Faust/Parte seconda/Atto secondo/La notte classica di Valburga

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Atto secondo - La notte classica di Valburga

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Johann Wolfgang von Goethe - Faust (1808)
Traduzione dal tedesco di Giovita Scalvini, Giuseppe Gazzino (1835-1857)
Atto secondo - La notte classica di Valburga
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LA NOTTE CLASSICA DI VALBURGA.1


I campi di Farsaglia. - Tenebre.

Eritto. Al tripudio di questa notte spaventosa, vengo — nè è già la prima fiata — io la funesta e cupa Eritto, meno schifosa però di quello che mi [p. 297 modifica]facessero mai i maligni poeti nella loro immaginazione calunniatrice.... prodiga senza fine così di plausi come di satire e di villanie. Già parmi che la valle da lontano biancheggi al muovere di mille tende che riflettono una tetra luce notturna foriera di raccapriccio e di spavento. Oh! quante volte fu vista rinnovarsi codesta lotta! che si riprodurrà poi sempre, per tutta l’eternità.... Nessuno vuol cedere l’impero ad altrui; chi a forza l’ebbe ghermito, e

[p. 298 modifica]a forza lo regge, nol cede a chicchessia, dacchè ciascuno, inetto a governar sè medesimo, è roso dalla smania di imporre alla volontà del vicino, giusta i calcoli dell’altiera sua mente.... Un grande esempio ne diè quivi un lacrimevole conditto nel quale fu vista opporsi la potenza ad una potenza più forte ancora, nel quale si conobbe, come il serto fiorito e incantevole di libertà si dispezzi, e come l’inflessibile fronda d’alloro intorno alle tempie s’allorca del conquistatore. Qui, prima dell’imbrunire di codesta notte, sognava il Grande i floridi giorni dell’alto suo stato; là Cesare si tenne vegliando a spiare il moto incerto della bilancia! Ogni cosa tornerà al pari. — Pur tutti sanno qual principio ebbe allora il trionfo.

I fuochi notturni splendono qua e là vibrando rosse fiammelle; il Sole assorbe i crassi vapori del sangue sparso, e adescati dallo strano e inconcepibile fragore della notte, si assembrano a legioni gli Spiriti della ellenica tradizione. Attorno a ciascuno di que’ chiarori, gira con volo incerto, o s’accoscia a bell’agio un’immagine favolosa de’ giorni antichi.... La Luna, che al tutto ancor non tondeggia, spande ovunque nel sorgere il dolce e vivo suo raggio; la illusione delle tende scompare, e le fiammelle imbrunano e si spengono.

Ma quale in sul mio capo inattesa meteora! Essa brilla ed illumina un gruppo d’umane creature. Io sento l’odore di enti che vivono. Disdice a me l’appressarmi a coloro a cui sarei senz’altro di pregiudizio; non che averne alcun pro, ne toccherei invece qualche ingiuriosa parola. Già già il [p. 299 modifica]globo s’abbassa. Prudenza vuole ch’io mi ritiri. (Si allontana.)

I Viaggiatori aerei nello spazio.

Homunculus. Librati ancora una volta attorno a codesta fiammella orribile e spaventosa; giù nella valle, e fin dove l’occhio può spingersi, non s’intravvede che fantasmagoria.

Mefistofele. Io scopro, quasi a traverso di un antico finestrone, nella sozzura e delle macie, dalla parte del Nord, spettri d’una laidezza che non ha pari: e qui appunto come colaggiù mi trovo a meraviglia.

Homunculus. Osserva quell’alta fantasima che ne precede a gran passi!

Mefistofele. Diresti che le sa male di vederne trasvolare per aria.

Homunculus. Lasciala andar a sua posta! e tu vanne a posare il tuo cavaliere. Egli riavrà di tratto la vita cui va cercando nel regno della favola.

Fausto, toccato appena il terreno. Dov’è ella mai?

Homunculus. Noi nol ti sapremmo ben dire, ma potrai probabilmente informartene qui tu medesimo. Suvvia dunque, innanzi che aggiorni, va da una in altra fiammella a investigarne la traccia: nulla evvi d’impossibile per colui che potè arrischiarsi di penetrare appo le Madri.

