Decennali/Decennale primo
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DECENNALE PRIMO
cioè
COMPENDIO DELLE COSE FATTE IN DIECIANNI IN ITALIA.
IO canterò l’italiche fatiche,
Seguìte già ne’ duo passati lustri
3Sotto le stelle al suo bene inimiche.
Quanti alpestri sentier, quanti palustri
Narrerò io, di sangue e morti pieni,
6Pe ’l variar de’ regni e stati illustri!
O Musa, questa mia cetra sostieni,
E tu, Apollo, per darmi soccorso,
9Da le tue suore accompagnato vieni.
Aveva ’l sol veloce sopra ’l dorso
Del nostro mondo ben termini mille
12E quattrocen novanta quattro corso,
Dal tempo, che Gesù le nostre ville
Visitò prima e, col sangue che perse,
15Estinse le diaboliche faville
Quando, in sè discordante, Italia aperse
La via a’ Galli, e quando esser calpesta
18Da le genti barbariche sofferse.
E perchè a sequitarle non fu presta
Vostra Città, chi ne tenea la briglia
21Assaggiò i colpi de la lor tempesta.
Così tutta Toscana si scompiglia
Così perdesti Pisa e quelli stati
24Che dette lor la Medica famiglia.
Nè poteste gioir, sendo cavati,
Come dovevi, di sotto a quel basto
27Che sessant’anni vi aveva gravati;
Perchè vedeste el vostro Stato guasto
Vedeste la Cittade in gran periglio;
30E de’ Francesi la superbia, e il fasto.
Nè mestier fu, per uscir dallo artiglio
D’un tanto Re e non esser vassalli,
33Di mostrar poco cuore, o men consiglio.
Lo strepito dell’armi e de’ cavalli
Non potè far, che non fosse sentita
36La voce di un Cappon fra cento Galli;
Tanto che il Re superbo fe’ partita,
Poscia che la Cittate esser intese
39Per mantener sua libertate unita.
E come e’ fu passato nel Sanese,
Non prezzando Alessandro la vergogna,
42Si volse tutto contro al Ragonese.
Ma il Gallo, che passar securo agogna,
Volle con seco del Papa il figliuolo
45Non credendo alla fè di Catalogna.
Così col suo vittorioso stuolo
Passò nel Regno, qual Falcon, che cale,
48O uccel ch’abbia più veloce volo.
Poichè d’una vittoria tanta, e tale
Si fu la fama nelli orecchi offerta
51A quel primo motor del vostro male,
Conobbe ben la sua stultizia certa;
E dubitando cader nella fossa
54Che con tanto sudor s’aveva aperta,
Nè li bastando sua natural possa,
Fece, quel duca, per salvar el tutto,
57Col papa, Imperio e Marco testa grossa.
Non fu per questo, però, salvo al tutto,
Perch’Orliens, in Novara salito,
60Li diè de’ semi suoi el primo frutto.
Il che poi che da Carlo fu sentito,
Del duca assai e del Papa si dolse,
63E del suo figlio che s’era fuggito;
Nè quasi in Puglia più dimorar volse;
Lasciato in guardia assai gente nel Regno,
66Verso Toscana col resto si volse.
In questo mezzo, voi, ripien di sdegno,
Nel paese pisan gente mandasti
69Contro a quel popol di tanto odio pregno;
E dopo qualche disparer, trovasti
Nuov’ordine al governo: e furon tanti
72Che il vostro stato popular fondaste.
Ma sendo de’ Francesi lassi alquanti
Per li lor modi e termin disonesti,
75E pe’ lor pesi che vi avèno infranti,
Poichè di Carlo il ritorno intendesti,
Desiderosi fuggir tanta piena,
78La città d’arme e gente provvedesti.
E però giunto con sue genti a Siena,
Sendo cacciato da più caso urgente,
81N’andò per quella via che a Pisa il mena;
Dove già di Gonzaga il furor sente,
E come ad incontrarlo sopra al Taro
84Avea condotto la Marchesca gente.
Ma quei robusti e furiosi urtaro
Con tal virtù l’Italico drappello,
87Che sopra ’l ventre suo oltrepassaro.
Di sangue il fiume pareva a vedello,
Ripien d’uomini e d’arme e di cavagli
90Caduti sotto al gallico coltello.
