Ecce Homo/Perchè sono una fatalità

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Perchè sono una fatalità

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Friedrich Nietzsche - Ecce Homo (1888)
Traduzione dal tedesco di Aldo Oberdorfer (1922)
Perchè sono una fatalità
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Perchè sono una fatalità.


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1.


Conosco il mio destino. Un giorno si riconnetterà al mio nome il ricordo di qualche cosa di terribile, d’una crisi come non ce ne fu mai del più tremendo urto di coscienza, d’una sentenza pronunciata contro tutto ciò ch’era stato creduto, preteso, santificato fino allora. Io non sono un uomo: sono della dinamite. E, nonostante tutto ciò, non ho affatto la stoffa d’un fondatore di religioni: le religioni son roba da popolino: io provo il bisogno di lavarmi le mani dopo aver toccato quelle d’un uomo religioso.... Io non voglio dei «credenti»; penso che sono troppo cattivo per credere a me stesso; non parlo mai alle masse.... Ho una paura enorme che un giorno mi si santifichi; si capisce perchè io pubblichi prima questo libro: esso deve evitare che si abusi del mio nome.... Non voglio essere un santo: preferisco d’essere un buffone.... Forse, sono un buffone.... E tuttavia, o piuttosto non tuttavia — poichè finora non c’è stato nulla di più bugiardo che i santi — io parlo la verità. Ma la mia verità è spaventosa, perchè finora s’è chiamata verità la menzogna. Inversione di tutti i valori: ecco la mia formola per un atto di supremo riconoscimento di sè stessi, di tutta l’umanità, atto che in me è diventato carne e genio. Il mio destino esige ch’io sia il primo uomo onesto, ch’io mi senta in opposizione alle menzogne di vari millennii..... [p. 126 modifica]

Io solo ho scoperto la verità, perchè sono stato il primo a sentire — a fiutare — la menzogna come menzogna.... Il mio genio è nelle mie narici, io contraddico come non s’è mai contraddetto e tuttavia sono il contrario d’uno spirito negatore. Sono un lieto nunzio come non ce n’è mai stati, conosco dei destini d’un’altezza che finora non s’è potuta concepire: soltanto con la mia venuta ricominciano le speranze. Perciò sono necessariamente anche l’uomo della fatalità. Perchè, se la verità entra in lotta con una menzogna millennaria, ci saranno degli scuotimenti, dei terremoti, degli spostamenti di monti e di valli, quali mai nessuno ha sognato. Allora, il concetto di potitica sarà assorbito tutto in una lotta di spiriti, tutte le formazioni di potenza dell’antica società salteranno in aria; poiché tutte si fondano sulla menzogna: ci saranno guerre come non ci sono mai state sulla terra. Soltanto a cominciare da me c’è al mondo una grande politica.


2.


Occorre una formola per un tale destino che diventa uomo? La si trova nel mio Zarathustra:

« — e chi vuol essere un creatore nel bene e nel male, dev’essere prima un distruttore e spezzare dei valori.

«Così il supremo male fa parte del supremo bene: ma quest’ultimo è il creatore».

Io sono di gran lunga l’uomo più terribile che ci sia mai stato; il che non esclude ch’io sia per diventare il più benefico, lo conosco la gioia della distruzione in un grado ch’è pari soltanto alla mia forza di distruzione; e per l’una e per l’altra obbedisco alla mia natura dionisiaca che non sa separare l’azione negativa dal pensiero affermativo. Io sono il primo immoralista: per ciò sono anche il distruttore per eccellenza. [p. 127 modifica]


3.


Non mi è stato domandato, e mi si sarebbe dovuto domandare, che cosa significhi proprio in bocca mia, in bocca al primo immoralista, il nome di Zarathustra; poichè ciò che fa di quel persiano una personalità unica nella storia è precisamente l’opposto. Zarathustra è stato il primo a vedere nella lotta tra il bene ed il male la vera ruota nel movimento d’orologeria delle cose: la trasposizione della morale nella metafisica, come forza, causa e scopo in sè, è opera sua. Ma questa domanda sarebbe, in fondo, già una risposta. Zarathustra creò questo fatalissimo errore: la morale; perciò dev’essere egli pure il primo a riconoscerlo. Non solo egli ha qui maggiore e più lunga esperienza che nessun altro pensatore — poichè tutta la storia è la confutazione sperimentale dell’affermazione del cosidetto «ordine morale» — ma il più importante è che Zarathustra è più veridico che nessun altro pensatore. La sua dottrina, soltanto la sua, pone, come suprema virtù, la veridicità: cioè l’opposto della viltà degli «idealisti» che scappano davanti alla realtà: Zarathustra ha più coraggio in corpo che tutti i pensatori presi insieme. Dire la verità e colpir bene con le frecce, ecco la virtù persiana.

