Dal Trentino al Carso/La conquista di Gorizia/Sui colli di San Marco

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Sui colli di San Marco

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La conquista di Gorizia - Nella “Trincea del Sogno„ Sul Carso
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SUI COLLI DI SAN MARCO.

14 agosto.

Sulle colline ad oriente di Gorizia la lotta, cominciata con lievi tastamenti, ha acquistato vigore e pienezza sempre maggiori, a mano a mano che i nostri mezzi di attacco sono entrati in azione, ed ha periodi di furore e di impeto, alternati a rallentamenti che dicono la preparazione.

La nostra azione si può paragonare allo sforzo di un uomo che vuole sfondare una porta sbarrata: dapprima la scuote, la studia, la palpa, poi sferra un colpo di spalla; la porta scricchiola, cede un poco, ma non si apre; l’uomo sosta un istante per prendere uno slancio più grande e si precipita con più forza; la porta si sconnette al nuovo urto, qualche chiavistello salta, delle tavole si schiodano; ancora un colpo d’ariete e la barriera forse volerà in ischegge. E l’uomo si appresta a dare una spinta più possente.


Oggi è una giornata di attacco.

La battaglia infuria, ed è su tutta la fronte dell’Isonzo che si combatte, a giudicare dallo sfioccamento delle esplosioni di cui si impennacchia la linea di combattimento, dal Carso al Monte Kuk. [p. 198 modifica]Gorizia è sotto una vólta di traiettorie. Passano sulla città raffiche di colpi. Dal suo cielo ardente scende un perpetuo rombo.

Sembra addormentata, Gorizia, tutta ferita, nel sole e nella polvere, affranta, luminosa e triste. Le sue strade (ampie e deserte sono immerse in una foschia soffocante; i grandi ippocastani che la fiancheggiano, impolverati, bianchi, aprono una strana chioma incipriata lungo Le facciate delle case disabitate, al bordo dei marciapiedi ingombri di rottami.

Qualche granata austriaca arriva fragorosamente sui quartieri occidentali e sul Castello, solleva fra i tetti cumuli di fumo rossastro; ed eruzioni di schegge e di detriti ricadono, crepitando nella solitudine.

Tuoni, schianti, boati, rimbombi, scrosci, scoppiettii, tutto il grande coro tumultuante della battaglia echeggia sulla città magnifica e desolata.

Le alture combattute spingono fin quasi ai sobborghi orientali i loro declivi, dei quali la collinetta del Castello non è che una specie di avanguardia. Dalle prime ore del mattino il bombardamento italiano tempesta la linea sinuosa delle molli vette, coperte di boschi rigogliosi sui quali spuntano i tetti rossi e la torricella pretenziosa di qualche villa.

I sobborghi di Castagnavizza, di San Rocco e di San Pietro portano l’abitato di Gorizia [p. 199 modifica] fino ai piedi delle alture, e biancheggiano sullo sfondo verde, lungo le strade che valicano i colli, strade che non si vedono da lontano tanto sono sepolte nell’ombra dei faggi, dei castani e delle quercie, come viali di parchi. Ma esse sono indicate dalle insellature, fra le vette chiomate d’alberi. Le alture si prestano alla difesa di questi varchi.

Il nostro attacco è salito a mezza costa e progredisce lentamente. La lotta è aspra e tenace. Le colline assalite, che hanno un’apparenza così regolare viste di fronte, levano un vero labirinto di costoni, che serpeggiano parallelamente alle strade. Formano un sistema complicato di avvallamenti, di burroncelli, di forre, di pieghe. Una volta arrivati alle prime sommità, non si presenta allo sguardo un declivio di discesa, ma una confusione di onde, un tumulto di gibbosità, una distesa di increspature, coperta da una coltre di foreste, e che si allarga per quattro o cinque chilometri declinando a oriente nella piana di Aisovizza.

Si combatte nel bosco.

La linea austriaca, preparata da tempo, si cela fra gli alberi. Non si scorge, non offre alle artiglierie dei bersagli evidenti. La fanteria ha dovuto per vari giorni urtarla in ogni punto con attacchi di ricognizione per individuarla. Oggi soltanto i cannoni, che la cercavano, che [p. 200 modifica] avvicinavano gradatamente a lei i loro tiri di assestamento, la battono con efficacia.

Non sarebbe una linea formidabile in altro terreno. Qui è piena di sorprese, tutta nascosta, tutta in agguato. È formata da trinceramenti scoperti, doppi e forse triplici in certe zone di speciale importanza tattica, preceduti da reticolati profondi sei, otto, dieci metri. Molti reticolati sono attaccati agli alberi ed è difficile svellerli. Il terreno spezzato, irto di ostacoli naturali, tagliato da valloni, disorientante, rende difficile la manovra.

Ma non sembra che il nemico intenda fissare qui la sua estrema difesa. Probabilmente vuole soltanto trattenerci, più a lungo che può, per avere il tempo di preparare più indietro una barriera che esso spera definitiva, e alla quale lavorano sotto al bastone moltitudini di prigionieri russi.