Così gl’Italian lasciorno andagli;
E lor, sanza temer gente avversara,
93Giunson in Asti e sanz’altri travagli.
Quivi la triegua si concluse a gara,
Non estimando d’Orliens el grido
96Né pensando a la fame di Novara.
E ritornando e’ Franzesi al lor lido,
Avendo voi a nuovi accordi tratti,
99Saltò Ferrando nel suo dolce nido;
Donde co’ Vinizian sequirno e’ patti
Per aiutarsi, e più che mezza Puglia
102Concesse lor, e signor ne gli ha fatti.
Quì la Lega di nuovo s’incavuglia
Per assistere al Gallo, e voi sol soli
105Rimanesti in Italia per aguglia;
E per esser di Francia buon figliuoli,
Non vi curasti, in seguitar sua stella,
108Sostener mille affanni e mille duoli.
E mentre che nel Regno si martella
Fra Marco e Francia con evento incerto
111Finchè Franzesi affamorno in Atella,
Voi vi posavi qui col becco aperto
Per attender di Francia un che venisse
114A portarvi la manna nel deserto,
E che le rocche vi restituisse
Di Pisa, Pietrasanta e l’altra villa,
117Siccome il Re più volte vi promisse.
Venne alfin Lanciaimpugno e quel di Lilla,
Vitelli e altri assai, che v’ingannorno
120Con qualche cosa che non è ben dilla.
Sol Beumonte vi rendè Livorno;
Ma gli altri, traditori al Ciel ribelli
123Di tutte l’altre Terre vi privorno;
Ed al vostro Leon trasser de’ velli
La Lupa con San Giorgio e la Pantera;
126Tanto par che fortuna vi martelli.
Da poi ch’Italia la Francesca schiera
Scacciò da se, e senza tempo molto
129Con fortuna, e saper libera si era;
Volse verso di voi il petto, e il volto
Insieme tutta, e dicea la cagione
132Esser sol per avervi a Francia tolto.
Voi favoriti sol dalla ragione
Contro l’ingegno, e forza lor, un pezzo
135Teneste ritto il vostro gonfalone.
Perchè sapevi ben, che per disprezzo
Era grata a’ vicin vostra bassezza,
138E gli altri vi volevan senza prezzo.
Chiunque temeva la vostra grandezza,
Vi venia contro, e quelli altri eran sordi;
141Che ogn’uomo esser Signor di Pisa apprezza.
Ma come volse il ciel, fra questi ingordi
Sorse l’ambizione, e Marco, e il Moro
144A quel guadagno non furon concordi.
Questa venir al vostro territoro
Fece l’Imperio, e partir senza effetto
147La diffidenza che nacque fra loro
Tanto ch’alfin la Biscia per dispetto
Vi confortò a non aver paura
150Di stare a Marco, ed a sue forze a petto.
E quel condusse in su le vostre mura
El vostro gran ribello, onde ne nacque
153Di cinque Cittadin la sepoltura.
Ma quel ch’a molti molto più non piacque;
E vi fe’ disunir, fu quella scuola
156Sotto ’l cui segno vostra Città giacque:
I’ dico di quel gran Savonarola,
Il quale afflato da virtù divina
159Vi tenne involti con la sua parola.
Ma perchè molti temean la rovina
Veder de la lor patria a poco a poco
162Sotto la sua profetica dottrina,
Non si trovava a riunirvi loco,
Se non cresceva, o se non era spento
165Il suo lume divin con maggior fuoco.
Nè fu in quel tempo di minor momento
La morte del re Carlo, la qual fe’
168Del regno ’l duca d’Orliens contento.
E perchè ’l Papa non potea per se
Medesmo far alcuna cosa magna,
171Si rivolse a favor del nuovo Re.
Fece il divorzio, e diegli la Brettagna,
Ed all’incontro, il Re la Signoria
174Li promise, e li Stati di Romagna.
Ed avendo Alessandro carestia
Di chi tenesse la sua insegna eretta,
177Per la morte, e la rotta di Candìa,
Si volse al figlio, che seguia la setta
De’ gran Chercuti, e da quei lo rimosse,
180Cambiandoli il cappello alla berretta.
