Gibello/Cantare secondo

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Cantare secondo

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Cantare primo

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41
Noi lascerem Gibello in Serpentina
imprigionato, secondo la storia,
e direm della madre sua reina
e del re Tarsian, c’ha gran vettoria,
ch’ebbor consiglio tale una mattina,
dar moglie all’altro figlio con gran gloria.
E per consiglio eletta fu in isposa,
se ’n piacer gli è, la pulzella Argogliosa.
Il re fe’ imbasciadori, e cavalcáro;
sanza soggiorno a Gienudrisse furo,
la pulzella Argogliosa ivi trováro,
e l’ambasciata contar di sicuro.
Ed Argogliosa col suo viso chiaro,
che per Gibello avea lo cor si duro,
non ne volle ascoltar l’ambasciaria,
rispuose che marito non volia.
43
Da lei si dipartir gl’imbasciadori
ed al re Tarsiano ritornarsi
e disson ch’ella aveva gran dolori
e non volea quel tempo maritarsi.
E ’1 re coi suoi baroni, ne’ lor cuori,
di tal risposta forte infiammarsi;
gridáro a boce: — Oste le mandiamo
si che per forza, all’onta sua, l’abbiamo! —

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44
Per tutto il suo reame immantanente
re Tarsiano grand’oste bandie;
cavalieri e di popolo gran gente
collo re Tarsiano al campo uscie.
Di Serpentina il duca, sorridente,
andò in quell’oste, ma non piú redie.
Re Tarsiano sue insegne ebbe poste
intorno a Gienutrisse co’ grand’oste.
45
Il valoroso Gibel, eh’è in prigione,
per nulla guisa si si rallegrava,
sentendo che lo re contra a ragione
la pulzelletta sua ’manza assediava.
La duchessa dicea: — Gentil garzone
— davanti alla prigion si gli parlava, —
o donzel, c’hai d’ogni biltá corona,
gioi’ vo’ che prendi della mia persona! —
46
Gibello a sue parole no’ attendea,
ché nel suo cuore giá era conquiso;
e la duchessa parlava e dicea:
— Or che ha’ tu, angel di paradiso? —
Allor Gibello si le rispondea:
— I* sento che la morte si m’ha priso,
perch’io a Gienutrisse andar non posso
contro al re Tarsian, che a torto è mosso.
47
E la duchessa, veggendo Gibello
che a Gienutrisse avea voglia d’andare,
disse: — Io ti lascerò, giglio novello,
se mi prometti di qui ritornare. —
Ed egli rispondea, chiarito e bello:
— S’i’non son morto, i’giuro di tornare.
Se mi lasciate andar, fate merzé,
che la pulcella difenda dal re. —

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48
E la duchessa pensò nel suo cuore:
— Sed io a Gicnutrisse andar lo lasso,
forse al tornar mi donerá il suo amore,
se ’l qual non ho, di questa vita passo.
E s’io’l potessi, ’l fare’ imperadore,
pur ch’allegrasse un poco il mio cor lasso!
Doglioso a me, ch’io arei tutto bene,
se mi traesse una volta di pene! —
49
Poi gli diceva: — Amor, po’ che tu vuoi
a Gienutrisse andar, cheggioti un dono:
che ’l duca mio uccidi, se tu puoi,
ed ogn’altra fallenza ti perdono. —
Ed e’ rispuose: — Lui e’ baron suoi
vorre’ uccider, quanti ve ne sono,
e quanti ve n’ ha ancor d’altri paesi,
vorrei che fosser tutti morti e presi. —
50
Allor Gibello di prigion fu tratto,
l’arme e ’l destrier avanti si gli gio;
sanza dimoro in fretta s’armò ratto:
non prese staffa, ch’a cavai salio!
Della cittá usci e con quel patto
ver’ del conte Vermiglio se ne gio.
Tosto ’l fe’ adobbar co’ sua compagna,
e l’altro di entrò per la campagna.
51
E nella Valle Bruna egli è arrivato,
ov’era il cavalier Ner di gran vaglia.
E ’l fatto e la maniera gli ha contato
com’egli andavan per voler battaglia.
I suo’ dugento cavalier s’armáro
tutti per punto e no’ mancò lor maglia.
I tre baroni a Gienutrisse gièno
con cinquecento cavalier ch’avièno.

