i quali non possono sostenere la concorrenza dei prodotti esteri che arrivano sulle spiaggie tirrene per una via più economica. Questi poi, trovando la clientela pronta a riceverli, impediscono finanche la concorrenza dei prodotti nazionali, da cui potrebbero utilmente essere surrogati; poichè non è tanto facile, in provincie così estese come le meridionali, ed ove la viabilità ferroviaria è limitata ancora, far penetrare una corrente di traffico diversa da quella esistente. Queste osservazioni sono confermate dai fatti, poichè risulta che sulle nostre ferrovie peninsulari il movimento delle merci dal Mezzogiorno verso il Settentrione d’Italia è più del doppio del movimento inverso5, e che perciò una parte dei veicoli deve fare il viaggio di ritorno a vuoto. Tale inconveniente, che produce i suoi effetti anche sulle linee Continentali per le quali si effettua questo [p. 47 modifica]movimento ascendente, dal Sud al Nord, in corrispondenza colle Ferrovie peninsulari, ci prova che, oltre al movimento a vuoto che si verifica per l’invio dei vagoni a freno nelle stazioni ove devonsi caricare merci destinate a passare l’Appennino, abbiamo un grande movimento a vuoto discendente per il disequilibrio nel nostro traffico interno, e ci spiega il perchè le ferrovie Romane debbano impiegare un vagone pel trasporto di tonnellate 2,36 di merce, mentre il carico medio di ogni veicolo risulta sulla rete dell’Alta Italia di tonn. 6,50.

Da ciò ne segue che, ritenendo di tonnellate 6 il peso di un carro, il peso brutto medio di un vagone risulta circa il doppio di quello utile () sulle ferrovie dell’Alta Italia, e quasi quadruplo () sulle Romane. Perciò su queste le spese di trazione, a parità di prodotto o di movimento di merci, dovettero essere, nel decennio 1870-1879, quasi doppie di quelle che sarebbero occorse se il carico medio fosse salito da tonnellate 2,36 a 6,50 per veicolo; e questo significa che, date tali condizioni di carico, colle stesse spese di trazione sostenute in detto periodo di tempo, le Romane avrebbero potuto trasportare una quantità doppia di merci ricavando in conseguenza un maggior introito di circa 110 milioni.

E siccome il suesposto eccezionale stato di cose forse durava ancora allorchè (1881) la Commissione d’inchiesta sulle ferrovie pubblicava i suoi preziosi volumi, e d’allora in poi i prodotti delle merci sulle ferrovie Romane sono variati di poco, dobbiamo conchiudere che, se l’accennata anomalia nei trasporti conserva ancora la stessa intensità suindicata, collo stesso materiale mobile e colle stesse spese di trazione ora occorrenti su tale rete, si potrebbe effettuare un movimento di merci quasi doppio dell’attuale, ossia ricavare un maggior prodotto di diciassette milioni all’anno rappresentanti un capitale abbastanza considerevole.

Questa possibilità non è infondata se si osserva che dal 1871 al 1883 i prodotti chilometrici delle merci sulle ferrovie Romane si raddoppiarono, che ciò malgrado sono appena la metà di quelli che si ottengono sulla rete dell’Alta Italia, e risultano relativamente minori dei proventi analoghi dati dalle Ferrovie Meridionali e dalla rete Sicula. Perciò è evidente che il movimento sulla rete peninsulare tirrena, e per essa sulla Longitudinale centrale, è dall’Appennino soffocato, ed è ben lungi dall’avere raggiunto il suo pieno sviluppo.

