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Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 32

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N. 32 - 7 agosto 1842

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GAZZETTA MUSICALE

N. 32

DOMENICA
7 Agosto 1842.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.


STUDJ BIOGRAFICI. GIOVAlVSil PAISIEI.I.© (f). Pregi del suo stile; carattere delle sue varie composizioni. Sommo [nella musica;seriu drammatica, nella sacra, e nella buffa. Giudizio di mi critico francese; studii e-eollur* letteraria di Paisicilo. Computo delle sue composizioni. Iti Itene attentamente esamini lo -.jj^stile drammatico di Paisiello e Io ^SCbconfronti a quello di Guglielmi Èi’tt-T-’e di Cimarosa, i due più valo1 rosi suoi emuli, di leggeri ravvisa nel primo di questi un estro più vivo ed ardito maggiore originalità nell’autore del Matrimonio; e nondimeno si l’uno che l’altro la cedono a Paisiello nell’espressimi passionata e nell’arte di profittare con industria economica dei pensieri che la nobile sua fantasia gli veniva forse parcamente somministrando. Per quel che è dell’alFetto e della animata verità nel canto e nelle modulazioni sono superiori ad ogni lode le sue arie, e massime le noti poche ove è dipinto l’amore o si riflette un animo in istato di esaltata tenerezza. E in tal genere famoso il duetto dell’Olimpiade, il quale può in vero addursi a modello per la calda e sentita passione che domina dalla prima battuta all’ultima. L’intera opera la Nina è sparsa di una così soave tinta di melanconia che forse produrrebbe sull’animo dello spettatore una impressione quasi dolorosa se a svaneggiare questo sì evidente colorito di tristezza non fossero interpolati qua e là, con molta sagacia, alcuni pezzi d’un genere più tranquillo e famigliare, destinato ad offrire dei necessarii punti di riposo. Nella Molinara, nei Zingari in fiera abbondano le melodie delicate e soavi ond’era distinta la maniera di Paisiello. Quella specie di geniale semplicità che alcuni critici chiamano antica, ma che dovrebbe essere di lutti i tempi, come la più pura fonte del vero bello nelle arti imitative, era la sua guida più favorita, e nondimeno una singolare moltiplicità di piacevolissimi effetti ei sapeva trarne. A primo tratto la frequente ripetizione delle medesime frasi che troppo facilmente si nota nelle sue composizioni farebbe supporre in lui una tal quale povertà di idee, ma tosto è rilevata la iìnezza d artifizio colla quale a bell’apposta i medesimi più felici concetti sono più volte richiamati nel musicale discorso onde improntarlo di un bel (I) Vedi i fogli 24, 25 e 29 carattere di unità. E s’aggiunga che il ripetersi del medesimo motivo già proposto è preparato di solito nello stile di Paisiello con tanta maestria, che invece di scemare ne va crescendo di molto l’effetto, accoppiandosi al piacere di una ripetuta impressione gradevole quello non meno vivo della sorpresa per una cara rimembranza ridestata quando men la si aspettava. Questo artifizio di composizione, tutto caratteristico dei maestri della pura scuola paisielliana, ha il suo tipo più mirabile nel famoso settimino del Re Teodoro, ove il motivo medesimo è richiamato più volte con tal garbo e magistero che ad ogni ripetizione, pare acquistar novità c forza d’effetto. Suolsi dire dai dotti musicali che nelle Opere buffe di Paisiello vi ha maggiore eleganza e grazia nelle forme che non vero estro comico; e nondimeno l’ispirazione burlesca, quel fare lutto napoletano che rese tanto popolari i compositori di questa scuola, è recata al miglior punto nel quintetto della Cuffiara, nel finale del pri—

mo atto dell’Idolo Cinese, e nel duetto dei

servitori di Bartolo, nel second’atto del Rarbiere di Siviglia. «Al presente i nostri giovani maestri, dice il sig. Fétis, disprezzano questa musica senza conoscerla, al modo stesso che alcuni letterati si sforzarono a screditare Bacine e Voltaire senza averli studialo; ma se si prestassero ad udire alcuni pezzi della Nina, della Molinara, dell’Olimpiade e del Re Teodoro, e li udissero senza prevenzione e senza pregiudizi! di scuola e di tempo, subitamente muterebbero d’opinione». Il lamento del critico francese è giustissimo, e vorrebbe essere applicato con molta maggiore severità ai tanli nostri giovani maestri, la maggior parte de quali hanno il coraggio d’accingersi a scrivere pel teatro e a musicare soggetti drammatici i più difficili senza essersi mai dato il pensiero di studiare i capolavori dei grandi illustratori della vecchia scuola italiana, credono poter supplire alla mancanza di intellettuali esercizi coll’accumulare nei loro meschini spartiti tutte le così dette risorse di teatro, imitando alla beffe meglio, ora il fare patetico di Bellini, ora il brillante colorito e la varietà di effetti stromentali del grande Rossini e del felice suo discepolo Donizetti, ora le armoniche combinazioni di Mercadante, non producendo mai nulla che abbia impronta di semplicità e di originalità, ma regalandoci ad ogni tratto di sbiaditi centoni imperfettamente raccozzati. Se non che di questa mancanza assoluta di buoni e profittevoli studii sui sommi modelli non sono tanto da