Mefistofele. Ed io pure ho in capo il mio ruzzo; ciò non di meno il meglio sarebbe che ciascuno dal suo canto corresse qua e là tra’ fuochi in cerca [p. 300 modifica]della propria ventura. Di poi onde ci venga dato di riscontrarci, farà il nostro nano raggiare intorno il suo lanternino.

Homunculus. E questo fia lo splendore ed il suono che a suo tempo ne uscirà. (La guastada romoreggia e risplende.) Ora poi, all’erta! che stanno per succedere nuovi prodigi!

Fausto solo. Dov’è ella mai? — Ma adesso non occorre più che ti faccia a domandarne.... Se a te non l’additi la terra che l’ebbe sorretta, o l’onda che le si frangeva nel petto, fia che te la riveli al men l’aria che portava intorno le sue parole. Qui! per forza d’incanto, qui, sul bel suolo di Grecia! conobbi tantosto qual regione io premeva. Non prima, dormendo, m’ebbe dianzi uno Spirito infiammato, che sentii repentinamente suscitarsi in me la vigoria di un Anteo; e quando pure avessi ad imbattermi nel più strano viluppo di rischiosi eventi, vorrei ad ogni modo con passo franco e solenne perlustrare d’alto in basso e da un canto all’altro questo labirinto di fiamme. (S’allontana.)

Mefistofele, aggirandosi qua e là. Per vagare ch’io faccia in giro a codeste fiammelle, più e più mi trovo sviato, e come a dire fuor di paese. Di gente ignuda v’ha per ogni dove a ribocco, e raro è che trovi alcuno incamiciato. — Le Sfingi immodeste, svergognati i Grifoni; e quanti e quanti che, schiomati e senz’ale, ti si dànno potentemente a vedere per davanti e per di dietro.... È ben vero, che noi siamo razza di gente oscena e laida sino al midollo, ma l’antichità mostrasi, a parer mio, corriva e ardita un po’ troppo; e saria ben fatto [p. 301 modifica]dell’uso moderno sommetterla, e acconciarle dattorno delle vestimenta, giusta le fogge diverse.... Fastidiosa turba la è questa, per mia fè! non dee per altro lasciare il nuovo venuto di salutarli con garbo.... Buon dì, leggiadre femmine! e a le pure buon dì, assennato grigione!2

Un Grifone crocidando.3 Grigioni no! ma Grifoni! Nessuno gode ch’altri per grigio lo appelli. Le voci al postutto ci fanno sempre sentire la loro derivazione. Grigio, gretto, grossolano, grinzo, che hanno certa consonanza etimologica, discordano per noi in tutto e per tutto.

Mefistofele. Eppure, senza uscire del soggetto, grifagno non suona male all’onorevole titolo di grifone.

Il Grifone, seguendo a crocidare, e così sino alla [p. 302 modifica]fine. Ciò è innegabile! Il parentado fu riconosciuto abbastanza; e se talora se n’ebbe alcun biasimo nè io vo’ negarlo il più delle volte ne uscimmo lodati e applauditi. Purchè l’ugna e il grifo servano ad artigliare leggiadre fanciulle, oro e corone, sorride al grifagno sempre mai la fortuna.

Una Formica di razza colossale.4 Voi parlate d’oro; e noi n’avevamo raccolto in gran copia, e intanatolo nelle più nascoste latebre delle rupi e delle caverne: la razza degli Arimaspi n’ha scoverta la pèsta. Vedete laggiù come sghignazzano dell’essere riusciti a portarcelo via!

I Grifoni. Fa d’uopo trarneli a confessare la birbonata.

Gli Arimaspi.5 È da credere che nol si farà nel pieno della festa notturna. Da qui a domani tutto fia messo al coperto; e questa fiata le cose procederanno a meraviglia.

Mefistofele, ponendosi dalla parte delle Sfingi. Assai presto, e di buona voglia mi sono acconciato qui, dacchè almeno intendo quello che vi si dice.

Una Sfinge. Noi mandiamo fuori le nostre voci [p. 303 modifica]di Spirito, e voi poscia date loro un suono sensibile. Rivelaci ora chi sei, intanto che stiamo in attesa di meglio conoscerli.