§ XXVI. Conseguenze. — Ora se si riflette che il prodotto dei viaggiatori sulla rete delle Romane ha sempre dato risultati soddisfacenti e migliori di quelli che si ottennero sulle Ferrovie Meridionali; che al contrario queste, quantunque abbiano, come le Romane, un movimento ascendente più che doppio del movimento discendente, pur nondimeno ebbero per ogni veicolo un carico utile (di tonn. 4,70) quasi doppio di quello ottenuto dalle prime; dobbiamo inferirne che sulle Ferrovie Meridionali la buona distribuzione delle pendenze, e la ottima disposizione delle stazioni, permisero di fare il servizio con limitate spese di trazione ed utilizzando convenientemente il materiale mobile; laddove il contrario avvenne sulla rete delle Romane.

Se poi si osserva che la Società delle ferrovie Meridionali visse, quantunque il prodotto chilometrico delle sue linee sia sempre stato inferiore a quello della rete della Società per le ferrovie Romane, possiamo dedurne che le principali cause che trassero alla morte questa Società furono il disequilibrio nel movimento [p. 48 modifica]longitudinale delle merci, la non buona disposizione delle stazioni principali, la cattiva distribuzione delle livellette, le viziose contropendenze, nonchè gli ostacoli che l’Appennino presenta alla circolazione del materiale mobile ed allo sviluppo del traffico.

§ XXVII. Rimedi. — Come si può riparare a questo deplorevole stato di cose? Bisogna accorciare per quanto è possibile la distanza da Bologna a Firenze, ridurre al 12 per mille la pendenza massima sull’Appennino, e proseguire simili perfezionamenti sulla Longitudinale fino a Napoli. Allora saranno tolte le soste delle merci al piede delle rampe Porrettane, e nelle stazioni di testa; spariranno le gite a vuoto dei vagoni a freno per correre ove sono deficienti, nonchè quelle egualmente a vuoto di treni interi per mancanza di merci discendenti; ed allora i prodotti naturali ed industriali dell’alta Italia potranno correre sui mercati meridionali, vincere la concorrenza dei prodotti esteri, e ristabilire l’equilibrio mancante tanto nel movimento delle merci sulle ferrovie Romane, quanto nella circolazione interna dell’oro. Ma per ottenere tali miglioramenti bisogna far comprendere agl’italiani che le provincie meridionali e settentrionali d’Italia sono il complemento l’una dell’altra; che da una parte abbiamo l’acqua, gratuita forza motrice che crea le industrie e determina una diversa coltivazione del suolo, e dall’altra una vegetazione rigogliosa in terreno asciutto fecondato dai cocenti raggi solari; e che perciò le provincie meridionali hanno bisogno dei prodotti dell’Italia superiore, nello stesso modo che questa non può fare a meno di quelli dell’Italia inferiore.

Ma, perchè questo scambio si effettui potente e completo, bisogna che il commerciante meridionale vada nell’alta Italia, e veda quale partito può trarre dalle produzioni di quel luogo, ed in quali rami può rendersi indipendente dalle estere importazioni; che l’industriale dell’alta Italia esamini meglio le condizioni dell’Italia meridionale; e che le popolazioni di queste importanti regioni completino l’opera della natura dividendosi meglio il lavoro.

Inoltre bisogna sradicare l’idea che il servizio ferroviario sia fatto pei viaggi di diporto, per gli albergatori, e per le gite di piacere; e che sia completo quando ogni provincia abbia i chilometri che le spettano6. No, e poi no: le ferrovie devono perfezionarsi anzitutto collo scopo di permettere il transito dei lunghi e pesanti treni merci a piccola velocità; e, subordinatamente, per trasportare colla massima celerità i commercianti, pei quali il tempo è moneta; poichè un viaggiatore comune equivale al movimento di un quintale di materia, laddove un commerciante è seguito più o meno presto da un treno completo.

In altri termini: i treni merci composti di 80 vagoni che vengono fatti sulla Paris-Lyon-Mèditerranèe devono essere il nostro obiettivo, e, subordinatamente, la velocità insuperata dei treni inglesi ed americani con cui si soddisfano i bisogni e le esigenze di tutti.

