Era ne la stagione (Michiele)

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Pietro Michiele

XVII secolo Indice:AA. VV. - Lirici marinisti.djvu Odi Letteratura VII. L'inverno Intestazione 3 agosto 2022 100% Da definire

Altro piacer non sento Musa, che 'n vario stile
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VII

L’INVERNO

     Era ne la stagione
che l’aquilon gelato
dagli iperborei monti il freddo porta;
e giá l’aureo balcone,
ma di nubi velato,
apria colei che de la luce è scorta;
quando la chiusa porta
del rustico tugurio aprí Fileno,
e di nevi ripieno
mirando il prato al furïar de’ venti,
vòlto a Filli proruppe in questi accenti:

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     — Deh, non lasciar ancora,
Filli, sí frettolosa,
del letto amico le feconde piume;
è pur sorta l’aurora,
ma non giá luminosa
arreca il giorno a noi, com’ha in costume.
Ombra ’l suo chiaro lume
nube piena di ghiaccio e cela il cielo
caliginoso velo,
e la terra tra neve orrida involta,
che fu sepolcro altrui, giace sepolta.
     A novi scherzi il verno
chiama l’anime amanti,
e chi non sa gioir non merta vita.
Di vivace falerno
colme tazze spumanti
Bacco in tal tempo a rivotar c’invita;
alma del cor gradita,
de’ freddi giorni a rinovar l’onore
venga dolce liquore;
e poscia uniti in non usati modi
de l’algente stagion cantiam le lodi.
     Cara stagione, amica
di quel dolce riposo
che gode l’uomo affaticato e stanco!
Porge al mondo la spica
il luglio polveroso,
ma rende sotto ’l peso ansante il fianco;
in te robusto e franco,
de’ passati sudor il volto asciutto,
gode il bramato frutto,
e lieto il villanel con la famiglia
tra suoni e canti a bel piacer s’appiglia.
     L’ostili armate schiere
che fanno d’ogn’intorno
risuonar stragi e cruda errar la morte,

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e con auree bandiere
a pena nato il giorno
de’ chiusi alberghi altrui scuoton le porte,
rese nel male accorte
lascian l’armi, e con lor, se non l’ardire,
depongon almen l’ire;
e ammutolito il rauco suon la tromba
altrui piú non minaccia e morte e tomba.
     L’altre stagioni ornate
portan corona al crine
che, come varie son, varia colori;
le chiome circondate
hai tu di vaghe brine
e sol godi vestir puri candori.
Co’ superbi amatori
ch’a l’amata beltá professan fede,
che bianca esser si crede,
gareggiando in vestir candido, mostri
che non sta fedeltá sott’oro ed ostri.
     Depon la serpe il tòsco,
lascia il leon lo sdegno,
ogni fèra piú fiera è resa umíle.
De le lor furie il bosco
solo è ricetto degno;
stassi illesa la greggia entro l’ovile.
Stagion cara e gentile,
di veder l’anno ancora un giorno io spero
esser un verno intero,
perché ’n te gode sol lieto e giocondo
e la sua pace e la sua gioia il mondo. —