Delle Antiche carceri di Firenze denominate delle Stinche/Parte seconda/Capitolo ultimo

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Capitolo ultimo

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Parte seconda Tavola delle materie
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CAPITOLO ULTIMO

Delle nuove Fabbriche erette nel luogo di queste Carceri.



Questo vecchio edifizio, il quale, come abbiamo già detto, presentava un aspetto disaggradevole e tetro, era situato in una delle più belle e spaziose vie di Firenze, nella via cioè del Palagio. Perciò il Governo, avendo in mira l’abbellimento della città nostra, pensò di far servire a quell’uso di Ergastolo un altro edifizio, situato presso le mura della città1, e dare a questo una diversa destinazione, più conveniente alla situazione locale, nella quale trovavasi.

Infatti il regnante Granduca Leopoldo II, avendo con suo Dispaccio de’ 15 Agosto 1833 approvata la vendita di questo Stabile, ed avendone fatto l’acquisto i Signori Giovacchino Faldi, Cosimo Canovetti, Giuseppe Galletti e Michele Massai, abbiamo veduto in un luogo di orrore e di lutto, sorgere dei belli edifizj, tre dei quali destinati al piacere ed al divertimento del pubblico2. [p. 37 modifica]

Facendo l’alienazione di quello Stabile, il Governo saviamente prescrisse che fossero messi a sua disposizione i due Medaglioni che stavano ai lati della piccola porta e che fossero conservate le pitture, già da noi descritte, dei due Tabernacoli, l’uno interno, l’altro esterno. Questo provvedimento, pel quale si sono preservati dalla distruzione quegli interessanti oggetti d’arte, è ben degno d’encomio; nella guisa stessa che è meritevole di biasimo il moderno vandalismo, distruttore non tanto di quelle memorie, di qualunque genere elle siano, le quali dovrebbero essere conservate; quanto di quei vetusti edifizj, i quali per la loro solidità e bellezza (rozza, se vogliasi) e per esser segni del carattere dei nostri Padri, non meriterebbero al certo di venire sfigurati in modo da non restar più in essi traccia veruna d’antichità. Veramente non sarebbero da demolirsi se non che quelle sole antiche fabbriche, le quali, come questa delle Stinche, non presentassero nissuna particolarità e bellezza.

Per cura adunque dei quattro sunnominati Signori, [p. 38 modifica]col disegno dell’Ingegnere Architetto dello Scrittojo delle RR. Fabbriche Sig. Francesco Leoni, e coll’assistenza dell’altro Architetto Sig. Luigi Manetti3, sono state alzate le fabbriche seguenti.

Sul terreno, ove esisteva il Levatojo detto di S. Simone, è stata eretta una Scuderia capace per 24 cavalli, ed una decente abitazione composta di più stanze, da servire per il Cavallerizzo e per la sua famiglia.

Nell’interno, e precisamente appresso questa Scuderia, è stato costruito un edifizio per gli esercizj equestri, ovvero Cavallerizza, lunga br. 60, larga 30, e alta 23, la quale (essendosi creduto conveniente cuoprirla ad oggetto di potere eseguire i soliti esercizj anche in tempi freddi o piovosi) prende luce sufficiente da due grandi Lanterne a cristalli, aperte nel tetto.

Quivi appresso, ed egualmente nell’interno, si sta presentemente costruendo nell’alto della Fabbrica che resta a ponente, una spaziosa Sala, la quale deve servire per le Adunanze e le Accademie vocali e strumentali della Società Filarmonica Fiorentina.

Dal lato poi di levante si va erigendo un Teatro Diurno, a similitudine di quello eretto nello Stabilimento Goldoni, e che viene impropriamente chiamato Arena.

Finalmente, dai lati che stanno a settentrione e a occidente, e restano nella via del Palagio, ed in quella del Mercatino, sono state costruite delle decenti abitazioni, e sotto di queste varie botteghe; cosicchè quelle due facciate presentano ora un aspetto vago ed [p. 39 modifica]elegante, ed aggiungono alle due vie una nuova bellezza, della quale un anno addietro mancavano.

Non sono da passarsi sotto silenzio, e senza la meritata lode, la sollecitudine colla quale si son vedute sorgere codeste belle fabbriche, e la cura e l’assistenza continua impiegata dai sopra nominati Signori fino dal momento in cui divennero possessori di questo Locale. Da tali lavori sono nati alquanti vantaggi. Primieramente molte braccia, che stavano inoperose, hanno trovato un impiego; secondariamente molte persone, le quali non aveano di che cibarsi, hanno rinvenuto il mezzo di guadagnarsi un mediocre sostentamento; e finalmente la patria nostra, la quale è pure una delle più vaghe e ridenti città dell’Europa, ha acquistato un abbellimento ed un ornamento novello. Possa l’esempio accendere in altri un simile intraprendente desiderio ed una generosa imitazione.