In tanto il Vinizian con quelle posse
Della gente, che in Pisa avea ridotta,
183Verso di voi la sua bandiera mosse;
Tal che successa del Conte la rotta
A Santo Regol, voi costretti fusti
186Dar la mazza al Vitello, e la condotta.
E parendovi fier, forti, e robusti
Per virtù di quest’armi esser venuti,
189Moveste ’l campo contro a quelli ingiusti;
Nè vi mancando li Sforzeschi aiuti
Volevi con la insegna Vitellesca
192Sopra il muro di Pisa esser veduti.
Ma perchè quel disegno non riesca,
Marradi prima, e dipo’ il Casentino,
195Ferito fu da la gente Marchesca.
Voi voltaste il Vitello a quel cammino,
In modo tal, che rimase disfatto
198Sotto le insegne sue l’Orso, ed Urbino.
Ed ancor peggio si saria lor fatto,
Se fra voi disparer non fussi suto
201Per la discordia fra ’l Vitello e ’l Gatto.
Da poi che Marco fu così battuto,
Fece l’accordo con Luigi in Francia,
204Per vendicare il colpo ricevuto.
E perchè il Turco arrestava la lancia
Contro di lor, tanto timor li vinse
207Di non far cigolar la lor bilancia;
Che a far con voi la pace li sospinse,
Ed uscirsi di Pisa al tutto sparsi,
210E ’l Moro a consentirla voi costrinse,
Per veder se potea riguadagnarsi
Con questo benifizio il Viniziano,
213Gli altri rimedj iudicando scarsi.
Ma questo suo disegno ancor fu vano;
Perchè gli avien la Lombardia divisa
216Secretamente col gran Re Cristiano.
Così restò l’astuzia sua derisa,
E voi, sanza temer di cosa alcuna,
219Poneste il campo vostro intorno a Pisa.
Dove posasse il corso di una luna
Senz’alcun frutto, che a principj forti
222S’oppose crudelmente la fortuna.
Lungo sarebbe narrar tutti i torti,
Tutti gl’inganni corsi in quell’assedio,
225E tutti i cittadin per febbre morti.
E non veggendo all’acquisto rimedio
Levaste il campo per fuggir l’affanno
228Di quella impresa e del Vitello il tedio.
Poco di poi, del ricevuto inganno
Vi vendicaste assai, dando la morte
231A quel, che fu cagion di tanto danno.
Il Moro ancor non corse miglior sorte
In questo tempo, perchè la Corona
234Di Francia gli era già sopra le porte.
Onde fuggì per salvar la persona,
E Marco senza alcun ostacol messe
237Le ’nsegne in Ghiaradadda, ed in Cremona;
E per servar il Gallo le promesse
Al papa, fu bisogno consentirli,
240Che il Valentin de le sue genti avesse.
El qual, sotto la insegna de’ tre Gigli
D’Imola e di Furlì si fe Signore,
243E cavonne una donna co’ suoi figli.
E voi vi ritrovavi in gran timore,
Per esser suti un po’ troppo infingardi
246A seguitare il Gallo vincitore.
Pur, dopo la vittoria co’ Lombardi
Contento fu di accettarvi, non sanza
249Fatica e costo pel vostro esser tardi.
Nè fu appena ritornato in Franza,
Che Milan richiamava Lodovico
252Per mantener la popolare usanza.
Ma il Gallo più veloce, ch’io non dico,
In men tempo che voi non diresti ecco,
255Si fece forte contro al suo nimico.
Volsono i Galli di Romagna il becco
Verso Milan, per soccorrere i suoi,
258Lasciando il Papa, e ’l Valentino in secco.
E perchè il Gallo ne portasse poi,
Come portò la palma con l’ulivo,
261Non mancaste anche a darli ajuto voi.
Onde che ’l Moro d’ogni ajuto privo
Venne a Mortara co’ Galli alle mani,
264E ginne in Francia misero, e cattivo.
Ascanio, suo fratel, di bocca a’ cani
Sendo scampato, per maggior oltraggio
267La lealtà provò de’ Viniziani.
Volsero i Galli dipoi far passaggio
Ne’ terren vostri, sol per isforzare,
270E ridurre i Pisani a darvi omaggio.
Così vennero avanti, e nel passare,
Che fece con sue genti Beumonte,
273Trasse a la Lega più d’un mascellare;
E come furon co’ Pisani a fronte,
Pien di confusion, di timor cinti,
276Non dimostrorno già lor forze pronte.