Sono stato compreso?.... La vittoria della morale su sè stessa, per la veracità; la vittoria del moralista su sè stesso per riuscire al suo contrario — a me — ecco il significato del nome di Zarathustra in bocca mia.


4.


In fondo, sono due le negazioni che racchiude in sè la mia parola immoralità. Io nego da un lato un tipo d’uomo che finora fu tenuto per il più alto: quello dei buoni, dei benevoli, dei benefici; [p. 128 modifica]e dall’altro nego una specie della morale che, come morale in sè, è divenuta dominante: detto più chiaramente, la morale decadente, la morale cristiana. Si potrebbe considerare la seconda negazione come la più decisiva, poichè la troppa stima della bontà e della benevolenza, giudicando all’ingrosso, mi pare una conseguenza della decadenza, incompatibile con una vita che s’inalza e afferma: nell’affermazione, negare e distruggere sono una condizione essenziale.

Mi fermo, da prima, alla psicologia dell’uomo buono. Per poter valutare il valore d’un dato tipo d’uomo bisogna prima calcolare quanto costi la sua conservazione, bisogna conoscere le sue condizioni d’esistenza. La condizione d’esistenza dell’uomo buono è la menzogna: altrimenti detto, il non voler vedere a nessun prezzo com’è fatta, in fondo, la realtà: la quale non è fatta nè in modo da stimolare ogni momento gli istinti di benevolenza, nè tanto meno in modo da permettere in qualunque momento l’intervento di mani stupide e buone. Considerare le calamità d’ogni genere come qualche cosa che bisogna sopprimere è la «niaiserie par excellence», è, guardando le cose dall’alto, un’immensa stupidità, altrettanto grande quanto sarebbe il voler supprimere il cattivo tempo per pietà, per esempio, della povera gente.... Nella grande economia dell’insieme ciò che vi ha di più terribile nella realtà (nelle passioni, nei desiderii, nella volontà di potenza) è infinitamente più necessario che quella forma della piccola fortuna ch’è la cosidetta «bontà»: anzi, per accordare un posto qualunque a quest’ultima — che ha per premessa la menzogna degli istinti bisogna essere a dirittura indulgenti.

Avrò una bella occasione di dimostrare le conseguenze straordinariamente inquietanti per tutta la storia dell’ottimismo, di questa creazione degli «homines optimi». Zarathustra che per primo comprese che l’ottimista è altrettanto decadente quanto il pessimista e forse più dannoso di questo, dice: «Gli uomini buoni non dicono mai la verità. Gli uomini buoni v’insegnarono false arti e [p. 129 modifica]false certezze; voi nasceste e vi celaste nelle menzogne dei buoni. Tutto è fondamentalmente falsato e pervertito dai buoni». Fortunatamente il mondo non è costruito su gli istinti, sì che proprio soltanto la buona bestia da gregge vi possa trovare la sua piccola felicità: esigere che ogni cosa diventasse «buon uomo», bestia da gregge, mite, dagli occhi azzurri, «bell’anima» e, come desidera il signor Erberto Spencer, altruista, significherebbe togliere all’esistenza il suo grande carattere, vorrebbe dire castrare l’umanità e ridurla ad una miserabile cineseria. E s’è tentato di farlo!.... E proprio questo s’è chiamato morale!.... In questo senso Zarathustra chiama i buoni, ora «gli ultimi uomini» ora il «principio della fine»: egli li considera sopra tutto come la più pericolosa specie d’uomini, perchè vivono tanto a spese della verità quanto a spese del futuro.

«I buoni non possono creare; sono sempre il principio della fine.

«Essi mettono in croce colui che scrive valori nuovi su nuove tavole; essi sagrificano a sè stessi il futuro, mettono in croce tutto l’avvenire degli uomini!

«I buoni furono sempre il principio della fine.....

«E quali sieno i danni cagionati dai calunniatori del mondo, il danno cagionato dai buoni è il più dannoso dei danni».


5.


Zarathustra, il primo psicologo dei buoni, è, in conseguenza, un amico dei cattivi. Se una specie decadente potè essere considerata come la più alta specie dell’umanità, ciò non potè avvenire che a danno della specie opposta, quella degli uomini forti e sicuri della vita. Se la bestia da gregge risplende nella luce della virtù più pura, bisogna che l’uomo-eccezione sia deprezzato fino al Male. Se per essi la menzogna vuole ad ogni costo coprirsi della [p. 130 modifica]parola verità», bisognerà cercare ciò ch’è veramente veritiero sotto i nomi peggiori. Zarathustra non lascia alcun dubbio su questo proposito: egli dice che fu proprio la conoscenza dei buoni, degli «ottimi» a ispirargli il terrore dell’uomo in generale; che proprio questa ripugnanza gli aveva cresciute l’ali e l’aveva spinto «avanti nel lontano futuro». Egli non nasconde che il suo tipo d’uomo, un tipo relativamente superumano, è superuomo proprio confrontato coi buoni, e che i buoni e i giusti chiamerebbero il suo superuomo un diavolo....

