Elegie romane/I/Sogno d'un mattino di primavera
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SOGNO
D’UN MATTINO DI PRIMAVERA
Quando la tua sorella Aurora, già sazia di sogni,
2ebra di baci, tutta umida di rugiade,
come cerbiatto ignaro d’insidie ne’ vergini boschi,
4pronta a le soglie balza con lieto ardire,
tu non il suo chiamare, o Ippolita, odi. Il mio petto
6ben del tuo dolce capo teneramente premi.
Premi il mio petto, e dormi. Qual s’apre or ne l’intimo foco
8de la tua vita e sorge misteriosa imago.
irradiando un riso che tenue sgorga e diffuso
10trepida per l’aureo fior de le membra tue?
Rompe così ne’ maggi da polle invisibili un’acqua
12viva, balzante spirito, in un rosajo:
tremane tutta quanta la molle compage de’ fiori;
14poi d’un fulgore liquido s’illumina.
Or ne l’oblio sommersa, Ippolita, vedi tu strane
16plaghe, odi tu novelli carmi e novelli suoni?
Odi il divin tuo nome passare ne gli inni? Procedi,
18splendida fra il duplice coro, a’ fastigi ultimi?
Quale favilla viva cui nutran le ceneri in grembo;
20quale balen che dorma entro la nube grave;
quale adamante intatto che splenda con lume di stella
22su la ricchezza oscura de le terrestri vene;
qual sole ascoso ad occhi mortali, che sperda su vani
24esseri, per gelido aer le sue virtudi;
quale un pensier di nova beltà creatore su ’l mondo,
26che ancor segreto rida sotto la fronte al nume;
tal per te sola, o donna, per te, per te sola da tempo
28celasi ne’ vergini regni un divin potere.
L’hanno in custodia i Saggi. A l’ombra d’un’arbore immensa,
30candidi ne la veste, placidi come iddii,
vivono. Un’aria calda li nutre. Su l’erbe d’in torno
32rapidi i leopardi piegano i dorsi gai.
Il mormorio de’ fonti, il susurro de’ rami, il sommesso
34fremito de le belve mescesi a le parole.
Oh fecondati regni dal sacro abbraccio de’ fiumi,
36beneficata specie dal providente cielo
ove d’un’alleanza de gli astri principio di vita
38sorge ch’effuso ne le solitudini
crea da la sorda pietra, crea pure da l’arido loto,
40crea pur dal ferro spirti innumerabili!
Ecco sentieri d’ombre, profondi, cui versan la luce
42fiori d’ardente vita, esseri non mortali;
templi d’ignoti numi, a la gioja del dì bene aperti
44sopra colonne bianche qual pura neve,
armoniosi, eterni, ove l’aquile fanno gran cerchi,
46ove sospira il caldo vento natio del mare;
chiòstri di colli emerse da vasti golfi lunati,
48ove talor ne l’aria passan le forme dive,
forme di tal corusca virtù penetrate che alcuna
50d’occhi mortali forza non le sostiene.
simili a te nel riso, che incedon su ’l mare con lento
52passo e guardando a l’alto cantano dolci cori.
Cantano: — Or chi da l’alto precipita a’ campi del mare,
54rapido com’aquila, splendido come fuoco?
Quella discende forse, che molto aspettano i Saggi,
56donna reina? O forse da le sue rosse case,
contra i fraterni tèli, demente per novi desiri,
58anche apparì l’audace figlia d’Iperione?
Non del titan la figlia; ma l’altra, ma l’altra s’appressa
60Cose universe, udite! Ecco, l’Eletta viene.
Viene l’Eletta. O cieli, che tutta accogliete l’immensa
62anima del Creato entro la vitrea sfera!
voi, o correnti, o vene del mare, che l’isole intatte
64stringer godete in vostre adamantine trame!
nuvole erranti, o voi lungh’esso il monte selvoso
66greggia che il vento guida, truce pastor, fischiando
urne de’ fiumi, aperte da vegli possenti a la Terra
68giovine! e voi, stromenti ampi de l’uragano,
selve terrestri! e voi, profonde oceaniche selve,
70dove ogni tronco ha occhi vigili ne l’orrore!
cose universe, udite! L’Eletta, ecco, viene che a noi
72reca per legge il solo ritmo del suo respiro. —
Cantano. Tu non odi passare ne gli inni il tuo nome?
74Premi il mio petto e dormi. Splendemi in cuor l’aurora.