Mefistofele. I nomi ond’altri giudicò di contraddistinguermi son molti e molti. Sarebbevi per avventura tra voi alcun Inglese? Costoro spendono per lo più assai tempo ne’ viaggi ad esplorare i campi di battaglia, le cascate, i muri cadenti, le pittoresche classiche antichità! E qui lo scopo sarebbe degno di loro; da poi che potrebbero non meno testificare d’avermi visto figurare laggiù ne gli spettacoli andati in disuso sotto il nome di Old Iniquity.6

La Sfinge. Come mai poteron essi giungere a tanto?

Mefistofele. Non valgo io stesso a indovinarlo.

La Sfinge. E mel credo! Hai tu forse conoscenza alcuna delle stelle? Che sapresti tu dirmi sull’istante che passa? [p. 304 modifica]

Mefistofele, portando lo sguardo in alto. La stella vola dietro la stella; il disco lunare, abbenchè scemo, manda chiari i suoi raggi; ed io da questo buon luogo mi godo mille mondi, e vo scaldandomi col tuo vello lionino. Inescusabile fallo certo io farei ove me ne sviassi per inerpicarmi troppo in su. Bando agli enimmi, e sii paga di sole sciarade.

La Sfinge. Non hai che a proporre te medesimo; e fia già questo, per mia fè, un bello enimma. Ingègnati a buon conto di chiarire per punto quale tu sei: «Utile così al buono come al tristo, un bersaglio pel primo dove lancia stoccate a furia nelle sue contemplazioni ascetiche, e pel secondo un compare di follie, per tolti poi lo zimbello della divinità.»

Primo Grifone crocidando. Costui non mi va.

Secondo Grifone, crocidando più forte. Che pretend’egli costui?

Tutte due insieme. Quel vile marrano non ha qui punto che fare.

Mefistofele, con impeto di rabbia. Stimate voi forse che le ugne del nuovo commensale non sappiano scorticare come e quanto i vostri aguzzi artigli? Su! facciamone lo sperimento!

La Sfinge, con dolcezza. Puoi rimanere, se ti aggrada, ma non andrà molto che sarai tu stesso ansioso di ritrarti da noi. Tu stai a bell’agio nel tuo paese, ma a volere star qui, provi, s’io non erro, non poco fastidio.

Mefistofele. Osservata dall’alto, hai tal cera che fa inuzzolire: come poi miro al basso, la bestia mi desta orrore e spavento. [p. 305 modifica]

La Sfinge. Ipocrita! tu vieni qua in tua malora; chè le nostre zampe sono sane e gagliarde, e la tua unghia fessa e dura non si confà punto punto con noi. (Le Sirene fanno udire da alto soavi armonie.)

Mefistofele. Che uccelli sono questi svolazzanti fra’ rami de’ pioppi, dalla parte del fiume?

La Sfinge. Tienti sulle guardie, miserabile! Le canzoni che odi, ebbero già presi al laccio i più valorosi.

Le Sirene. Oh! perchè obblivïose

       Posarsi in seno a tante
       Meraviglie schifose?
       Queste voci amorose
       Ascoltar non vi gravi,
       E questi sì soavi
       Vi dilettino almeno
   Teneri accordi di che l’aere è pieno.
 Ed ecco già sen viene
 Il coro delle armoniche Sirene.

Le Sfingi, deridendole coll’istessa melodia:

         A forza le cacciate
       Del giorno al vivo lume!
       E quali e’ sian mirate.
       In fra’ rami celate
       Hanno le adunche, orrende
       Ugne, e ciascuna intende
 Lo sguardo, e a farvi in brani s’apparecchia
 Se a’ lor canti d’amor porgete orecchia.

Le Sirene. Onta allo sdegno! — sprezzo al livore!

    D’apre serene — facciam tesoro;
    Tra bei diletti — quanti ne foro
    Di sotto al cielo — godiamci l’ore!

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      Che in terra, e sovra — l’onde spomose
    Non altro d’ogni — parte si miri
    Che il mover libero — di grazïose
    Forme che déstino — plausi e desiri!