§ XXVIII. Il valico dei Giovi. — Dopo aver esaminato i vantaggi dipendenti dall’esecuzione della Direttissima Bologna-Firenze, vediamo quello che avverrebbe quando, [p. 49 modifica]ritenendosi per avventura sufficienti le attuali traversate dell’Appennino e quelle in via di esecuzione, non si costruisse la Direttissima suindicata. In tal caso la Succursale dei Giovi, tracciata ad ampie curve, acquisterà una superiorità incontrastabile sulle altre vie appenniniche, tanto per le sue miti pendenze, che eliminano le soste al piede dell’Appennino ed ogni vincolo speciale per la composizione e circolazione dei treni; quanto per il doppio binario, che sopprime le soste per gli incroci, e rende più sicuro e celere il transito.

Il movimento sulla linea Pisa-Genova sarà perciò destinato a crescere, sia per l’aumento di traffico dovuto al miglioramento nelle comunicazioni fra le località cadenti nella attuale zona d’azione di quella ferrovia, sia per la deviazione che tenderà a subire una parte del movimento longitudinale che ora si effettua attraverso l’Appennino centrale e che si dirigerà verso il valico dei Giovi.

L’apertura della Parma-Spezia concorrerà a sua volta ad accrescere il movimento sulla ferrovia ligure, tanto per lo ragioni suindicate, quanto per le nuove relazioni commerciali che si apriranno fra la riviera Ligure e la valle inferiore del Po.

Ora devesi osservare che la linea Pisa-Genova, costruita interamente ad un solo binario, con lunghe e numerose gallerie non esenti da frane, colle stazioni d’incrocio in gran parte ristrettissime e non suscettibili d’ampliamento, ha raggiunto la produttività di 40 mila lire al chilometro, che è il limite normale pel regolare esercizio delle linee ad un binario. Perciò si può ritenere che, coll’apertura della succursale ai Giovi e della Parma-Spezia, la ferrovia Ligure non sarà sufficiente a smaltire il traffico che le verrà dall’attuale zona di sua diretta competenza; e che tanto meno potrà bastare per quello di competenza indiretta che le verrebbe per le infelici condizioni delle traversate dell’Appennino Centrale rispetto al valico del Borgallo ed a quello dei Giovi.

Che si farà allora? Dovremo rinunziare all’incremento di un traffico nascente, da cui dipende il nostro avvenire sui mercati del Nord; o dovremo raddoppiare il binario fra Genova e Pisa, ciò che equivarrebbe a costruire una nuova linea lunga, difficile e costosissima, senza essere sicuri che le condizioni di ventilazione nelle lunghe gallerie, e le frane permettano un esercizio facile, potente e sicuro?

Certamente che no.

Dunque bisogna volgere altrove lo sguardo per costruire una succursale all’insufficiente linea della riviera Ligure, dove le roccie ed il mare contendono aspramente il passaggio ad una nuova ferrovia.

La succursale più acconcia è appunto la Direttissima Bologna-Firenze, colla quale non solo si soddisfano i più importanti interessi militari, ma si estendono i benefizi della viabilità ferroviaria a mite pendenza al bacino inferiore del Po, che non risente alcun vantaggio dall’apertura della succursale dei Giovi, e che è pessimamente collegato alle valli dell’Arno e del Tevere.

Per queste e per le altre ragioni esposte, la Direttissima Bologna-Firenze può considerarsi come il complemento indispensabile dei nostri trafori alpini; poichè in essa stanno racchiusi i maggiori interessi industriali, agricoli e ferroviari del paese, come nelle linee che da Genova vanno alle Alpi sta l’avvenire dell’Italia sul mare.

A questo avvenire si è provveduto, e si provvede convenientemente colle numerose linee che attraversano l’Appennino Ligure; ora dobbiamo volgere lo sguardo [p. 50 modifica] all’Italia Centrale ed alle sterminate plaghe meridionali, che non potranno neanche restituire ai popoli del Nord, in forma di prodotti agricoli, il carbone ch’essi ci forniscono; poiché, colle forti rampe esistenti e coll’esile binario della ferrovia Ligure, l’Appennino chiuderà pur sempre il giardino d’Italia come una muraglia della China.