Ma dipartirsi quasi rotti, e tinti
Di gran vergogna, e conobbesi il vero,
279Come e’ Francesi possono esser vinti.
Nè fu caso a passarlo di leggiero;
Perchè se fece voi vili, ed abietti,
282Fu a’ Franzesi il primo vitupero.
Nè voi di colpa rimaneste netti,
Però che il Gallo ricoprir volea
285La sua vergogna con gli altrui defetti.
Nè anche ’l vostro stato ben potea
Deliberarsi, e mentre che fra dua
288Del Re non ben contento si vivea,
El Duca Valentin le vele sua
Ridette ai venti e verso il mar di sopra
291De la sua nave rivoltò la prua;
E con sua gente fe’ mirabil opra
Espugnando Faenza in tempo curto,
294E mandando Romagna sottosopra.
Sendo da poi sopra Bologna surto
Con gran fatica la Sega sostenne
297La violenza di sue genti e l’urto.
Partito quindi, in Toscana ne venne
Sè rivestendo de le vostre spoglie,
300Mentre che ’l campo sopra ’l vostro tenne.
Onde che voi per fuggir tante doglie,
Come color che altro far non ponno,
303Cedesti in qualche parte a le sue voglie;
E così le sue genti oltre passonno;
Ma nel passar piacque a chi Siena regge
306Rinnovellar Piombin di nuovo donno.
A costor retro venne nuova gregge,
Che sopra ’l vostro stato pose ’l piede,
309Non moderata da freno, o da legge.
Mandava questi el re contra l’erede
Di Fernandin, e perchè si fuggissi,
312La metà di quel Regno a Spagna diede.
Tanto che Federigo dipartissi,
Visto de’ suoi la Capovana pruova,
315E nelle man di Francia a metter gissi.
E perchè ’n questo tempo si ritruova
Roano in Lombardia, voi praticavi
318Far col Re, per suo mezzo, lega nuova.
Eri senz’arme, e ’n gran timore stavi
Pel corno ch’al Vitello era rimaso,
321E dell’Orso e del Papa dubitavi.
E parendovi pur viver a caso,
E dubitando non esser difesi,
324Se vi avveniva qualche avverso caso;
Dopo ’l voltar di molti giorni, e mesi,
Non sanza grande spendio fuste ancora
327In sua protezion da Francia presi.
Sotto il cui caldo vi pensasti allora
Posser torre a’ Pisan le biade in erba,
330E le vostre bandiere mandar fuora.
Ma Vitellozzo, e sua gente superba
Sendo contra di voi di sdegno pieno
333Per la ferita del fratello acerba,
Al Cavallo sfrenato ruppe il freno
Per tradimento, e Valdichiana tutta
336Vi tolse, e l’altre terre in un baleno.
La guerra, che Firenze avea distrutta,
E la confusion de’ Cittadini
339Vi fe questa ferita tanto brutta.
E da cotante ingiurie de’ vicini
Per liberarvi, e da sì crudo assalto,
342Chiamasti i Galli ne’ vostri confini.
E perchè ’l Valentin avea fatt’alto
Con sue genti a Nocera, e quindi preso
345Il Ducato d’Urbin sol con un salto,
Stavi col cuor e con l’almo sospeso,
Che col Vitello e’ non si raccozzassi,
348E con quel fusse a’ vostri danni sceso.
Quando a l’un comandò, che si fermassi
Pe’ vostri prieghi, il Re di San Dionigi,
351A l’altro furo i suoi disegni cassi.
Trasse il Vitel d’Arezzo i suoi vestigi,
E ’l duca in Asti si fu presentato
354Per giustificar se col Re Luigi.
Non saria tanto ajuto a tempo stato;
Se non fusse la industria di colui,
357Che allora governava il vostro stato,
Forse che venevate in forza altrui;
Perchè quattro mortal ferite avevi,
360Che tre ne fur sanate da costui.
Pistoja in parte ribellar vedevi
E di confusion Firenze pregna,
363E Pisa, e Valdichiana non tenevi.
Costui la scala a la suprema insegna
Pose, su per la qual condotta fusse,
366S’anima c’era di salirvi degna.