«O voi, uomini sommi che il mio occhio incontra, questo è il mio dubbio sul conto vostro, questo mi fa ridere segretamente: io penso che voi chiamereste il mio superuomo, un diavolo! Siete talmente estranei alla Grandezza, nella vostra anima, che per voi il Superuomo sarebbe terribile nella sua bontà....».

Da questo punto, e da nessun altro, bisogna prender le mosse per comprendere ciò che vuole Zarathustra: la specie d’uomo ch’egli concepisce, concepisce la realtà com’è: è abbastanza forte per farlo. Essa non è estranea, non è lontana dalla verità; è la verità; essa ha ancora in sè tutto ciò che in quella v’è di terribile e di problematico: solo così l’uomo può avere della grandezza....


6.


Ma anche in un altro senso mi sono scelto la parola immoralista come distintivo e insegna onorifica: sono superbo di portare questo nome che mi mette in rilievo di fronte a tutta l’umanità. Nessuno ha sentito, ancora, la morale cristiana al di sotto di sè: per ciò occorreva un’altezza, una vastità d’orizzonti, una profondità psicologica inaudita. La morale cristiana è stata finora la Circe di tutti i pensatori: essi stavano al suo servizio. Chi è sceso prima di me nelle caverne da cui emana il soffio avvelenato di quella specie d’ideale ch’è la calunnia del mondo? Chi ha osato soltanto di [p. 131 modifica]dubitare che ci fossero delle caverne? E, in generale, che filosofo prima di me fu psicologo e non più tosto il contrario: «un gran ciarlatano», «un idealista»? Avanti a me non c’era psicologia di sorta. Essere il primo qui, può essere una maledizione; è, ad ogni modo, una fatalità: poi che vi si disprezza anche perchè siete il primo.... Lo schifo dell’uomo è il mio pericolo....


7.


Sono stato compreso? Ciò che mi separa, che mi apparta da tutto il resto dell’umanità è il fatto ch’io ho scoperto la morale cristiana. Perciò mi occorreva una parola che avesse il significato d’una sfida lanciata a ciascuno. Non aver aperto prima gli occhi su questo punto mi sembra la più grande colpa che l’uomo abbia sulla coscienza, un inganno verso sè stessi diventato istinto, una volontà fondamentale di non vedere nessun avvenimento, nessuna causa, nessuna realtà, una baratteria «in psychologicis» spinta fino al delitto. La cecità di fronte al cristianesimo è il delitto per eccellenza, il delitto contro la vita....

I secoli e secoli, i popoli, i Primi e gli Ultimi, i filosofi e le donnicciuole — astrazion fatta da cinque o sei momenti storici e da me, come settimo — su questo punto sono degni gli uni degli altri. Finora il cristiano era «l’essere morale», una curiosità senza pari, e, come «essere morale» più assurdo, più infinito, più superbo, più frivolo, più dannoso a sè stesso di quello che potrebbe neppur lontanamente immaginare il maggior dispregiatore dell’umanità. La morale cristiana è la forma più maligna della volontà della menzogna, la vera Circe dell’umanità, quella che l’ha rovinata. Non è l’errore come tale che mi spaventa a tale vista, la millenaria mancanza di «buona volontà», di disciplina, di decoro, di valore nelle cose dello spirito, che è tradita dalla sua vittoria: ma è la mancanza di natura, è il fatto spaventoso che la contro-natura stessa ebbe [p. 132 modifica]come morale i più alti onori e rimase sospesa sugli uomini come legge, come imperativo categorico.... Sbagliarsi a tal segno non come singolo individuo, non come popolo, ma come umanità!.... E s’è insegnato a disprezzare i principali istinti della vita; s’è inventata bugiardamente un’«anima», uno «spirito» per distruggere il corpo; s’è insegnato a trovare qualche cosa d’impuro nella premessa della vita, nella sessualità; si cerca nella più profonda necessità della prosperità, nel severo amore di sè stessi (la parola stessa è già calunniosa!) il cattivo principio; e al contrario nel segno tipico della degenerazione e della contraddizione degli istinti, nella perdita dell’equilibrio e della personalità, nell’«amore del prossimo» (manìa del prossimo) si scorge un valore più alto, che dico! il valore per eccellenza!.....