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52
F’úro arrivati a Gienutrisse presso;
d’in su la torre la guardia vede’li.
Allor Gibello ne mandò il suo messo
come colla sua gente soccorre’li.
Le porte aperte gli furono adesso:
egli entrò dentro con que’ suo fedeli.
Tutta la gente mena gioia a scorso,
venir veggendo tanto bel soccorso.
53
Tant’allegrezza avea la giovinetta,
che uom, che sia, contare noi potrebbe.
Con sue compagne fu l’amorosetta;
corse a Gibello ed abbracciato l’ebbe.
Or si posò la gente, giulivetta,
allegra piú che lingua noi direbbe.
Gibello fece andar per l’oste il bando,
e lo re Tarsian mandò sfidando.
54
Subitamente tutti i buon baroni,
conti e marchesi della damigella
trovar lor armi e correnti rondoni ;
ciascun s’armava e poi ne monta in sella,
Similemente fanno i compagnoni;
e’ mercatanti sono a tal novella,
per esser fuori alla battaglia, presti,
che del combatter sono arditi e destri.
55
Usciti fuori alla bella campagna,
quivi si cominciáro a far le schiere
de’ buon baron sanza avere magagna.
Riguardan selle e ferri al buon destriere,,
d’aver la zuffa verini se ne lagna.
Ciascun vorrebbe pur esser primiere
a cominciar lo stormo crudo ed aspro;
ciascun di ciò se ne crede esser mastro.

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56
Cosi re Tarsiar» fece guernire
ciò che bisogna a tutta la sua gente,
armati, presti a battaglia venire.
Credendo della guerra piú possente
essere degli altri, e per non fuggire,
si fu piú innanzi e si come valente,
cominciaron lo stormo sanza fallo.
Piacciavi, gente, udir come andò il ballo.
57
Or chi vedesse istormo cominciare,
fedir di spade e di spunton tagliente,
balestra grosse aprire e diserrare,
lanciarsi come fa dragon mordente;
ciascun si briga alle spade menare,
quivi si vede qual è il piú possente.
Qual taglia teste e quale gambe e braccia,
ciascun del ben combatter vi si avaccia.
58
Un cavaliere de lo re Tarsiano
si fece inanzi co* molto valore;
una gross’asta e’ si recò per mano,
e feri nello stormo con furore
ed abatténe cinque giú nel piano.
Allor si cominciò si gran romore,
che parea che giú il secolo venisse
e che lo ’nferno del tutto s’aprisse.
59
Subitamente uno gli viene manco:
un baccellier di quel conte Vermiglio
con una lancia grossa, il guerrier franco,
scontrò quel cavalier con gran periglio.
Tal colpo gli donò nel lato manco,
che lo passò per tutto Io ’nteriglio.
E morto cade nel crudele stormo,
per quel ch’io sento e nel libro m’informo.

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60
Ed il fígliuol del re con gran barnaggio
combattè con Gibel pien d’ardimento
dando e togliendo colpi di vantaggio;
ciascun mostrava suo gran valimento.
Colla sua gente Gibel prode e saggio
avea il fratello giá sconfitto e vinto;
ma lo re Tarsian lo soccorria,
e con due schiere allo stormo feria.
61
Il cavalier Nero di gran valore
allo fígliuol del re feria per costa,
donando colpi di tanto vigore,
che nessun può durare alla sua posta;
sicché il fígliuol del re è perditore,
non potè piú durare alla proposta;
e ’1 buon conte Vermiglio di gran vaglia
dall’altra parte die’al re la battaglia.
62
Gibel col popol suo di Gienutrisse
viene le schiere tagliando e fedendo,
e de’ campion del regno di Bramisse,
quanti ne scontra, egli ne va uccidendo;
il cavalier Nero feria tra esse,
cosi gran colpi dando e ricevendo,
ov’egli andava, isgomberar facea
coi suoi dugento cavalier, ch’avea.
63
Duca di Serpentina si scontròe
col buon Gibello, combattendo a schiera,
e l’uno e l’altro a fedire s’andòe
infra la gente infiammata e fiera,
e si gran colpo Gibel gli donòe,
morto l’abbatte sotto sua bandiera.
Gli scudi e gli elmi vi facien ta’ suoni,
parea che fosse balenar e tuoni.