§ XXIX. Viabilità ferroviaria. — In ultima analisi, le forti rampe impediscono l’economico e sollecito servizio delle merci, e ci rappresentano l’impotenza ferroviaria e l’inutilizzazione del materiale mobile che fa sentire i suoi perniciosi effetti su tutte le nostre linee, con danno del servizio, del commercio e della Nazione; perciò esse devono, pei grandi trasporti, lasciare il posto alle miti pendenze, come il cavallo lo lasciò alla locomotiva.

Questa trasformazione si effettua colla costruzione delle ferrovie direttissime Bologna-Firenze e Roma-Napoli, con cui si eliminano sulla principale linea interna le pendenze superiori al 12 per mille, e si ottengono due grandi arterie nazionali ed internazionali; l’una longitudinale, Gottardo-Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli; l’altra trasversale, Livorno-Firenze-Venezia-Pontebba, le quali:

a) allacciano tutte le principali linee longitudinali e trasversali della Penisola, permettendo la circolazione inalterata di qualsiasi treno dall’uno all’altro mare e dalle Alpi al Vesuvio;

b) uniscono i paesi fra cui gli scambi dei prodotti naturali ed industriali sono più potenti, per le diverse condizioni del suolo e del clima, senza temere la concorrenza del mare;

c) collegano direttamente sei degli otto centri ferroviari la cui produttività supera i 6 milioni di lire all’anno;

d) infine, colle laterali diramazioni abbracciano gl’interessi di tutte le più grandi città italiane.

Giova ancora osservare che, colle indicate nuove linee e colla Succursale dei Giovi, il traffico longitudinale della penisola rimane razionalmente distribuito sopra tre principali arterie, aventi speciali obiettivi. La linea Adriatica, con mitissime pendenze e vincolata al 15 per mille per breve tratto solamente presso Ancona, raccoglierà da Otranto a Bologna tutto il movimento del versante orientale della penisola.

Il traffico del versante occidentale, assai più esteso ed importante, sarà ripartito fra due arterie a mite pendenza: la Maremmana, che varca l’Appennino a Genova colla pendenza del 16 per mille, mirando all’alta valle del Po; e la Longitudinale centrale che, raccogliendo la massima parte del traffico fra l’Italia peninsulare tirrena, la media e la bassa valle del Po, avrà, come le conviene, una pendenza assai più mite, ossia il 12 per mille.

Così le tre grandi arterie longitudinali, tra cui rimane diviso il movimento che si sviluppa fra l’Italia peninsulare, la valle del Po ed i trafori alpini, avranno la zona di competenza che loro fu assegnata dalla conformazione della penisola, e dalle regole geometriche sul più breve percorso fra due punti. Questa distribuzione collima anche colle leggi che devono regolare un servizio feroviario potente, celere ed economico, il quale richiede che si renda il grande traffico indipendente dalle linee a forti pendenze.

Note

  1. Prodotti delle principali ferrovie dell’Europa continentale.


    INDICAZIONE Anni
    a cui si
    riferiscono
    i
    prodotti
    PRODOTTI CHILOMETRICI ANNUI
    merci viaggia-
    tori
    totali
    merci,
    viaggiatori
    e proventi
    diversi
    degli stati delle reti a grande velocità a piccola velocità totali
    Lire Lire Lire Lire Lire
    Francia
    Nord 
    1877 7,379 59,717 67,096 27,518 94,614
    Paris-Lyon-Méditerranée 
    1877 5,423 42,692 48,115 16,937 65,632
    Midi rete antica
     
    1877 4,524 39,389 43,913 19,067 65,298
    » »
    e nuova 
    1877 2,375 20,067 22,442 12,284 36,029
    Orléans 
    1877 5,273 31,439 36,712 14,319 51,031
    Est 
    1877 2,763 25,923 29,686 12,753 41,919
    Germania Sassoni (dello Stato)
     