Mefistofele. Oh! vedi come le sono gaie codeste novelle invenzioni: un suono di laringe o di corda che s’incontri oscillando con altri suoni. Il balletto grottesco non fa per altro in me breccia alcuna; tutt’al più mi titilla un pocolino gli orecchi, ma non va sino al cuore.

Le Sfingi. Che vai tu parlando di cuore? In verità che una vescica di cuoio aggrinzato si confarebbe meglio al tuo grifo.

Fausto inoltrandosi. Oh meraviglia! Lo spettacolo mi riesce a seconda; in ciò ch’evvi di ributtante, fattezze grandi e sentite! io ho bene di che ripromettermi un destino prospero e felice. Or dove mai mi trasporta questo colpo d’occhio magnifico e sublime? (Additando le Sfingi) Dinanzi a costoro trovossi un giorno Edipo; (segna le Sirene) in faccia a quelle fu Ulisse veduto contorcersi avvinto da forte canape; (mostra le Formiche) la razza loro seppe già accumulare i più rari tesori; (accenna i Grifoni) furono i lor pari non poco abili a custodirli con fedeltà e scevri da rimproccio. Già sentomi compreso da spirito maschio ed ardito. Oh! grandi sembianze! Oh! memorie oltre ogni dire famose!

Mefistofele. In altro tempo ti sarieno venute meno in bocca le imprecazioni cui avresti voluto lanciare contra cosiffatta genia; ed oggi vi ti acconci benone. La va pe’ suoi piedi; quando vassi in cerca dell’innamorata, gl’istessi mostri ne hanno il benvenuto. [p. 307 modifica]

Fausto alle Sfingi. O voi, forme di donna, rispondetemi: avvi per avventura alcuna che visto abbia Elena?

Le Sfingi. Non già, che nessuna è del suo tempo; qual è ultima fra noi venne da Ercole uccisa. Potresti domandarne a Chirone; va esso attorno galoppando per questa notte di fantasimi: se in grazia tua s’induce a sostare un tratto, fa conto d’essere servito.

Le Sirene. Nè ciò può mancarti.... Quando ebbe Ulisse a soprastare alcun poco in mezzo a noi, si fe a raccontarne assai cose: noi non potremo ogni cosa ridirti, finché persisti a vagare dalla parte dove s’appiana il mar verdeggiante.

La Sfinge. Uom generoso, sta saldo alle loro seduzioni: e il saggio nostro avviso siati in vece di que’ legami da cui andò Ulisse costretto. Ti replico, che dove ti riesca di abbatterti nell’eccelso Chirone, quanto prometteva ti fia manifesto. (Fausto s’allontana.)

Mefistofele, con dispetto. Che animali son questi, che starnazzando continuo, mai non restano di crocidare, e svolano sì ratto che non pur l’occhio può tenervi dietro, così in lunga fila l’un dopo l’altro? Darebbon essi che fare al più destro cacciatore.

La Sfinge. Pari all’uragano invernale, a malapena sarien colte dalle frecce d’Alcide: son esse le veloci Stinfalidi;7 il loro adoperarsi è per bene. Col [p. 308 modifica]becco d’avoltoio e colle zampe d’oca hanno la sma nia di spacciarsi per nostre parenti, e di farsi scorgere in mezzo a noi.

Mefistofele compreso di tema. Ben altri sibili partono di colaggiù sotto al fogliame.

La Sfinge. Non t’impaurire per questo; son esse le teste del Serpente di Lerna, che, separate dal tronco, stimansi tuttavia di valere qualche cosa. Ma dite, in grazia, che progetti sono i vostri? A che quelle mosse irrequiete e minacciose? Ove mai fate conto di recarvi? Via di qua! Or ben veggio lo stormo che, lontano ancora, vi fa nel torcere il collo, strillare cotanto. Non siate troppo schifiltoso e restio, ma traetevi all’incontro a complimentare que’ begli e graziosi visini. Son esse le Lamie, libidinose, sorridenti, sfrontate, che tanto piacciono ai Satiri: un piè caprigno può darvi dentro senza ritegno.