condannare i nostri giovani compositori, quanto quel fatale destino che al tempo nostro proscrive dal teatro lirico italiano gli spartiti de’ vecchi maestri, e lo condanna alla monotona ed incessante riproduzione di una dozzina di Opere della giornata più o meno clamorosamente e meritamente favorite dal volo di qualche teatro così detto di cartello. Ma il ripetiamo: finché nella nostra Ilalia le sorti della musica drammatica saranno nelle inani dell impresariìsmo, cui sola mira è il guadagno, sia pure a prezzo della futura rovina dell’arte, essa non potrà mai avviarsi sul buon sentiero e procedere con felici sforzi alla vera sua emancipazione dal monopolio della mediocrità e dal pedantismo dell’ignoranza presuntuosa. Ci si perdoni questa digressione che a miglior momento richiameremo quale tema di più sviluppato e acconcio ragionamento. Òr tornando a Paisiello, osserveremo che la sua maniera è semplice senza mancar di eleganza, è corretta senza affettazione di purismo pedantesco. I suoi accompagnamenti, avuto riguardo al tempo nel quale egli scriveva, erano stimati pieni di brio e potrebbero spesso proporsi a modello anche a molli compositori attuali, non foss’altro, all’uopo di persuaderli che v’ha mezzo di trarre effetto dagli acuti dell’orchestra pel miglior colorito delle [tarli e per la piccante varietà della composizione, senza mettere in orgasmo lo stromentale, e tormentare con lambiccali intrecci i diversi elementi di questo. - E qui ne cade in acconcio osservare per incidenza col già citato autore della vita di Paisiello,data nella Biografia Universale, essere stato questo gran compositore il primo a introdurre nelle orchestre di Napoli la viola, non che i clarinetti ed i fagotti obbligati. Quest’atto di innovazione, che a que’ tempi dovette sembrare sufficientemente audace, parrà forse poca cosa ai lettori di questo foglio avvezzi ad udire spesso nelle nostre orchestre, non solo tutti gli stromenli da fiato posti di continuo a contribuzione di fatica e il più delle volte senza ombra di discernimento e di buon gusto, ma anche le trombe e i timballi ai quali udiamo talvolta affidarsi la proposta delle più soavi cantilene e l’accompagnamento fiorito delle cavatine e delle romanze! Paisiello si addimostrò fecondo, passionato, elegantissimo e correttissimo scrittore non solo nell’Opera buffa enei melodramma serio, come già dimostrammo, ma si anche nelle musiche da Chiesa. Sono [p. 142 modifica]tra queste veri capolavori di stile e di ispirazione. Gli Oratorj, la Passione ed il Natale, ed il mottetto Judicabit in nationibus non clic il suo Miserare, ponno addursi a modelli di quel genere di musica nel quale la severità del colorito e il predominio delle idee cupe e affettuose ad un tempo imprimono un carattere sì grave che per nulla può confondersi col fare tragico del teatro che deve svegliare ben diversi sentimenti. «In un suo sublime motti tetto, (dice Lesueur parlando di Paisiello) «nel quale è dipinta la grandezza di Dio, «sembra che innalzato ei siasi sopra sè stesti so. Udendo i pittoreschi e terribili tratti «di quella musica imitativa per eccellenza «e sì bene appropriata alle parole sacre alle «quali essa dà anima, l’empio crederebbe di udire il movere formidabile del suo giu«dice, il fragore del suo carro di fuoco e «la irrevocabile sua sentenza. Succedono alti l’improvviso una musica brillante e de’cori «aerei. In tale momento i canti di Paisiello tt degni della voce del profeta predicono «l’invio dello spirito creatore, la terra rin«novata e la beatitudine della vita futura.» Queste espressioni parranno di sovverchio enfatiche agli intelletti mediocri avvezzi a non giudicare del prodotto dell’arti che col povero sguardo dei sensi. Coloro al contrario, i quali, per la propria educazione e coltura hanno affinato lo spirito e sanno sentire quanto vi ha di eminentemente poetico nelle vere ispirazioni del genio artistico, sotto qualunque forma si offrano, non troveranno per certo nulla di esagerato o di pretenzioso nè in queste nè in altre simili frasi, in cui allo scrittore che sente con anima non volgare occorre spesso di dover esprimere la propria ammirazione con immagini elevate e poco meno che liriche. L’artista, sia egli pureo pittore, o musico, o drammaturgo, sentirà l’efficacia e si compiacerà al vivo di 1111 simile modo di tratteggiare le bellezze dei prodotti delle arti, in ragione della raffinatezza del proprio spirito ottenuta con fruttuose meditazioni estetiche e con serie e istruttive letture. Argomentiamo da questo della necessità di non limitare l’educazione dell’artista, che si destina a splendido avvenire, alla sola trattazione della parte tecnica dell’arte, ma sì di elevare il suo intelletto, avvigorire il suo spirito, allargare l’orizzonte delle sue idee con eletti studii letterarii. Paisiello era più che convinto di questa verità. Versato nelle lingue antiche, erudito nelle diverse letterature, amico di molti uomini illustri del suo tempo, amava assaissimo la conversazione e il carteggio di questi,. e tanto meglio se ne compiaceva quanto più poteva ritrarne istruzione e far tesoro di nuove nozioni e svariate idee. La fecondità di Paisiello, dice il signor Fètis, era prodigiosa; il