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64
La battaglia era si gravosa e dura,
l’aria e la terra n’era intenebrata,
ferro non vi valea né armadura
contro a Gibel, ch’avea gente pregiata.
Chi pruova un colpo suo, per sua sventura,
vorre’tornarne a dirne l’ambasciata!
Re Tarsian colla sua gente stolta,
non potendo durar, misesi in volta.
65
Allor Gibel con suoi baron vedea
che contra a lui non era chi durasse.
Lo re e ’l figlio del campo si partéa
Gibello fe’ bandir che non cacciasse
l’un contro all’altro, parlava e dicea:
— Viltá saria a fedire chi n’andasse. —
E fe’ sonar le trombe a ringioiarsi
e dentro la cittá a ritornarsi.
66
Le donne e li signor della cittade
ciascun menava riso, gioia e canto;
e la pulzella piena di biltade
tant’era allegra, non si pò dir tanto.
Allor Gibello, pien di lealtade,
s’accommiatò, quando fu stato alquanto.
E la pulcella, di lui innamorata,
piú che prima rimase sconsolata.
67
Della pulcella egli si dipartia,
Gibel da’ suo’ baron commiato prese,
e in Serpentina prigion se reddia.
Gli altri, ciascun tornarsi in lor paese.
E la duchessa, quando lo vedia,
pensossi di venir co’lui alle mani;
d’amor cantava e davasi conforto,
com’ella seppe che ’l duca era morto.

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68
La duchessa d’amor chiede mercede,
e si dicea: — Giovane ingraziato,
gentil valletto, gioi’ prendi di mene,
dammi il tuo amor, no’stare imprigionato.
Migliore dama non può’ aver per tene.
Sarai signor di tutto il mio ducato! —
Ed e’, ch’avea dato il suo amore altrui,
stava com’ella non dicesse a lui.
69
Questa duchessa ogni di il predicava
che per amor gioia di lei pigliasse;
ma lusingare niente le giovava,
ché non parea che di lei si curasse.
E ’n questo tempo il re Tarsian mandava
alla duchessa che alla corte andasse,
ch’ogni anno il duca andare vi solea
per una festa, che lo re facea.
70
E, quando la duchessa fu richiesta,
non avea con cui gire accompagnata;
dicea: — Lassa! Come n’andrò io a festa,,
che la mia gente è tutta isbarrata? —
E scapigliossi la sua bionda testa
e piange come donna isconsolata.
Allor face lamento del marito,
che di sei mesi o piú era transito.
71
Piangendo la duchessa a capo chino,
Gibel piacevolmente le parlòe:
— Gentil duchessa, rosa di giardino,
se v’è in piacere, i’vi acompagneròe.
Fate ch’andare possa a mio dimino
e ch’io non torni piú vostro prigione —
Ed ella si pensò: —S’io il morrò láe
forse el re per marito mel daráe. —

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72
Ella dicea: — Molto volentieri! —
Trassei fuor di prigion sanza tornare,
ed e’ mandò per gli suoi cavalieri
e in Serpentina egli i fe’ apresentare.
Quivi fúr giunti i nobili guerrieri,
sanza dimoro brigan cavalcare,
sotto la ’nsegna di Gibel sovrano
fúr alla corte dello re Tarsiano.
73
Tutta la gente tra’ per maraviglia,
quando vidon si bella baronia;
ed, isguardando la gente vermiglia,
ch’eran trecento in sua compagnia,
e i neri dugento erano in famiglia,
piú bella gente non si troveria.
Colla duchessa nella cittá entráro
presso alla corte del re Tarsiano.
74
Sotto sua insegna il nobile Gibello
per la cittá ognindi cavalcava;
chi lo vede’, l’assomiglia al fratello
e alle fattezze, ch’egli in sé portava.
E la reina un di mandò per elio,
e dond’egli era si lo dimandava.
Ed e’ rispuose e disse la novella
ch’e’ mercantanti il diéro alla pulzella.
75
E tutto il fatto a punto e’ le contòe,
di ritrovare sua gesta s’ingegna,
e come a Gienitrisse egli arrivòe
amantato di quella sua insegna,
e come la pulzella lo allevòe,
e come ell’era del suo amore degna,
e come l’have cresciuto e allevato,
come dal cavalier fu proverbiato.