Mefistofele. Ma voi frattanto, vi starete voi qui? Fate ch’io vi trovi quando sia di ritorno.

La Sfinge. Mi troverai, senza fallo! Or va, li frapponi allo sciame vagabondo. Noi, venute dall’Egitto siam use da gran pezza a vedere ciascuna della nostra razza starsene quivi ritto per secoli e secoli; e dove abbiasi ancora un po’ di riverenza alle nostre sedi, continueremo a regolare il corso delle ore notturne e diurne; sedute in faccia alle Piramidi, per soprantendere ai popoli, alle innondazioni, alle guerre, alle paci; immobili adesso come sempre.



Note

  1. La notte di Valburga che abbiamo veduto scorrere sulle alture del Brocken, ha luogo questa volta sulla terra della Grecia, e di romantica in classica si tramuta. Per tal modo il concetto di Goethe avrà intero lo sviluppo. Il lettore non lascerà certo di ravvicinare i due quadri, e diraffrontarli accuratamente con interesse e curiosità. La stregoneria del medio evo è ben lungi dall’abbracciare tutti gli apparati fantastici possibili. Il classico altresì ha il suo romanticismo, le sue mostruose creazioni, i suoi schizzi informi e grotteschi: Sfingi, Cabiri, Dattili, Arimaspi, Lamie, le cui ombre e larve saprà Goethe evocare a popolarne la tregenda della sua seconda notte di Valburga. Codesta scena avrà per teatro i campi di Farsaglia, e le coste del mare Egeo, la Tessaglia a tramontana; la Tessaglia, ove nacquero Ecate ed Eritto, la Boemia dell’antica Grecia. Per verità, l’aspetto di tali ospiti bizzarri dovrà a prima giunta indispettire alcun poco i nostri pellegrini; segnatamente Mefistofele non saprà accomodarvisi. Intanto che Fausto, immerso tutto quanto nella nuova passione che lo trascina, sente crescere a mille doppi lo stupore e l’entusiasmo per cotal mondo di cui ben comprende la calma e l’ideale, Mefistofele da canto suo gusterà assai poco la fantasmagoria. Straniero ad ogni intellettuale specolazione, preoccupato solo dalla forma palpabile, comincierà col non poter rendere a sè medesimo ragione di nulla, e la calma avrà per freddezza, il nudo per indecenza; e chiederà il perchè sieno scamiciate le Sfingi: tanto il povero diavolo sarà lontano dalle sue Streghe, e da quelle sue tregende dal piè caprigno! L’unghia forcuta di che fea sì gran vanto sul Brocken, dovrà qui teperla con somma arte nascosta a fine di capsare le beffe e i motteggi. L’antichità è una certa aristocrazia colla quale non è sì facile il bazzicare, e le Sfingi, nella immobile loro rigidezza e nella loro impassibile alterigia, non lasceranno di sconcertare, sulle prime, il Sacripante del Brocken. Le persone di spirito hanno l’istinto del momento; ed egli vi si auserà poco alla volta, fino a che il vecchio diavolo, se pure in tutto non riavrà la sfacciata sua imprudenza, darà almeno alcun indizio dell’umor suo ostico e beffardo. E noi vedremlo affettare il carattere di sputa sentenze, e darla ad ogni poco in proverbi; meno cinico nel favellare, più contegnoso nel tratto, e dominato fino a un certo segno dalla influenza di codesti luoghi maestosi: in una parola, ci si presenterà sotto un aspetto interamente nuovo. Il pensiero di strappare Mefistofele alla ignobile cerchia nella quale il vedemmo prima d’ora aggirarsi confuso colla vile plebaglia, per immergerlo fino a gola della classica mitologia, ci pare uno de’ più grandiosi che possano entrare in mente d’uomo. Il diavolo della leggenda che va errando, fuor di patria, in codesta notte riboccante di fantasime dell’antichità, che interroga quanto incontra, colla voce, colla mano, cogli occhi, Mefistofele che appoggia il capo sull’omero della Sfinge, qual viva immaginazione! quale stupendo quadro!