numero delle sue composizioni era sì grande eli’ ei medesimo non lo conosceva esattamente. Interrogatone dal re di Napoli attualmente sul trono, rispose d’aver scritto circa cento Opere, ma se teneva conto degli intermezzi, farse, balli, cantate drammatiche, musiche da Chiesa, poteva giugnere a una altra centina. Egli soleva dividere in tre principali epoche la sua carriera teatrale. Nella prima si comprendono tutte le Opere da lui scritte prima della sua andata in Russia, nella seconda tutte le sue composizioni date dal suo giugnere in questo paese fino al ritorno a Napoli. Nell’ultima tutte le produzioni della sua penna, scritte dal 178o fino alla sua morte. E in fatto notevoli differenze di stile si osservano nelle sue Opere appartenenti a queste tre diverse epoche. Prima del suo viaggio in Russia Paisiello compose cinquantadue Opere per teatro, comprese però alcune cantate, nella penultima delle quali, che fu la Dis/alta dì Dai io. si udì per la prima volta un’aria in due tempi,’ cominciata cioè coll’adagio e terminata con un allegro. Quest’aria «Mentre ti lascio, ofiglia» cantata la prima volta dal tenore Ànsani, servì di modello alle mille e mille che poi si scrissero in due tempi, ben di rado per servire alla natura del punto drammatico e al movimento incalzante degli affetti, unica legge ubbidita da Paisiello in quel primo esempio di emancipazione all’usata forma, ma per lo più all’uopo di sottrarsi alla somma difficoltà di comporre un pezzo tessuto d’un sol movimento e variato nelle varie fasi dell’espressione drammatica, non tanto pel meccanismo del ritmo come per l’indole e il carattere diverso dei passi e delle modulazioni e transizioni. La prima Opera scritta da Paisiello in Russia fu la Setva padrona. Nel Pirro, opera decimanona, data a Pietroburgo, introdusse per la prima volta le Introduzioni e i finali nel genere serio, specie di composizioni concertate che per lo innanzi non erano ammesse che nelle Opere buffe, non essendosi ancora osato darvi posto nei melodrammi eroici, forse nell’opinione, a nostro credere, che ne’ pezzi di concerto si violasse di tanto la verosimiglianza drammatica che, se quel misto di voci contemporanee, quasi ridicolo a chi non vi sia avvezzo, poteasi tollerare nelle comiche rappresentazioni, diventar doveva più che assurdo e quindi distruggere l’effetto serio, nelle situazioni di risentito contrasto di passioni. - Gli esempi! posteriori addimostrarono la fallacia di questa opinione, se mai fu in forza di essa che fino dal tempo del Pirro di Paisiello i compositori si astennero dell’ammettere nelle Opere serie le introduzioni e i finali concertati. Ir1 Nina o la pazza per amore, settantesima sesta Opera di Paisiello, scritta da lui dopo il suo ritorno dalla Russia, allorachè cioè i suoi nemici facevano correr voce aver egli perduta la freschezza e la spontaneità del suo estro ne’freddi nebbioni del settentrione, comparve la prima volta sul piccolo teatro di Belvedere, reai residenza presso Napoli, indi venne riprodotta sulle scene di San Carlo coll’aggiunta del tanto lodato quartetto di questo spartito. Nella Giunone e Lucina, cantata drammatica scritta a Napoli, introdusse Paisiello la prima aria con cori che siasi prodotta in Italia. 11 totale delle Opere teatrali di Paisiello, comprese alcune cantale, ammonta a 94, e l’ultima in ordine cronologico furono i Pittagorici, da lui dati a Napoli. Diciotto composizioni sacre, e sei Raccolte di Opere stromentali o di insegnamento completano l’immenso corredo di partizioni dovute al fecondo e privilegialo suo genio. Parrà forse ad alcuni de’ nostri lettori che noi abbiamo di troppo allargato le proporzioni di questa biografia. Ma noi li preghiamo di averci per iscusati non solo della imperfezione ma ed anche della lunghezza del nostro lavoro, osservando essere appunto della natura di questo nostro Giornale l’occuparsi forse più sèriamente del passato dell’Arte che 11011 del presente, e questo per la gran ragione che molto più abbiamo noi da imparare dagli antichi che non da’ contemporanei. Eppoi al tempo nostro in cui i grandi compositori della vecchia scuola italiana sono avuti in sì poco conto, è bene che un foglio, dedicato al progresso della musica, si sforzi a richiamarne |nel dovuto onore la memoria. G. B. DELL’ISTROMENTAZIONE. ARTICOLO V. (Vedi i fofli i, 8, 10, 19, H, fi, 26 e 27/ Or veniamo a dire degli stromenti da fiato senza ancia, i quali sono i flagioletti e i flauti. Poco avrò a dire de’ primi, poiché ad onta del valore veramente singolare di alcuni suonatori, ad onta del piacere che un bene eseguito solo di flagiolelto può talvolta produrre, questo piccolo stromento non è mai stato adoperato da’maestri dell’arte, ed essi ragionevolmente filarino sbandito dalle loro orchestre. Però ne’ motivi di danza di genere brillante e gaio male non sarebbe usato; ma, per mio avviso, questa è la sola eccezione che si potesse fare in suo favore. 