Costui Pistoja in gran pace ridusse;
Costui Arezzo, e tutta Valdichiana
369Sotto l’antico giogo ricondusse.
La quarta piaga non potè far sana
Di questo corpo, perchè nel guarillo
372S’oppose il tempo a sì felice mana.
Venuto adunque il giorno sì tranquillo,
Nel qual il popol vostro fatto audace
375Il portator creò del suo vessillo
Nè fur d’un cerchio due corna capace,
Acciocchè sopra la lor soda petra
378Potesse edificar la vostra pace.
E se alcun da tal ordine s’arretra
Per alcuna cagion, esser potrebbe
381Di questo mondo non buon geometra.
Poscia che ’l Valentin purgato s’ebbe,
E ritornato in Romagna, la impresa
384Contro a messer Giovanni far vorrebbe.
Ma come fu questa novella intesa,
Par che l’Orso e il Vitel non si contenti
387Di voler esser seco a tale offesa.
E, rivolti fra lor, questi serpenti
Di velen pien, cominciar a ghermirsi,
390E con gli ugnioni a stracciarsi e co’ denti.
E mal potendo el Valentin fuggirsi,
Gli bisognò, per ischifare il rischio,
393Con lo scudo di Francia ricoprirsi.
E per pigliare i suoi nemici al vischio,
Fischiò soavemente; e per ridurli
396Ne la sua tana, questo bavalischio.
Nè molto tempo perse nel condurli,
Che il traditor di Fermo, e Vitellozzo,
399E quelli Orsin, che sì nimici furli,
Ne le sue insidie presto dier di cozzo;
Dove l’Orso lasciò più d’una zampa,
402Ed al Vitel fu l’altro corno mozzo.
Sentì Perugia e Siena ancor la vampa
Dell’Idra, e ciaschedun di quei tiranni
405Fuggendo innanzi a la sua furia scampa.
Nè il cardinal Orsin potè li affanni
De la sua casa misera fuggire,
408Ma restò morto sotto mille inganni.
In questi tempi i Galli pien d’ardire
Contro gl’Ispani voltaron le punte,
411Volendoiel Regno a lor modo partire.
E le genti inimiche avien consunte,
E del Reame occupato ogni cosa,
414Non essendo altre forze sopraggiunte.
Ma, divenuta forte e poderosa
La parte ispana, fe’ del sangue avverso
417La Puglia, e la Calavria sanguinosa.
Onde che ’l Gallo si rivoltò verso
Italia irato, come quel che brama
420Di riaver lo Stato, e l’onor perso.
E il Sir de la Tremoglia, uom di gran fama,
Per vendicarlo, in queste parti corse
423A soccorrer Gaeta che lo chiama.
Nè molto innanzi le sue genti porse;
Perchè Valenza, e il suo Padre mascagno
426Di seguitarlo li mettieno in forse.
Cercavan questi di nuovo compagno,
Che desse lor delli altri Stati in preda,
429Non veggendo col Gallo più guadagno.
Voi per non esser del Valentin preda,
Come eravate stati ciascun dì,
432E che e’ non fosse di Marzocco ereda,
Condotto avevi di Canne il Baglì
Con cento lance, ed altra gente molta,
435Credendo star securi più così.
Con la qual gente la seconda volta,
Faceste Pisa di speranza priva
438Di potersi goder la sua ricolta.
Mentre che la Tremoglia ne veniva,
E che fra il Papa e Francia umor ascoso;
441E colera maligna ribolliva,
Malò Valenza, e per aver riposo
Portato fu fra l’anime beate
444Lo spirto di Alessandro glorioso;
Del qual seguiro le sante pedate
Tre sue familiari, e care ancelle,
447Lussuria, Simonìa e Crudeltate.
Ma come furo in Francia le novelle,
Ascanio Sforza quella volpe astuta;
450Con parole soavi, ornate e belle,
A Roan persuase la venuta
D’Italia, promettendogli l’ammanto,
453Che salir a’ cristian nel Cielo ajuta.
I Galli a Roma s’eran fermi intanto,
Nè passar volser l’onorato rio,
456Mentre che vuoto stette il Seggio santo.
E così fu creato Papa Pio;
Ma pochi giorni stiè sotto a quel pondo,
459Che gli avea posto in su le spalle Iddio.
