Del riordinamento amministrativo del Regno (Carpi)/I

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« Les dissidences en matiere politique sont inevitables et peut-être dans une certaine misure necessaires. »
Washington Let. ad Harrison e ad Hamilton.
I.

Lo sviluppo dei concetti accennati nel discorso della Corona, concetti con cui preludeva il sig. Ministro dell’interno dinanzi la Commissione presso il Consiglio di Stato, per ciò che ha tratto all’organizzazione politico-amministrativa del Regno, deve essere, a mio avviso, retto e determinato dalle seguenti considerazioni.

1. Che uno Stato nuovo in contingenze difficili ha mestieri che l’azione governativa sia libera, forte, e di rapido effetto.

2. Che l’aumentare degli organi che servono al movimento della macchina dello Stato, senza [p. 4 modifica] assoluta ed evidente necessità, nuoce alla speditezza ed alla potenza dell’azione.

3. Che dal governo deve partire ogni grande iniziativa, ogni straordinario impulso in riverbero del genio e della volontà collettiva della nazione, acciò si ecciti, si educhi e vi s’informi la libera azione individuale, cosicchè la stessa favilla rigeneratrice sotto mille forme faccia concorrere alla grandezza ed alla potenza dello Stato, la mente, l’opera, il senno e la coscienza di ogni individuo.

4. Che per conseguenza la centralizzazione governativa per quanto si riferisce alla politica, all’armata, alle finanze, ed alle leggi, non che tutte quelle accessorie ingerenze che si connettono allo sviluppo di un’azione superiore generale, efficace, ed iniziativa di tutto che possa esservi di grande, di generoso, di utile per un gran popolo, deve operarsi indilatamente, francamente, senza reticenze, e senza lasciare addentellati a funesti risorgimenti di autonomie fra loro rivali, e per speciali interessi spesso riluttanti a ciò che è il bene della nazione.

5. Che le popolazioni di quasi tutti i paesi formanti ora il Regno d’Italia sotto lo scettro del leale e valoroso Vittorio Emanuele furono abituate ad essere rette con mano, ove semibenevole ed ove ferrea, ma sempre ed inesorabilmente guidata dalla volontà dei governanti, a scapito dell’iniziativa e dell’azione libera individuale, in guisa che ora in generale si vuol ripetere, a torto od a ragione, dal governo nel bene quell’azione, quel fare deciso ed energico, che si subiva da più o meno odiati governi nel male. Conviene andare a rilento a far calcolo assoluto, e ciò forse ancora per molti lustri, sull’iniziativa individuale, sotto pena di disillusioni, e di sentire [p. 5 modifica] tacciato il governo di snervato, improvvido, insciente perchè non vede e provvede a tutte le esigenze sociali. Da questo debbono ripetersi, a mio avviso, quelle lievi ondulazioni di innocui lamenti che si appalesano di tratto in tratto in alcuna delle provincie annesse, avvegnachè dopo tanti anni di educazione servile e di assolutismo non basta dire — fate — perchè si faccia e si sappia fare.

6. Che la discentralizzazione amministrativa non può determinarsi nei fatti che a grado a grado, nè tradursi in azione nelle libertà dei Comuni e delle Provincie che semplificando via via le ruote della pubblica amministrazione, e non aumentandone l’intreccio e gli inevitabili conflitti. «Les changements à vue (dice Wolowski) ne s’executent qu’a l’opéra; sur la scene du monde réel, la marche du progrés est lente et laborieuse».

7. Che in fine importa avvisare all’economia di tempo, di uomini, e di denaro.

Se bene mi appongo nelle suaccennate considerazioni preliminari, il disegno ministeriale per la nuova organizzazione dello Stato offre un lato sommamente pericoloso nella proposta delle Regioni qual primo grado della divisione territoriale, ed una superfetazione dispendiosa nelle circoscrizioni dei Circondari inoltre alle Provincie.

E valga il vero: Il signor Ministro dell’interno formula il concetto delle Regioni appoggiandosi a due cardinali rispetti.

1. Alle tradizioni italiche che legano e coordinano numerose popolazioni attorno a varie grandi città che furono, per correre di secoli, capitali di Stati autonomi, le quali irradiano di loro luce vaste e speciali circoscrizioni territoriali, diverse fra loro per grado di civiltà, di costumi e di abitudini, come lo furono altra volta per leggi. [p. 6 modifica]

2. All’opinione che la creazione delle Regioni, le quali dovrebbero rispondere presso a poco al mantenimento, mercè di nuova convenzionale esistenza, degli Stati testè soppressi, sia spediente efficace in grado superlativo, perchè ha tratto a considerevoli nuclei di cittadini sopra i quali deve moralmente influire a coordinare (come disse il Ministro) la forte unità dello Stato, coll’alacre sviluppo della vita locale.

Fin qui tutto è colore e odore di rose, e nessuno certamente potrebbe in astratto negare plauso all’alto e concilievole intendimento del Governo. Ma se ci addentriamo nel midollo del gravissimo quesito di cui si cerca la difficile soluzione, non si può di certo ottemperare sì di leggieri alla proposta ministeriale per le ragioni che verrò esponendo.

O le tradizioni e le aspirazioni dirò così locali sono legittime, attendibili, e tali insomma da doversi e potersi soddisfare anche a fronte della prodigiosa palingenesi politica d’Italia a cui assistiamo; o non lo sono che in modo relativo, indiretto, ed in guisa da non doversene rendere ragione che in tesi generale nell’universale ricomponimento di tutta la nazione.

— Nel primo caso risponde forse il disegno delle Regioni, le quali, prive di vita e di azione propria, ripugnando il governo, con qualche inconseguenza dai premessi principii ma a ragione, di farne dei corpi morali liberi, saranno rette da governatori, specie di vicerè i quali non rileveranno direttamente se non che, ed esclusivamente, dal beneplacito ministeriale? No per fermo: A meno che non si volesse credere da senno ciò che pur sarebbe una strana illusione, che popolazioni di paesi, alcuni dei quali debbono [p. 7 modifica] noverarsi fra i più civili e gentili d’Europa, possano andare paghi, a soddisfacimento delle avite tradizioni, e di odierne aspirazioni che si volessero tenere per buone, di lustre, di apparenze! e per ciò, commettere tanta jattura alla unità dello Stato, alla forza della Nazione!

Nel secondo caso a che giova l’arrovellarsi di un tratto per adottare il peggiore di tutti i sistemi di centralizzazione, creando cioè sei od otto grandi amministrazioni governative irresponsabili, e localmente incontrollabili, quali satelliti del maggior pianeta, piuttosto che lasciare centralizzato tutto ciò che sia di pertinenza governativa nel nuovo organamento dello Stato in un centro unico, ove la ragione di Stato, l’opinione pubblica, i poteri contemperati, la libera stampa, possono fare l’ufficio di supremi moderatori di ogni intemperanza?