11 suo timbro ha un non so che di meschino e di comune che lo rende male alto ad ogni sorta di composizione di stile meno che pedestre ed umile; la sua estensione non passa le due ottave, e dalle ultime sue tre o quattro note acute infuori, la sua sonorità è debole e fiacca oltremodo. I flauti all’incontro sono pressoché indispensabili nella istromentazione, quantunque sieno sovente fatti figurare in quei pezzi dove meglio farebbero a tacersi. Essi insieme con una estensione di quasi tre ottave, hanno una mirabile ugualità che li rende sì acconci ai rapidi tratti diatonici o cromatici, che agli arpeggi. La loro sonorità nelle note mezzane è dolce, penetrante nell’acuto, ed espressiva nel grave. II timbro delle note mezzane ed acute 11011 ha speciale espressione decisa. Può questo stromento adoperarsi per melodie e per accenti di vario genere, ma non potrà mai raggiugnere la nativa gaiezza dell’oboe o la nobile morbidezza del clarino. Egli si direbbe adunque che il flauto fosse uno stromento pressoché sfornito di qualità espressive, e da potersi impunemente mettere in opera in tutto e per tutto per cagione della sua pieghevolezza ad eseguire i gruppi di rapide note, ed a sostenere gli acuti suoni utili all’orchestra per complemento dell’armonia. Questa è la verità, generalmente parlando; però, dando attento orecchio, si ravvisa nel flauto una espressione sua propria. ed una attitudine a rendere certi sentimenti non propria cl’alcun altro stromento. Se trattasi a cagion d’esempio di dare a un canto mesto un accento di desolazione, ma che debba tornare nel medesimo tempo umile e rassegnato, i suoni mezzani e deboli del flauto, specialmente ne’ tuoni di do minore e di re minore, produrranno certamente l’effetto desiderabile. U11 solo maestro mi pare aver O tratto convenevol partito da questa debole maniera di colorito: ed è Gluck. Ascoltando l’aria pantomimica in re minore che egli ha introdotto nella scena de’ Campi Elisii [p. 143 modifica]dell’Oifèo, si vede di per sè die un flauto solamente poteva filine sentire il canto. Un oboe sarebbe stato troppo stridente, nè la sua voce sarebbe stata abbastanza pura: troppo grave è il corno inglese: un clarino sarebbe meglio convenuto, ma alcuni suoni troppo sarebbono riescili forti, e nessuna delle sue più dolci note avrebbe potuto essere temperata e ridotta alla debole sonorità, tranquilla e velata, del/a naturale mezzano e del primo si bemolle oltre le righe che tanto di tristezza danno al flauto in questo tuono di re minore, nel quale spesso queste due note sono impiegate. Finalmente nè il violino, nè la viola, nè il violoncello o in solo trattati o in complesso adoperati, sarebbero acconci all’espressione di quel gemito più che sublime d un’ombra che disperatamente geme e sospira: e precisamente vi conveniva solo l’istromento scelto dall’autore. E la melodia di Gluck è concepita in modo che il flauto si presta a tutti i movimenti agitali di questo eterno dolore, ancora non ispoglio dell accento di passione della vita mortale. La è in prima una voce appena percettibile che si direbbe temere di essere ascoltata; poscia ella debolmente geme, si leva all’accento della rampogna, a quello del profondo dolore, al grido d un cuore straziato da crudeli ferite, e ripiomba a poco a poco nel pianto, nel gemito, nel tristo ululato d un anima rassegnata... Qual poeta è egli Gluck!... Un effetto Lello per dolcezza è quello di due flauti che nelle loro mezzane note spieghino un andamento per terze, in mi bemolle o in la bemolle, tuoni ottimamente favorevoli all’opacità de’ suoni di questo stromento. Belli esempli se ne trovano nel coro de’sacerdoti nel primo atto dell’Edipo: O voi, cui Vinnocenza,• e nella cavatina del duetto della Veslale di Spontini: Avran gii Dei pietà! Le note si bemolle, la bemolle, sol fa e mi bemolle de’flauti hanno, così aggruppate, un certo che della sonorità dell’armonica. Le terze degli oboe, dei corni inglesi o de’ clarini, non v hanno che far punto. I suoni gravi dei flauto sono poco o male impiegati dalla più parte de’ compositori; Weber in molti passaggi del Freyschutz, e prima di lui, Gluck nella marcia religiosa dell’Alceste, hanno nondimeno mostrato tutto ciò che può aspettarsene nelle armonie piene di gravità e di solennità. Queste note basse, come ho detto, si affanno ottimamente e si accoppiano bene co’ suoni gravi del corno inglese e del clarino; esse danno un effetto di dolcezza insieme e di mestizia. In generale i maestri moderni troppo costantemente scrivono i flauti in acuto; essi mostrano un cotal timore che abbastanza non abbiano a distinguersi oltre la massa dell’orchestra. Ne resulta che essi predominano invece di fondersi nell’insieme, e 1 istromentazione diviene stridula e dura piuttosto che sonora ed armoniosa. I flauti hanno una famiglia del pari che gli oboe e i clarini, e del pari numerosa. Il flauto grande, del quale abbiamo testé ragionato, è il più usitato. Per le orchestre ordinarie si scrivono comunemente due sole parti di flauto; sarebbero di buono effetto sovente gli accordi tenuti da tre flauti. Si ha una gradevole sonorità dall" accoppiamento d un flauto solo in acuto, con quattro violini, tenenti un’armonia acuta a cinque parti. Quantunque ragionevole sia l’uso di assegnare sempre al primo flauto le più alte note dell’armonia, v’hanno però molte occasioni di fare con successo il contrario. Il piccolo flauto (ottavino) non ha note j decise che a partire dal re di mezzo salendo, ] e torna