    1876 1,124 31,724 32,848 13,136 47,608
    Prussiane » »
     
    1876 1,170 16,614 17,784 10,521 32,902
    Baden » »
     
    1876 1,194 16,704 17,898 12,467 32,705
    Baviera » »
     
    1876 17,342 17,342 8,526 27,210
    Austria
    Staatsbahn 
    1876 1,160 33,750 34,910 9,056 45,526
    Sudbahn 
    1876 1,765 24,415 26,180 10,041 37,421
    Belgio
    dello Stato 
    1879 2,997 23,970 26,967 12,305 40,143
    Italia
    Alta Italia 
    1883 3,614 17,185 20,799 11,788 33,227
    Romane 
    1883 2,323 8,030 10,353 10,322 20,962
    Meridionali 
    1883 2,032 6,966 8,998 7,028 16,300
  2. Prodotti chilometrici delle principali reti ferroviarie Italiane negli anni 1871, 1878 e 1883.

    RETI FERROVIARIE Annate
    a cui
    si riferiscono
    i prodotti
    PRODOTTI CHILOMETRICI
    MERCI VIAGGIATORI TOTALI
    a grande
    velocità
    a piccola
    velocità
    Lire Lire Lire Lire
    Alta Italia 1871 3,037 10,545 11,333 25,161
    1878 3,437 12,684 11,187 27,709
    1883 3,614 17,185 11,788 33,257
    Romane 1871 1,390 3,771 7,740 10,091
    1878 2,002 5,072 8,916 16,284
    1883 2,323 8,030 10,322 20,962
    Meridionali 1871 1,455 3,980 6,215 10,661
    1878 1,864 5,841 6,940 14,645
    1883 2,062 6,966 7,028 16,300
    N.B. L'aumento del prodotto sulle linee principali è certamente superiore alla media risultante dalle cifre suindicate.
  3. Dal prospetto altimetrico delle reti italiane, sotto riportato, sembrerebbe che le condizioni d’esercizio delle medesime dovessero essere poco diverse; ma ben altrimenti avviene praticamente, poiché le Ferrovie Romane non solo subiscono le conseguenze delle forti rampe appenniniche delle altre reti, ma anche quelle della cattiva distribuzione delle forti pendenze e contropendenze sulle linee principali della propria rete, laddove le altre ferrovie italiane sotto questo aspetto si trovano in condizioni assai migliori.

    Quadro altimetrico delle reti ferroviarie nell’anno 1882.

    INDICAZIONE
    delle
    reti ferroviarie
    ANDAMENTO ALTIMETRIOCO
    Sezioni
    in
    orizzontale
    sezioni in pendenza Lunghezze
    totali
    0-5
    per mille
    5-15
    per mille
    15-36
    per mille
    Kilom. Kilom. Kilom. Kilom. Kilom.
    Alta Italia 818 1990 792 130 3729
    Romane 414 734 489 40 1677
    Meridionali 473 513 496 92 1574
  4. Sulle ferrovie Romane (articolo 76), le spedizioni delle merci a piccola velocità sono fatte nel termine di 24 ore dal momento della consegna per le stazioni primarie, e nel termine di 48 ore per le stazioni secondarie. Vedi Relazione sull’Inchiesta ferroviaria, pag. 275.
  5. Inchiesta ferroviaria, Parte II, Vol. II, 588.
  6. Chi lo crederebbe? Bologna e Firenze, i centri di maggiore importanza del movimento ferroviario peninsulare, non raggiungono per lunghezza di linee esistenti nelle rispettive provincie, in rapporto alla popolazione, la media di Ancona, Roma, Napoli ecc., e mentre Bologna oltrepassa di poco la media generale del Regno, Firenze è molto al di sotto di tale media.