Queste trincee di San Marco furono costruite con blindamenti. Erano all’origine protette con travi e sacchi a terra. Sono state scoperchiate ora, in fretta e furia, per renderle meno vulnerabili agli scoppi delle nostre terribili bombarde. I blindamenti non servono più, contro le valanghe di esplosivi; sono spazzati via, aumentano l’effetto dei nostri colpi facendo d’ogni trave e di ogni pietra un proiettile mostruoso, e le loro macerie bloccano le trincee, chiudono i passaggi, amputano interi sistemi difensivi. [p. 201 modifica]L’artiglieria italiana e le bombarde da trincea hanno aperto stamani dei varchi nei reticolati e devastato alcuni elementi della prima linea nemica sulla collina di San Marco. A mezzogiorno la fanteria si è slanciata.

Lo scroscio lacerante, cupo, intenso della fucileria, punteggiato dagli scoppi profondi delle granate a mano, è cominciato contemporaneamente su tutta la fronte.

L’assalto è salito fra gli alberi, accolto da raffiche di mitragliatrici invisibili. Alcuni tratti dei trinceramenti austriaci sono stati espugnati al primo balzo, al sud dell’altura di San Marco, e al nord. Poi, successivamente, altri sono caduti. A poco a poco, per infiltramento, tutta la fronte di attacco è avanzata in quel settore, fra le alture a settentrione di Tivoli, espugnate l’altro ieri, e la strada che porta a Vogersko, fino ad un punto dirupato della collina di San Marco, presso la vetta, detto le Caver, l’unico punto nudo dell’altura.

Il bosco è attraversato da bufere di piombo. I nostri salgono lentamente, con lunghe soste, creandosi ad ogni passo barricamenti di pietra fra i tronchi, che le pallottole sforacchiano e scheggiano. Da una parte si vanno quasi insediando sulla vetta del San Marco, che sembra aggirata.

Il gridìo che si leva di tanto in tanto annunzia un balzo in avanti. [p. 202 modifica]Carovane di prigionieri scendono per i sentieri e s’incolonnano sulla strada polverosa di borgo San Pietro.

Non sono più i soldati che difendevano Gorizia. Le grandi unità austriache della testa di ponte dell’Isonzo, completamente disfatte, in parte cadute nelle nostre mani, disorganizzate e demoralizzate, sono scomparse dal teatro della lotta. Nuove divisioni sono state condotte qui dal Trentino. I prigionieri catturati oggi sul San Marco, arrivati ieri a Schönpass, hanno marciato tutta la notte per giungere poco prima dell’alba sulle posizioni. Il loro battaglione è rimasto distrutto.

I gruppi di prigionieri, con i loro ufficiali, vengono adunati nel cortile di un cinematografo di Gorizia, mezzo demolito dal cannone, e rinterrogatorio viene fatto nella sala degli spettacoli, fra uno sparpagliamento di poltrone polverose. Sopra una parete si agitano le drammatiche figure dei manifesti. Ad uno ad uno i prigionieri passano, pallidi e storditi, come davanti ad un tribunale. Intorno ad un tavolo sgangherato, degli ufficiali italiani ascoltano con aria assorta la voce timida e velata del soldato nemico che risponde all’interprete. Dai cristalli sfondati della porta vetrata, sulla quale è scritto: «Primi posti», arriva il gemito lieve e infantile di un ferito. Esplosioni violente e vicine [p. 203 modifica] fanno tremare i muri, detriti di intonaco cadono dal soffitto: sono i colpi delle granate austriache che scoppiano sulla città.

Il nemico bombarda anche i ponti, incessantemente. E bombarda Vertojba, al limite della pianura di Gorizia, un villaggio che allinea i suoi tetti rustici fra le vegetazioni lungo il torrente Vertojbizza. Il villaggio brucia ora. Un gran fumo di incendi si leva dai tetti in fiamme e si adagia sui campi. Più lontano, al sud, sul Carso pallido, dal profilo di bastione immane, le nubi delle granate si allontanano sempre più dal Vallone, verso oriente, e indicano che si avanza laggiù, oltre il santuario di San Grado, e che al di là del Vippacco tutta la linea di battaglia vittoriosamente si sposta.

La fronte del Vertojbizza invece resiste.

Laggiù, sulla strada che da Merna va a Biglia, un episodio singolare si è svolto. Per sopraffare un gruppo di mitragliatrici nemiche, appostate ai fianchi della strada, una nostra automobile blindata si è portata avanti alla linea della fanteria.

Lenta, cauta, pesante, la piccola e bizzarra fortezza di acciaio dalla torre tonda, si è inoltrata, sparando da tutte le sue feritoie, fino a otto o dieci passi dalle trincee austriache. Improvvisamente si è vista la macchina corazzata avvolta da densi nembi di fumo oscuro, circondata da balenii e da vampe. Era attaccata [p. 204 modifica] con granate a mano. È ricomparsa indietro, poco dopo. Arretrava adagio, sparando sempre, ma appariva oscillante. È rientrata nelle linee con una gomma rotta, niente altro.

Un’altra automobile blindata sta avanzando in questo momento da San Pietro.

La battaglia sembra si stia riaccendendo verso la sera.

La brezza calda di levante che arriva carica di fragore sembra il suo soffio.