quasi inutile scrivere le note dell’ottava inferiore, poiché a pena si potrebbono sentire, non avendo il loro timbro qualità particolare nessuna. Meglio è supplirvi con suoni che a quelle corrispondano nella seconda ottava del flauto grande. Oggidì stranamente s’abusa degli ottavini, come ancora di tutti gli strumenti di vibrazione penetrante e potente. In pezzi di giojoso carattere, i suoni della seconda ottava possono essere ottimamente adoperati, le note superiori mi, fa, sol. la. si bemolle sono nel fortissimo eccellenti per gli effetti violenti, in un temporale per esempio, od in una scena di carattere feroce e infernale. Però l’ottavino ottimamente spicca nel quarto pezzo della Sinfonia pastorale di Beethoven, così solo e.scoperto sopra un tremolo grave delle viole e de’bassi, imitando il primo fischiare d’un uragano che non per anche è scoppiato e dirotto, e ciò colle sue note sopracute insieme all’intera massa dell’orchestra. Gluck, nella tempesta dell’Ifigenia in Tauride, ha saputo ancor più argutamente far digrignare e stridere gli acuti suoni di due ottavini all’unisono, scrivendoli in uua successione di seste alla quarta superiore de’ primi violini. 11 suono degli ottavini che riesce all’ottava sopracuta produce per conseguente co’ primi violini una successione di undecime la cui asprezza non può là tornare più opportuna. Nel coro de’ Sciti dell’Opera medesima i due ottavini raddoppiano all’ottava i gruppetti dei violini; queste note fischianti miste agli ululati della turba selvaggia, al fracasso misurato e continuo de’cembali e tamburini, fanno veramente fremere. Tutti hanno ammirato lo sghignazzamento diabolico di due ottavini in terza nel brindisi del Freyschutz, che è uno dei più felici trovati d’orchestra di Weber. Sponliui nel suo magnifico baccanale delle Danaidi (divenuto poscia un coro orgiaco di Nùrmahal) ebbe pel primo l’idea di unire un breve grido e penetrante degli ottavini ad un colpo di cembali, La singoiar simpatia che si stabilisce in questo caso fra questi due sì dissimili strumenti, non era stata in prima supposta da alcuno. Egli è come un colpo di pugnale che taglia e strazia ad un tempo. Questi diversi esempi ed altri ancora che io potrei citare mi paiono mirabili per ogni conto. Beethoven, Gluck, Weber e Spontini hanno per tal modo fatto uso ingegnosamente ed in maniera originale e ragionevole dell’ottavino. Ma quando io sento questo istromento adoperato a raddoppiare alla tripla ottava il cauto d’un basso-cantante, a gettare la sua stridula voce per mezzo ad un’armonia religiosa, a rafforzare, per vaghezza di rumore, la parte alta dell orchestra dal principio alla fine d un atto d’Opera, io non posso a meno di accusare questa maniera d istromentazione di stupidità degna, per lo più, dello stile melodico al quale essa è applicata. L’ottavino può tornare di buon effetto ne’dolci passaggi, ed è un pregiudizio quello di credere che esso non vaglia che a suonar fortissimo. Qualche volta serve a continuare l’estensione in acuto del flauto grande, facendolo pigliare il suo posto al momento che le note acute del flauto vengou meno. 11 passaggio dall’uno stromento all’altro deve essere però maneggiato in modo che sembri un solo stromento che abbia eseguito tutto il passo. Un gradevole esempio di questo stratagemma si trova in una frase eseguita pianissimo sopra una tenuta grave degli stromenti da corda nel primo atto dell Opera le Dica et la Baiadère, del sig. Auber. Si adoperano vantaggiosamente nelle musiche militari tre altri flauti che potrebbono essere del pari un buono incremento alle orchestre ordinarie: questi sono il flauto terza (detto in fa’), il flauto nona (detto in ini), e l’ottavino decima (detto ni fi ed ancora decimino) che è all’ottava alta del flauto terza. Diciamo intanto che questi flauti, che un uso ridicolo fa di varie nature, non sono più in fa o in mi bemolle di quello che il flauto grande comune sia in re. Essi sono alla terza, alla nona, alla decima, minore sopra a questo. Ora, come il flauto ordinario rende i suoni tal quali sono scritti, come do produce do e non re, come esso è al medesimo diapason che il clarino in do, e i corni in do, e le trombe in do, e nel medesimo dipason clic i violini, le viole e i bassi, ne viene che esso è in do e non in re, che i flauti terza e decima sono in mi bemolle e non in fa, e finalmente che il flauto nona minore è in re bemolle e non in mi bemolle. Questi diversi flauti, che aumentano all’acuto l’estensione dell istromento, sono ancora pili utili per la facilità che danno all esecuzione dei pezzi scritti ne’ tuoni ove sono molti diesis o bemolli, e conseguentemente molto ardui pei flauti ordinarli. Il timbro del flauto terza però non è esattamente somigliante a quello del flauto grande: esso ama più le melodie liete e Brillanti. Peccato è dunque che per rilevare meglio questa tendenza espressiva de flauti alti, senza aver ricorso ai suoni troppo penetranti in molte occasioni de’più acuti, non si faccia un flauto quinta in sol. Pei tuoni diesis usati più sovente ne’pezzi ove il brio deve dominare, questo flauto mezzano, suonando sempre con un diesis meno che il resto dell’orchestra (in re pel tuono la, in la pel tuono