Favole (Fedro)/Libro terzo/Prologo (Ad Eutico)

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Libro terzo: Prologo (Ad Eutico)

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Fedro - Favole (I secolo)
Traduzione dal latino di Giovanni Grisostomo Trombelli (1797)
Libro terzo: Prologo (Ad Eutico)
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PROLOGO

AD EUTICO.

SE legger brami, Eutico, i libri miei,
     Ogni cura allontana, onde a la sciolta
     Mente de’ versi la forza pervenga.
     Ma il tuo ingegno non merta, a me rispondi,
     5Ch’un sol momento al mio dover si rubi.
     Dunque fia me’, che ciò tua man non tocchi,
     Che ad occupate orecchie mal s’adatta.
     Ma tu fosse dirai: verran le Ferie,
     Ove a gli studj da gli affari io rieda.

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     10Fia dunque allor che tu a mie baje attenda,
     Quando te da gli affari a se richiami
     E moglie a casa, e amici; e il corpo stanco,
     E la mente da mille cure oppressa
     Giusto sollievo, e brieve ozio richiegga;
     15Da cui più franco al primo oprar ritorni?
     Altro impiego deh prendi, altri costumi,
     Se de le Muse a’ liminari aspiri.
     Io che pur nacqui su l’Aonio giogo,
     U’ diè a la luce l’alma Dea Memnosine
     20Di nove figlie il nobil Coro a Giove,
     E chiara lode ottenni da tai studj,
     Ove i natali in certa guisa io trassi;
     Io cui brama d’aver unqua non prese,
     Ne la sacra famiglia a stento, e appena,
     25Mi veggio ammesso. E che avverrà a colui,
     Che purchè a l’oro altro nuovo oro aggiunga,
     Cui più del letterario acquisto apprezza,
     Nulla cura il vegliar le notti intere?
     Ma comunque sia questo, come a Priamo
     30Disse Sinon, condotto a lui davanti,
     Il terzo Libro de le mie Novelle,
     Ove Esopo a seguir industre impresi,
     Al merto ed onor tuo scrivo, e consagro,
     Mel recherò, se il leggi, a gran ventura!
     35Se no, diletto i posteri n’avranno.
     Or brievemente qual’origin trasse

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     La Favola dirò. Per iscoprire
     Ciò che in palese un servo non ardìo,
     (Sì di sua sorte il fan cauto i perigli)
     40I sensi suoi in favole rivolse,
     E al livor con novelle si sottrasse.
     Il varco aprimmi Esopo; io dietro a lui
     Più di ciò ch’egli scrisse, inventar seppi,
     Da cui la parte scegliere mi piacque,
     45Che sembrommi più acconcia a mia sventura.
     Se il testimon, l’accusator, il giudice
     Non fosse un sol Sejano, io mi direi
     Dal mal che soffro, giustamente oppresso,
     Nè di cotal conforto in cerca andrei.
     50Che se taluno il suo sospetto inganni,
     E a se ciò tragga, ove il comune io purgo,
     Porrà lo stolto in chiaro i suoi rimorsi.
     Ma costui pur vo’ che mia scusa ascolti.
     Nessun addito. Il pubblico costume
     55Io sol disvelo. È malagevol l’opra;
     Ma se Anacarsi Scita, o il Frigio Esopo,
     Eterna fama con l’ingegno loro
     Acquistaro; io che nacqui a’ dotti Greci
     Più vicin, lascerò che neghittoso
     60Sonno a’ miei Traci un giusto onor rapisca?
     Nè il primo già sarò, cui vantin essi
     Fra’ dotti spirti; ebbero un Lin d’Apollo,
     Ed Orfeo de le Muse illustri germi.

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     Costui le pietre al dolce canto trasse,
     65Placò le fiere, e l’Ebro altier rattenne.
     Dunque sen parta Invidia: ella in van piagne.
     Di chiara lode è degno il mio lavoro.
          * Alfin t’ho indotto a leggere. Un sincero
     Dal tuo noto candor giudicio attendo.