E che? l’umanità stessa sarebbe in decadenza? e lo è sempre stata? Ciò ch’è certo, si è che le sono stati additati dei valori di decadenza come valori superiori. La morale della rinuncia a sè stessi è la morale decadente per eccellenza, è la constatazione di fatto: «io vado in rovina», tradotta nell’imperativo: «dovete andar tutti in rovina», e non nell’imperativo soltanto!.... Questa, ch’è l’unica morale insegnata finora, la morale della rinuncia a sè stessi, tradisce la volontà della fine, nega la vita fin nella sua prima origine.

Qui resterebbe aperta una possibilità: che, cioè, non l’umanità intera sia in decadenza, ma soltanto quella specie parassitarla dell’uomo — i sacerdoti — che con la morale s’è elevata ad arbitra dei valori ed ha scorto nella morale cristiana il mezzo migliore per giungere alla potenza. E questa è, in fatti, la mia convinzione: i maestri, i condottieri dell’umanità, tutti quanti teologi, furono anche tutti quanti dei decadenti: da ciò la conversione di tutti i valori in un’inimicizia della vita, da ciò la morale.... Definizione della morale: «la morale è l’idiosincrasia del decadente con l’intenzione celata di vendicarsi della vita, e con un buon risultato finale». Ci tengo a questa definizione. [p. 133 modifica]


8.


Sono stato compreso? Non ho detto una sola parola ch’io non abbia già detto or sono cinque anni per bocca del mio Zarathustra. La scoperta della morale cristiana è un avvenimento senza pari, una vera catastrofe. Chi fa la luce su di essa è una «force majeure», «una fatalità»; egli spezza la storia dell’umanità in due parti. Si vive prima di lui, si vive dopo di lui.... Il fulmine della verità colpì proprio quello che finora stava più in alto: chi comprende che cosa fu distrutta lì, guardi se qualche cosa gli rimane ancora tra le mani. Tutto ciò che finora si chiamava «verità» è stato riconosciuto come la più dannosa, la più perfida, la più diabolica forma di bugia; il santo pretesto di «migliorare l’umanità» come un’astuzia per dissanguare la vita stessa, per renderla anemica. La morale usata come vampirismo.... Chi scopre la morale ha scoperto nello stesso tempo il non-valore di tutti i valori ai quali si crede o s’è creduto; nei tipi d’uomo più venerati, perfino in quelli ch’erano detti santi, egli non vede più nulla di venerabile; vi vede soltanto più fatale specie di aborti; fatale perchè essi affascinavano.....

Il concetto di «Dio» fu trovato come antitesi a quello di «vita», in esso fu riunito in una terribile unità tutto ciò che v’era di dannoso, di velenoso, di calunnioso, tutto l’odio mortale contro la vita. Il concetto dell’«al di là», del «vero mondo» fu creato per deprezzare l’unico mondo che ci sia, per non conservare più alla nostra realtà terrena alcun scopo, alcuna ragione, alcun compito! I concetti di «anima», «spirito» e, in fine, anche quello di «anima immortale» furono inventati per insegnare a disprezzare il corpo, a renderlo malato — cioè «santo» — per opporre a tutte le cose che meritano d’essere trattate con serietà nella vita — ai problemi della nutrizione, dell’abitazione, della dieta spirituale, della cura [p. 134 modifica]dei malati, della pulizia, del tempo — una spaventevole leggerezza! Mettere al posto della salute la «salvezza dell’anima» significa una folie circulaire che sta fra le convulsioni della penitenza e l’isterismo della redenzione!

Il concetto di «colpa» fu inventato insieme con l’istrumento di tortura che lo completa; il concetto di «libero arbitrio», per confondere gl’istinti, per far della diffidenza contro gl’istinti una seconda natura! Nel concetto di «altruismo», di «rinuncia a sè stesso» ci sono i veri segni della decadenza: l’essere attratti da ciò che reca danno, il non poter più trovare la propria utilità, la distruzione di sè elevata a «buona qualità», a «dovere», a «santità», a «divinità» nell’uomo! E finalmente — ed è la cosa più terribile — nel concetto di «buon uomo» si prendono le parti di tutto ciò ch’è debole, malato, abortito, di tutto ciò che soffre di sè stesso, che deve perire! La legge della selezione è messa in croce, dell’opposizione contro l’uomo fiero e bennato, contro l’uomo che afferma, contro l’uomo sicuro e garante del futuro s’è fatto un ideale, questo uomo si chiamerà d’ora innanzi «cattivo....» — E tutto ciò fu creduto, sotto il nome di Morale! — «Écrasez l’infâme».


9.


Sono stato compreso? — Dioniso contro il Crocifisso......