Due versi di Antonio Manussos/Lettera
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el pubblicare dopo le cose mie, la seguente lettera e annotazione, che Nicolò Tommaseo spediva nel 1859, coll’aprirsi della lotta Nationale, al giornale L’Opinione, ed a quello di Genova, diretta al mio nome, sono convinto di fare cosa estremamente grata, non solo al lettore, ma bensì ancora di compiere un atto di dovere alla venerata memoria di quel chiarissimo ingegno quale fu Nicolò Tommaseo; di quel sommo maestro, che con purezza di stile ed eleganza di modi, sapeva potentemente giugnere il sublime nel dettare il sentimento di Patrio amore, di Libertà, di Fede. Gli aurei detti di tant’uomo, in tali momenti di orgasmo Nazionale, non sono certo da considerarsi cosa di poco momento, per cui non posso che reputarmi sommamente avventurato l’avere Esso rivolto con molta dolcezza e generosità, anche per un momento, al mio nome e alle cose mie, la di Lui attenzione. Per fermo, il giudizio benevole di Tommaseo, è di gran lunga superiore al mio merito. Comeche io reputi che cotesta lettera debbasi riguardare sotto lo aspetto ancora della politica e della letteratura, per ciò, la considero come pagina d’oro nella storia d’Italia, e di Grecia più assai, che il sommo letterato cordialmente amava.
A. M.
Pubblichiamo con piacere quest’altra lettera che ci vien pure comunicata dalla gentilezza dell’illustre autore. — Dice la redazione del Giornale.—
- Al signor Antonio Manussos
Giacchè per invito di Lei fu da uomini Greci agevolato a parecchi Italiani il passaggio in Patria, per la quale poter sostenere la prova delle armi, ciò basterebbe a meritarle i miei cordiali ringraziamenti, quando pure Ella non vi aggiungesse una significazione d’affetto ben più preziosa. Dico i versi da Lei pensati col cuore, in nome del milite Italiano che prepara sè e i suoi fratelli al combattere. Non pochi versi dedicarono nella lingua loro gl’Italiani alla Grecia: ma Ella ne rende un pellegrino ricambio componendo, uomo greco, versi italiani in onore d’Italia. Mi lasci dire, ancorchè non sia questo il tempo d’osservazioni letterarie, che nel suo metro di decasillabi con tre rime alterne conchiusi da due tronchi rimati insieme per modo da formare una specie d’ottava, io riconosco l’allievo di Dionigi Solomos, di quel felice cultore e intenditore argutissimo dell’eleganza e de’ numeri italiani. Vogliano così gli scrittori d’Italia conoscere la favella del popolo Greco vivente, come parecchi Greci illustri l’italiana studiarono e scrissero: e questo, io credo, sarà se i Greci stessi seguiteranno l’esempio del Solomos già seguitato da Lei, useranno cioè la favella vivente, interprete accomodata d’ogni alta idea e d’ogni sentimento gentile a chi veramente nutrisca sentimenti gentili e alte idee. Ma il suo far parlare un milite Italiano, non è già finzione poetica, cioè esercitazione di scuola o scherzo d’accademia: quel milite, quell’Italiano, è Lei stesso. Dopo offerto a Venezia il suo braccio, e rimastoci insino alla fine al pericolo e al patimento Ella riviene oggi di più lontano e con difficoltà più gravi da vincere all’onorato pericolo: e se allora lasciava Corfù, sua Patria, per l’antica signora dell’Adriatico e dell’Jonio, ora a Atene dico addio per Firenze, l’Atene dell’Europa novella. E poichè, a quel che sento, Ella intende coronare il suo sagrificio accettando un grado minore di quel che Venezia le assegnò, io non posso credere che, per quanto sia concorso costì di chiedenti, Ella resti escluso dal numero; che a’ suoi servigii, al suo zelo, al suo ingegno, allo stesso titolo di straniero che qui diventa raccomandazione, al fraterno glorioso nome di Grecia non si abbia riguardo da uomini Italiani.
N. Tommaseo.
Fra i Greci che si sono profferti alla guerra Italiana, onore degno renduto alla sacra memoria di Santorre Santarosa, e ricambio al fraterno volere di quegli altri italiani che combattettero per la Grecia nel suo glorioso cimento, è da numerare con gratitudine speciale Antonio Manussos Corcirese, che aveva già militato in Venezia; autore di versi lodati nella lingua del popolo, dalla quale sola può la Grecia sperare poesia e letteratura degna dei grandi maggiori, degna d’uomini vivi.