di mi) farebbe, crecl io, maraviglie. Si possono aggiungere al flauto grande il do e do diesis basso con due lunghissime chiavi, ma questo e inutile avendo noi il flauto d’amore, il cui diapason una terza minore sotto quello del flauto ordinario (per conseguenza in la) e il cui timbro dolce e molle produrrebbero un delizioso effetto. Ma per mula sorte il flauto d’amore è quasi affatto sconosciuto. Riunendo così nelle orchestre le compiute famiglie di tutti gli stromenti da fiato, se n’avrebbe, non v’ha dubbio, un effetto del quale i giuochi de flauti, e delle ancie dell’organo appena possono dare una debole idea. E. Beri.ioz. Versione, di C. Meliini. BIBLIOGRAFIA MUSICALE. Re»iinieeence§ (tour Be Piano «le l’Opera Correrlo tV AHamut’c* pai* E. eoBBBte d’Alberti. Milano. Presso l’Editore Cì. Iìkiordi. L’autore di questa bella composizione, dilettante di straordinaria abilità., venne già accusato di una menda, seppur menda si può chiamare; gli s’imputò un abuso di passi malagevoli, una soverchia intemperanza di difficoltà. Rotto, così diremo, rotto ad Ogni più terribile e rischioso arrovellarsi di note, instancabile agitatore ed incrocicchialore di mani, nulla curante delle scmibiscrome disparate ed a salti, insomma ardilo e franco esecutore, egli forse non pose troppo mente che altro è l’cseguire altro l’immaginare, abbandonandosi talora a modi di un’ardua interpretazione, tale da rendersi inaccessibile [p. 144 modifica]quel grado di. popolarità che il suo valore si merita. La sua Fantasia sulle Prigioni d’Edimburgo è nel complesso tanto diffìcile quanto le più intricate e trascendentali composizioni di Liszt. Lorchè un autore trova d’improvviso sotto le sue dita un modo nuovo, una nuova c felice configurazione di un concetto, la difficoltà per lui non esiste, le sue mani quasi miracolosamente senzienti, rispondono a ciò che dettagli lo spirito. Ma la stessa novità da altri inventata, riesce di gran lunga più difficile ad eseguirsi. Ma lo ripetiamo: è egli veramente un difetto, cotesto? Non sappiamo. Queste reminiscenze del Corrado> ci sembrano il miglior lavoro del valente d’Alberti. È una composizione che gareggia con quella della Lucia di Lammermoor, se non nell’eleganza, di certo nel merito tecnico; e paragonato a quella delle Prigioni d‘Edimburgo è più ritonda ed una nel concetto, e meno ridondante di note avveniticcio. L’introduzione è gaja c brillante; è come un mormorio che accenna e predice; se non che il mormorio, nelle ultime otto battute si fagtempesta, il che ci indica che nella composizione dovremo incontrare prima l’idillio poi la tragedia. Le tien dietro un largo quasi andante scritto a tre righi, di facile esecuzione, di leggiadro e commovente effètto. Quel canto già di per sé stesso soave e patetico ritrae un vieppiù bel colore da alcuni bassi staccati, e da un accompagnamento sommesso. Mano mano ch’esso si svolge, e si trasforma, vanno scherzandogli d’intorno abbellimenti d’una civetteria, c d’un buon gusto squisito, molti de’quali sono anche nuovi: c quando, dopo un breve giro, ei vien ricondotto alla primitiva sua forma, acquista un non so che di grande dal fragore dei bassi, che ricordano il primo movimento, e.vanno accavalcandosi, e rinforzandosi / sempre intatta conservando la loro indole. Questo pezzo se si badi aH’elTetto è, a parer nostro, il miglior dell’opera. Ma di non minor merito intrinseco è quc.llo che siegue, cioè V Andante mosso ingegnosamente intrecciato con un lieve arpeggio: dico, merito intrinseco, perchè esso ci pare d’una fattura nuova. Consimili modi vennero, già è vero, adoperati da altri compositori, specialmente da Thalberg, ina con un fare così schietto e naturale, non credo: la inano cade con lindezza e senza stento sulle nòte, ed il canto ne emerge senza quasi che l’esecutore se ne accorga. Lo stesso motivo passando dal sol al si bemolle diventa più grandioso, ma le forme di cui vien rivestito non sono più cotanto simpatiche, ed ei perde un po’della sua freschezza. Amiamo meglio udirlo nella prima guisa. È assai grazioso Vallegro cantabile che il D’Alberti scelse a variare. Per quanto poco amici noi siamo delle variazioni in generale, ci sentiamo tratto tratto quasi malgrado nostro portati a riconcigliarci con esse. Lo antiche variazioni informate da un’ignobile e triviale imitazione del senso del motivo, colle eterne terzine, coll’adagio nell’inevitabile tuono minore corrispondente, colle biscrome brillanti distribuite col compasso, hanno da molto tempo dato luogo a’ variazioni di forme più castigate, più poetiche. Dacché i moderni compositori vollero trattar la variazione, essa si trovò redenta, e non di rado piena di merito c dignità. Con piacere ravvisiamo queste variazioni del D’Alberti essere di questa natura, cd apparire dettate da fino senno, e con amabile vezzo. Nella prima il motivo è quasi intatto, ma un po’ sopraccaricato da un contesto di note mormoranti tanto ne’ bassi che negli acuti. La seconda è di maggior effetto: è vivace e brillante quanto può dirsi: sono ottave or ribattute, ora scivolanti, ora saltanti, irrequiete sempre. Un pensiero amoroso tronca tosto il cinguettìo delle variazioni: è, direste, come una memoria triste che si esprime prima in do maggiore poi in do minore: son poche note, son semplici, son piane eppure, che volete? io vi ravviso dentro lo squisito sentire del compositore. 