Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro primo/Capitolo 7

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CAPITOLO VII


Quanto siano necessarie in una Repubblica
l’accuse per mantenere la libertà.


A
coloro che in una città son preposti per guardia della sua libertà, non si può dare autorità più utile e necessaria, quanto è quella di potere accusare i cittadini al Popolo, o a qualunque Magistrato o Consiglio, quando che peccassero in alcuna cosa contro allo Stato libero. Questo ordine fa due effetti utilissimi ad una Repubblica. Il primo è che i cittadini per paura di non essere accusati, non tentano cose contro allo Stato, e, tentandole, sono incontinente e senza rispetto oppressi. L’altro è che si dà via onde sfogare a quelli umori, che crescono nelle cittadi in qualunque modo contro a qualunque cittadino. E quando questi umori non hanno onde sfogarsi ordinariamente, ricorrono a’ modi straordinarj, che fanno rovinare in tutto una Repubblica. E non è cosa che faccia tanto stabile e ferma una Repubblica, quanto ordinare quella in modo, che l’alterazione di questi umori che l’agitano, abbia una via da sfogarsi ordinata dalle leggi. Il che si può per molti esempj dimostrare, e massime per quello che adduce T. Livio di Coriolano, dov’ei dice, che essendo irritata contro alla Plebe la Nobiltà romana, per parerle che la Plebe avesse troppa autorità, mediante la

[p. 41 modifica]creazione de’ Tribuni che la difendevano, ed essendo Roma, come avviene, venuta in penuria grande di vettovaglie, ed avendo il Senato mandato per grani in Sicilia, Coriolano nimico alla fazione popolare, consigliò com’egli era venuto il tempo da poter gastigare la Plebe, e torle quella autorità che ella si aveva acquistata, e in pregiudizio della Nobiltà presa, tenendola affamata, e non le distribuendo il frumento; la qual sentenza sendo venuta agli orecchi del Popolo, venne in tanta indegnazione contro a Coriolano, che allo uscire del Senato lo arebbero tumultuariamente morto, se i Tribuni non l’avessero citato a comparire a difendere la causa sua. Sopra il quale accidente si nota quello che di sopra si è detto, quanto sia utile e necessario che le Repubbliche, con le leggi loro, diano onde sfogarsi all’ira che concepe l’universalità contro a un cittadino; perchè quando questi modi ordinarj non vi siano, si ricorre agli straordinarj, e senza dubbio questi fanno molto peggiori effetti, che non fanno quelli. Perchè se ordinariamente un cittadino è oppresso, ancora che gli fusse fatto torto, ne seguita o poco o nissuno disordine in la Repubblica; perchè la esecuzione si fa senza forze private, e senza forze forestiere, che sono quelle che rovinano il vivere libero; ma si fa con forze ed ordini pubblici, che hanno i termini loro particolari, nè trascendono a cosa che rovini la Repubblica. E quanto a corroborare questa opinione con gli esempj, voglio [p. 42 modifica]che degli antichi mi basti questo di Coriolano, sopra il quale ciascuno consideri, quanto male saria resultato alla Repubblica romana, se tumultuariamente ei fusse stato morto; perchè ne nasceva offesa da privati a privati, la quale offesa genera paura, la paura cerca difesa, per la difesa si procacciano i partigiani, dai partigiani nascono le parti nelle cittadi, e dalle parti la rovina di quelle. Ma sendosi governata la cosa mediante chi n’aveva autorità, si vennero a tor via tutti quelli mali che ne potevano nascere governandola con autorità privata. Noi avemo visto ne’ nostri tempi quale novità ha fatto alla Repubblica di Firenze, non potere la moltitudine sfogare l’animo suo ordinariamente contro a un suo cittadino, come accadde nel tempo di Francesco Valori, ch’era come Principe della città, il quale essendo giudicato ambizioso da molti, e uomo che volesse con la sua audacia e animosità trascendere il vivere civile, e non essendo nella Repubblica via a potergli resistere, se non con una Setta contraria alla sua, ne nacque che non avendo paura quello, se non di modi straordinarj, si cominciò a fare fautori che lo difendessero; dall’altra parte quelli che lo oppugnavano, non avendo via ordinaria a reprimerlo, pensarono alle vie straordinarie, intanto che si venne alle armi. E dove, quando per l’ordinario si fusse potuto opporsegli, sarebbe la sua autorità spenta con suo danno solo; avendosi a spegnere per lo straordinario, seguì con danno non [p. 43 modifica]solamente suo, ma di molti altri nobili cittadini. Potrebbesi ancora allegare a fortificazione della soprascritta conclusione, l’accidente seguìto pur in Firenze sopra Pietro Soderini, il quale al tutto seguì per non essere in quella Repubblica alcuno modo di accuse contro alla ambizione de’ potenti cittadini; perchè lo accusare un potente a otto giudici in una Repubblica, non basta: bisogna che i giudici siano assai, perchè pochi sempre fanno a modo de’ pochi. Tantochè, se tali modi vi fussono stati, o i cittadini lo avrebbono accusato, vivendo egli male, e per tale mezzo, senza far venire l’esercito spagnuolo, arebbono sfogato l’animo loro; o non vivendo male, non arebbero avuto ardire operargli contra, per paura di non essere accusati essi, e così sarebbe d’ogni parte cessato quello appetito che fu cagione di scandalo. Tantochè si può conchiudere questo, che qualunque volta si vede che le forze esterne siano chiamate da una parte d’uomini che vivono in una città, si può credere nasca dai cattivi ordini di quella, per non essere dentro a quello cerchio ordine da potere senza modi straordinarj sfogare i maligni umori che nascono negli uomini; a che si provvede al tutto, con ordinarvi le accuse agli assai giudici, e dare riputazione a quelle. Li quali modi furono in Roma sì bene ordinati, che in tante dissensioni della Plebe e del Senato, mai o il Senato o la Plebe, o alcuno particolare cittadino non disegnò valersi di forze esterne; perchè avendo il rimedio in casa, non [p. 44 modifica] erano necessitati andare per quello fuori. E benché gli esempj soprascritti siano assai sufficienti a provarlo, nondimeno ne voglio addurre un altro, recitato da T. Livio nella sua Istoria, il quale riferisce come sendo stato in Chiusi, città in quelli tempi nobilissima in Toscana, da uno Lucumone violata una sorella di Arunte, e non potendo Arunte vendicarsi per la potenza del violatore, se n’andò a trovare i Francesi, che allora regnavano in quello luogo, che oggi si chiama Lombardia, e quelli confortò a venire con armata mano a Chiusi, mostrando loro come con loro utile lo potevano vendicare della ingiuria ricevuta: che se Arunte avesse veduto potersi vendicare con i modi della città, non arebbe cerco le forze barbare. Ma come queste accuse sono utili in una Republica, così sono inutili e dannose le calunnie, come nel capitolo seguente discorreremo.