  2. La gentilezza affettata con cui Mefistofele volgesi al crocchio, lascia travedere che il vecchio diavolo non è poi così certo della buona riuscita. Buon dì, leggiadre femmine! (le Sfingi hanno capo e seno di donzella, il resto di lione alato che mostra la coda di un drago): buon dì, assennati vecchioni! tali chiama i Grifoni, senza fallo per l’antica origine loro: ma questi son puntigliosi sopra il fatto dell’età, e il corifeo, crocidando come gli uccelli cui s’insegna a parlare, rimbecca lo scipito complimento del povero intruso.
  3. Il Grifone è, come la Sfinge, una misteriosa invenzione del misterioso Oriente. La Sfinge, ce lo dirà essa fra non molto, vien dall’Egitto; il Grifone dall’India. Quest’ultimo venne introdotto nella terra classica coi tappeti della Persia dov’era effigiato a guisa di ornamento e rabesco: di che la greca fantasia, pronta nel dar vita a checchessia, tenne per verace creatura un abbozzo bizzarro dell’orientale romanticismo. Porta il Grifone corpo, zampe e branche di lione, testa e vanni di aquila, orecchi di cavallo, piume in sul collo invece di chioma, e il dorso di piume converto. Se merta fede Eliano, nera è la piuma sul dorso, rossa quella del petto, quella dell’ale, bianchiccia. Il Grifone ha scintillante lo sguardo. Nel suo covo di schietto oro, è deposta un’agata; gli son dati in custodia i tesori delle montagne e i suoi pulcini contro gli assalti ripara dell’uomo che va in cerca dell’oro.
  4. Le formiche sono il simbolo dell’attività laboriosa; nascondono esse entro a’ crepacci della terra quanto riesce loro di trovare; e però hanno assai rapporti d’interessi co’ grifoni. Può darsi altresì che abbia Goethe voluto richiamarci alla mente in questa scena parte assegnata alle formiche nell’antica mitologia. Una donzella che avea nome Mirmex vien trasformata da Minerva in formica; Giove per contrario cangia le formiche in uomini a ripopolare l’isola di Egina, devastata dalla peste: di là i Mirmidoni. (Virg., Eneide, lib. IV, v. 402.)
  5. Gli Arimaspi, razza favolosa, che si confonde spesso co’ Ciclopi a cagione della gigantesca loro statura. Abitano nella Scizia al settentrione del Mar Nero, o secondo altri ne’ monti Rifei.
  6. Alludesi a certi Misteri che si rappresentavano nel tempo del carnovale in Inghilterra, al tempo della Riforma, de’ quali un personaggio ridicolo, un pagliaccio, o come a dire Arlecchino, si schermisce contro il diavolo che sotto l’appellativo di Old Iniquity pativa mali trattamenti e villanie d’ogni fatta, di che la gente faceva le più crasse risa del mondo. Mefistofele pare che tema qui un consimile trattamento. Del resto, questa scena è da capo a fondo improntata d’un’originalità tutta sua. Un vecchio diavolo ciarliero, che in tuono beffardo fassi a consultare gl’immobili rappresentanti della immobilità orientale, codesto Edipo dall’unghia fessa, che ti muove a riso, che favella di sciarude alle Sfingi; poscia, di tratto, nel forte della più affettata ironia, per un batter di vanni, per lo stormire delle foglie, va fuor di cervello, e tutto s’impaura — egli, fratello carnale della vipera — al sibilo del serpente di Lerna; scorgesi in tutto ciò un tal misto di naturale e d’immaginario, di dabbenaggine e di sublimità; un cosiffatto sentimento comico in mezzo all’epopea, di cui non troveresti alcuna traccia presso qualsivoglia scrittore.
  7. Le Stinfalidi, augelli mostruosi del lago Stinfale, in Arcadia. Aveano le ali, la testa e ’l becco di ferro, e le ugne estremamente uncinate: combattevano per falangi, e nel calor della mischia, strappandosi di dosso le proprie penne, lanciavanle a guisa di strali contro il nemico. Ercole trovò il mezzo di snidarle e disperderle, spaventandole prima con una specie di timballo di bronzo fornitogli da Minerva, e uccidendole poscia tutte quanto a colpi di frecce.