11 medesimo pensiero prende forma di allegro vivace: il tema pronunziato negli acuti è sostenuto nelle ottave di mezzo da sestine incessanti: non mi pare che il valore di questo squarcio eguagli quello del resto della composizione: v* c un non so che di mancante o di debole che ci sembra dipendere dalla deficienza troppo prolungata di bassi profondi, e dalla difficoltà che deve provare l’esecutore onde ben distaccare le note, del canto dalle note delle sestine, cotanto vicine. Il più mosso colle sue notine lanciate dona al motivo tutta la pienezza e la forza di cui poco prima mancava; la composizione termina collo strepito di note irrompenti e martellate e che imitano vagamente l’indole del tema più mosso. Gli è un lavoro elegante e brioso, qua e là ingemmato di nuovi ritrovati, ben condotto, nel quale forse si desidererebbe qualche momento di posa, qualche oasi; un lavoro clic dall’autore stesso eseguito, raddoppia se non di merito, di prestigio. Torelli. FUNERALI M GRETRI Finalmente ha avuto luogo a Liegi la gran solennità musicale per l’inaugurazione della statua ivi eretta a Gretry. Poco tempo dopo la morte di questo astro principale della musica francese, il sig. Flamminio Gretry nipote del grande compositore ed erede delle sue sostanze, scrisse al maire di Liegi clic egli aveva divisato di mandare in dono a quella città il cuore di Gretry, avendo ivi il suo illustre parente avuto i natali. * Comecché fosse, solamente dopo sei mesi il sig. Flamminio ebbe in risposta che si sarebbe in appresso deliberato sulla sua offerta; onde egli, avendo per una disdetta una somigliante risposta, a sue spese innalzò un monumento a Gretry, il quale con modesta solennità fu inaugurato il dì 15 luglio 481t>. Per le onorate parole che fecero i giornali di questa cerimonia, alcuni ragguardevoli cittadini fecero con istanze sentire essere sconvenevole che non la città intera di Liegi, ma la sola pietà di un parente, si movesse a gratitudine di un sì chiaro ingegno che tanto aveva la patria onorata; e tanto seppero dire che fu scritto al sig. Flamminio inviasse il cuore dell’illustre Gretry. Questa richiesta parve inopportuna, e il sig. Flamminio non rispose. Solo dopo cinque anni gli fu- di nuovo richiesto l’offerto dono, ed egli pur si disdisse; tanto che se ne fece causa a’ tribunali, e dopo molle decisioni, fu risoluto che il cuore di Gretry dovesse aiqiarlcnere alla città di Liegi, in seguito di quella prima oiTcrta che il sig. Flamminio aveva fatto. Ora la gran festa che si è continuata tre giorni a Liegi è stata intesa a solennizzare il trasporto del cuore di Gretry c il suo collocamento nel piedestallo della statua di bronzo che ivi si è innalzata. Pomposo è stato il corteggio doli’accompagnamento e immensa la folla de’ cittadini tulli c innumerevoli forestieri accorsi a Liegi per assistere alla cerimonia, alla quale hanno preso parte insieme con molti altri illustri personaggi per lettere e per iscicnza i signori Félise Dausoigne direttori de’Conservatorii di Brusselles e di Liegi; Liszt venuto espressamente da Parigi; Artót e Massart, due celebri violinisti francesi; il sig. Geefs, statuario, autore del monumento, ecc, ecc. In assenza delle LL. MM. il ree la regina de’Belgi, la tribuna per loro preparata era occupata da un ministro e dalle prime dignità della provincia. Giunto il corteggio, fu tolto il drappo che copriva la statua e l’imagine di Gretry si mostrò al pubblico: nel piedestallo è inscritto questo verso: Qui peut-on otre mieux qu’cn sein de sa famille? Yaiii sono i pareri intorno al merito del lavoro dello scultore. Nella Gazzetta Musicale di Parigi abbiamo letto il seguente giudizio: «Bisogna pur «dirlo, dietro ciò che era stalo detto di questa statua, «era da aspettarsi qualche cosa di meglio. Gretry e «ritto in piedi; in una mano tiene un rotolo di carta, nei«l’altra una penna. Ma nè nella figura, nò nel posare della «persona niente v’ha che dia idea dell’ispirazione; la «lunga giubba onde è ricoperto, e che con poco buon ordine «di pieghe è increspata, gli dà aria di un buon bor«ghese avvolto nella sua veste da camera. Queste sa«ranno forse le sembianze di Gretry; ma Io statuario «deve poetizzare i suoi modelli; poiché egli non compie «a dovere il suo officio se si contenta di imitare ser«vilmente la natura». 