Con gran concordia poi Giulio Secondo
Fu fatto portinar di Paradiso,
462Per ristorar de’ suoi disagi il mondo.
Poichè Alessandro fu dal Cielo ucciso,
Lo stato del suo Cuca di Valenza
465In molte parti fu rotto, e diviso.
Baglion, Vitelli, Orsini, e la semenza
Di Monte Feltro in casa lor ne giro,
468E Marco prese Rimino, e Faenza.
Insino in Roma il Valentin seguiro
E Baglion, e l’Orsin per darli guai,
471E de le spoglie sue si rivestiro.
Giulio sol lo nutrì di speme assai,
E quel Duca in altrui trovar credette
474Quella pietà, che non conobbe mai.
Ma poichè ad Ostia qualche giorno stette
Per dipartirsi, il Papa fe’ tornallo
477In Roma, ed a sue genti a guardia ’l dette,
Intanto i Capitan del fiero Gallo,
Sopra la riva del Gariglian giunti
480Facevan ogni forza per passallo.
Ed avendo in quel luogo invan consunti
Con gran disagio molti giorni, e notti,
483Dal freddo afflitti, e da vergogna punti;
E non essendo insieme mai ridotti,
Per varj luoghi, e in più parti dispersi,
486Dal tempo, e da’ nemici furon rotti.
Onde avendo l’onor, e i danar persi
A Salsa, a Roma, e quivi tutto mesto
489Si dolse il Gallo de’ suoi casi avversi.
E parendo all’Ispano aver in questo
Conflitto avuto le vittorie sue,
492Nè volendo giocar co’ Galli il resto,
Forse sperando ne la pace piue
Fece fermar il bellico tumulto,
495E della tregua ben contento fue.
Nè voi teneste il valor vostro occulto.
Ma d’arme più gagliarde vi vestisti,
498Per poter meglio opporvi a ogni insulto;
Nè dalle offese de’ Pisan partisti,
Anzi toglieste lor le terze biade,
501E per mare, e per terra gli assalisti.
E perchè non temean le vostre spade,
Voi vi sforzaste con varj disegni
504Rivolger Arno per diverse strade.
Or per disacerbar gli animi pregni
Avete a ciaschedun le braccia aperte,
507Che a domandar perdon venir si degni.
Intanto il Papa, dopo molte offerte,
Fe’ di Furlì e de la rocca acquisto,
510E Borgia si fuggì per vie coperte.
E benchè e’ fosse da Consalvo visto
Con lieto volto, li pose la soma,
513Che meritava un ribellante a Cristo.
E per far ben tanta superbia doma,
In Ispagna mandò legato e vinto
516Chi già fe’ tremar voi e pianger Roma.
Ha volto il Sol due volte l’anno quinto
Sopra questi accidenti crudi, e fieri,
519E di sangue ha veduto il mondo tinto.
Ed or raddoppia l’orzo a’ suoi Corsieri,
Acciò che presto presto si risenta
522Cosa, che queste vi pajan leggieri.
Non è ben la fortuna ancor contenta,
Nè posto ha fine all’Italiche lite,
525Nè la cagion di tanti mali è spenta.
Non son i Regni e le Potenzie unite,
Nè posson esser, perchè il Papa vuole
528Guarir la Chiesa delle sue ferite.
L’imperador, con l’unica sua prole
Vuol presentarsi al Successor di Pietro.
531Al Gallo il colpo ricevuto duole.
E Spagna, che di Puglia tien lo Scetro,
Va tendendo a’ vicin lacciuoli, e rete,
534Per non tornar con le sue imprese a retro.
Marco, pien di paura, e pien di sete,
Fra la pace e la guerra tutto pende:
537E voi di Pisa troppa voglia avete.
Per tanto facilmente si comprende,
Che fin al Cielo aggiungerà la fiamma,
540Se nuovo fuoco fra costor s’accende.
Così l’animo mio tutto s’infiamma,
Or di speranza, or di timor si carca,
543Tanto che si consuma a dramma a dramma;
Perchè saper vorrebbe dove, carca
Di tanti incarchi debbe, o in qual porto
546Con questi venti, andar la vostra barca.
Pur si confida nel Nocchier accorto
Ne’ remi, nelle vele e nelle sarte;
549Ma sarebbe il cammin facile, e corto,
Se voi il tempio riapriste a Marte.