Ma entrati noi in questo proposito, vogliamo manifestare un nostro rincrescimento. Questo è nato dal vedere, che, generalmente parlando, non si cerchi nelle fabbriche, che al giorno d’oggi si costruiscono, unire l’eleganza e la semplicità moderna, (se così vuol chiamarsi), alla solidità antica. I nostri antenati nel costruire un edifizio non aveano la mira soltanto al loro comodo e interesse presente, ma al comodo e al vantaggio dei posteri, alla gloria della patria a a quella del nome loro. Per ciò le loro fabbriche hanno vissuto e viveranno molti secoli. Questo peraltro non si può supporre da noi detto per gli edifizj eretti in questo locale delle Stinche, perocchè qui, essendosi gli Architetti serviti in gran parte dei vecchi fondamenti e delle vecchie muraglie, della solidità ve n’è [p. 40 modifica]certamente a sufficienza; ma s’intenda detto per quelle grette e meschine fabbriche moderne, le quali e per la sottigliezza dei muri, e per la piccolezza delle stanze, come per la nullità di insignificanti ed apparenti ornamenti, potrebbero paragonarsi a delle magre e deformi femmine, le quali a forza di stoppa e di belletto tentassero di apparire ben conformate e venuste.



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In proposito dell’etimologia del vocabolo Stinche, della quale abbiamo già tenuto discorso nella Nota prima del Capitolo II, aggiungeremo, che il Vocabolario della Lingua Italiana (edizione di Bologna 1828) riporta alta voce Stinca il seguente passo di Matteo Villani lib. VIII, cap. 105: Più altre terre poste in fortissimi luoghi in sulla stinca della Montagna; ed aggiunge: Voce antiquata. Pare che vaglia lo stesso che cima o schiena, latinamente clivus, jugum.

Anche il Menagio (Origini della Lingua Italiana) riporta il surriferito passo del Villani; ma egli crede che voglia dire il mezzo del colle, ovvero la gamba della Montagna, e sia stinca lo stesso che stinco. Io peraltro son sempre della prima già emessa opinione, e sto col Du Cange e coi Compilatori del Vocabolario sopra citato: e tanto meno poi non faccio conto alcuno di quello che dice il Ferrari colle seguenti parole riportate pur dallo stesso Menagio: Carcer Florentiae Stinchae a castro ejus nominis: quo expugnato, captivi in novum eum carcerem primo conjecti appellationem peperere: id autem castrum fortasse sic dictum quod plurium tibiarum ossa in moliendis fundamentis reperta sint; perciocchè da quel fortasse sic dictum rilevasi chiaramente che tuttociò non è se non che una sua semplice congettura, non appoggiata a nissun fatto o dato certo. Castello delle Stinche vuol dunque dire Castello delle vette, ovvero Castello situato fra vette, cioè in luogo montuoso.

F I N E

Note

  1. Mentre si stà adattando per l’uso di Ergastolo il Monastero soppresso delle Murate, i Prigionieri delle Stinche sono stati provvisoriamente trasferiti in un antico Convento di S. Gemignano, Terra non molto lontana da Firenze.
  2. Si voleva trovare un nome collettivo da imporsi a queste tre fabbriche, e furono suggeriti i vocaboli Agonale e Teatro Olimpico. Ma il primo non piacque, l’altro fu giudicato improprio. Ora mi arrischierei anch’io a proporne uno, e questo sarebbe Politeamo, il quale è un vocabolo composto, come può da ognuno facilmente ravvisarsi, da Πολυ e da Θέαμα voci greche, cambiando l’a finale in o per ridurlo alla maniera italiana. Essendo Θέαμα definito locus ad videnda spectacula, Politeamo non verrebbe a indicare altro se non che un Edifizio che racchiude più e diversi luoghi nei quali si danno al Pubblico degli spettacoli, ovvero più e diversi luoghi, che servono all’intertenimento del Pubblico; cosicchè potrebbe dirsi il Salone dei Filarmonici nel Politeamo Fiorentino; la Cavallerizza, il Teatro Diurno del Politeamo Fiorentino. Veramente se si vuole un vocabolo, che racchiuda in se collettivamente l’idea dei tre sunnominati edifizj, si stenterà molto a trovarne uno più proprio di questo.
  3. Le misure, già da me riportate, delle vecchie muraglie, come di alcuni dei nuovi edifizj, mi sono state favorite dalla gentilezza di questo Sig. Luigi Manetti.