11 Borgomastro ha letto un lungo discorso, poscia si è eseguita una cantata, composizione del sig. Daussoignc, c finalmente il cuore di Gretry entro un’urna di bronzo è stato dal Borgomastro collocato nell’interno del piedestallo insieme con un processo verbale della cerimonia, molte medaglie e monete di differenti metalli. I signori Fétis e Daussoignc sono stati in questa occasione nominati cavalieri dell’ordine di Leopoldo c ne hanno ricevute le insegne dal governatore della provincia, luogotenente del Re in questa cerimonia. La sera si è dato al Teatro il Ricardo cuor di leone di Gretry, al quale è seguita una cantata col titolo: Omaggio a Gretry, clic è riuscita al pubblico alquanto lunga c noiosa. II giorno 20 giugno, si è dato tutto alla musica. Il grande artista Liszt, sempre pronto ove si tratti di fare una buona azione, ha suonato i! concerto in mi bemolle di Beethoven, eia sua bellissima fantasia del Don Giovanni. A questa accademia hanno preso parte con molta lode madama Damorcau c il sig. Massurt. Ma tutti gli onori c le dimostrazioni d’entusiasmo del pubblico sono stale prodigate a Liszt, quando egli si è presentato ad improvvisare sopra due temi di Gretry, dai quali egli ha tratto un partito degno di lui. La festa si è terminata con una serenata con cori cd orchestra eseguita sotto le finestre di madama Damorcau, Liszt, e Massart, c la soddisfazione è stata generale e compiuta. NOTIZIE VARIE. — II giorno 12 luglio fu solennizzata a Lucca l’animai festa nazionale di San Paolino con una messa in musica dell’illustre maestro Patini, la quale è stata giudicata lavoro di molta elevatezza di stile e un temperamento lodcvolissimo della copiosa invenzione e novità di pensieri dell’autore colla gravità delle forme convenienti alla musica sacra. L’esecuzione era affidata ai professori componenti la R. Cappella di Corte c dagli alunni dell’Istituto Musicale da esso Patini diretto. — Nella cattedrale di Beauvais è stata eseguita una messa del sig. S. Neukomm a quattro voci, senza accompagnamento. La Gazzetta Musicale di Parigi si estende nelle lodi di questa composizione qualificandola per musica che veramente adempie al!’ officio religioso c che spoglia d’ogni profano argomento serve a conciliare il calmo fervore della devota preghiera. L’autore dell’articolo sopra questa messa tanto degna d’encomio, prende da essa argomento di biasimare il miserabile stato in che è caduta presentemente la musica sacra in Francia, e mostra come il canto fermo accomodato a più parti o affidato all’esecuzione di grandi masse vocali può esercitare grande c potente impressione sul popolo; senza aver ricorso alla commozione degli affetti terreni c profani che lusingano il senso e deturpano e annientano il verace sentimento di religione. — Le sacre esequie del defunto duca d’Orleans devono essere state celebrate nella cattedrale di Parigi il giorno 3 agosto, coll’esecuzione del Requiem di Mozart e della marcia funebre già composta da Auber. Halevy è incaricato di comporne un’altra che sarà eseguita nel trasporto da Neuilly a Notrc-Damc. il Requiem di Mozart sarà cantato da dugento cinquanta artisti, disposti nelle tribune intorno al coro, diretti dal sig. Ilabenck, e il sig. Danjou sarà direttore d’altre cento venti voci che nel piano del coro canteranno i versetti dell’assoluzione a cairto fermo. La Gazzetta musicale di Parigi, sotto data di Monaco, porta la notizia, da noi già data nell’ultimo numero, sulla grande solennità musicale che deve aver luogo quanto prima a Salisburgo per l’inaugurazione del monumento che ivi sarà eretto a Mozart. — Il medesimo giornale si lagna verso la direzione dell’Opéra di Parigi perchè abbia intrapreso le prove d’un solo atto dell’Alceste di Gluck, come se temesse VOpéra di noiare il pubblico dando per intero quell’antico capolavoro, il quale merita certamente di essere apprezzato quanto la musica moderna o più. — Domenica scorsa fu eseguita nella chiesa di SnintGermain-PAuxerrois a Parigi la seconda inessa solenne del sig. Giuliano Martin, maestro di cappella di quella parrocchia. — Mcndclssohn ha suonato un suo nuovo concerto nella festa musicale di Cambridge (in Inghilterra). Nella vasta chiesa di Santa Maria si è con grande solennità eseguilo il Messia di Hàndel. — Spontini arriverà tra breve a Parigi. L’annual pensione accordatagli dal re di Prussia è di franchi dodicimila. Meyerbeer solamente ha accettato l’incarico di direttore della musica del re, quando ha saputo che l’ordine relativo alla pensione di Spontini era già stato spedito. — All’Opera Comica di Parigi si è rappresentata la Dame Bianche di Boieldieu ove tanto sono applauditi Massct, e la signora Rossi-Caccia nelle parti di Anna. — La partitura e le parti d’orchestra dello Stabat di Rossini sono stampate e in vendita finalmente anche a Parigi. Così potrà quest’opera essere eseguita nella sua integrità per tutto ove si voglia. — Pare (secondo la Francia Musicale), che tutto ciò che si è scritto e stampato sul progetto di aprire a Parigi un nuovo teatro lirico,, sia senza fondamento e inesatto, e che questo progetto non sia formalmente stato fatto giammai. NUOVE PUBBLICAZIONI MUSICALI DELL I. lì. STABILIMENTO NAZIONALE PRIVILEG.’»i Giovimi hicohiii. DI <©* ©0SS!» ridotto per Canto con accompagnamento[di Pianoforte o dy Organo Seconda edizione coll’aggiunta della traduzione italiana Fr. ’18. IN PARXITIRA Fr. 50. NB. Sono pubblicati anche le Parti Cantanti e d’Orchestra. TAEAM TELLE poiee le IPUièio PAR tfn. li KM Op. 59. - Fr. 2. 75. itone IPiano, tiofon et Viotoncette I*AR Sa a Op. 119. - Fr. 10. GIOVAAJVI BICORDI EDITORE-PROPRIETÀRIO. AB. Si unisce a «inesto foglio il pezzo IV. 9 liell’A, TO MIG IA CLASSICA MUSICAMI. Ball’I. SS. Sta5»i58inento Aazionale Privilegiato «II Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale «Il GIOVAKKI SSICOB51I. Contrada degli Omenoni 1T. 1720. Si pubbl danno ai s classica an lume in 4 apposito el tologia cj Inform lini i Gaz CONDÌ