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76
La reina, che ’ntende il convenente,
disse fra sé: — Questo è de’ miei figliuoli. —
La balia fé* venire imantanente;
disse: — Di’ ’l vero, se morir non voli,
questi è mio figlio ben certanamente.
No’ lo uccidesti, come dir mi suoli! —
La balia tutto il fatto le contòe,
com’ella a’ mercantanti lo donde.
77
E la reina allor s’inginocchiava,
piangendo disse: — Dolce figliuol mio! —
davanti a lui umilmente parlava,
merzé gli chiede per l’amor di Dio,
e perché ’l face morir gli contava,
dicendo: — Per te arsa or sarò io,
ma allegra, figliuol mio, io si morraggio
poiché ricognosciuto hai ’l tuo lignaggio. —
78
Disse Gibello, Io garzo’ reale:
— Dolce mia madre, non aver paura
ch’i’ho con meco gente imperiale,
che da tre re vi terrebon sicura.
Questa giustizia non è ragionale,
e proverollo colla mia armatura.
A Genitrisse lo re sconfiggemmo,
si che voi ben, madonna, francheremmo. —
79
La novella si spande per la corte
come Gibello era figliuol del rene.
Tutta la gente se n’allegra forte,
e ’l suo fratei gran feste si ne féne.
Lo re condanna la regina a morte,
ched ella ne fosse arsa in fuoco e in pene..
Armato fu Gibel, quando lo ’ntese,
colla sua gente lo palazio prese.

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80
E Io fratello ne fé’ gran sollazzo,
disse: — Io non vo’ che la rcina s’arda! —
Imantanente montò in sul palazzo
con quella gente ch’egli ha in sua guarda.
E ciascun de’ baron, se non fu pazzo,
e’ giovani ubidir niente tarda;
e lo re Tarsian mena gran duolo,
ch’a tal bisogno si ritruova solo.
81
Veggendosi cosi ’l re abbandonato
da’ suoi baroni, gran dolor n’avia.
Allor Gibello, savio ed insegnato,
co’ molta gente al padre se ne giá.
Davanti a lui e’ si fu inginocchiato,
umilemente parlava e dicia:
— Padre mio, a ragion or m’intendete
come dritta giustizia mi facete. —
82
E’l padre rispondea con gran dolore:
— Di’ ciò che vuoi, ched io l’ascolteròe. —
Allor Gibello rispuose e parlòne:
— A onor di Dio i’ si vel conteròe:
come non fu ’mpossibile al Signore
di fare Adamo, primo uom che formòe,
cosi non gli è ’mpossibile di fare
duo figliuol’ in un’ora in generare. —
83
E ’l padre disse: — Dolce figliuol caro,
tu m’hai mostrato il ver si apertamente,
ond’io cognosco e veggio puro e chiaro
che uno e duo sono in Dio possente. —
E gli baroni Iddio ringraziáro,
veggendo il re del vero conoscente.
Allora il re Gibel per man pigliòe,
allato a sé a sedere l’assettòe.

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84
Vergendo il re che non facea giustizia,
in tutto fece van quello statuto.
Franca fu la reina da malizia,
perché Gibello le donava aiuto.
Allor Gibello, pieno di letizia,
per messo alla pulzella ’l fe’ saputo.
Come Argogliosa intese la novella,
con sue compagne tosto montò in sella.
85
La pulzella Argogliosa ingraziata
con cinquanta pulzelle in compagnia,
da cento cavalieri accompagnata,
sanza dimoro si fu messa in via.
Alla corte del re fu dismontata,
dov’era Gibel pien di cortesia.
Tutta la gente trae per vedella,
che ’n fra l’altre lucea com’una stella.
86
11 buon Gibello con allegro cuore
isposò la pulzella innanzi al padre.
Tutta la gente cantava d’amore,
ma sopra tutte era allegra la madre.
Le donne e le donzelle di valore
gran festa ne facean in veritade;
tutta la gente danzava per essa;
morta d’amore cade la duchessa.
87
Si grande è l’allegrezza e ’l giuoco e ’l riso,
un anno e piú bastò corte bandita.
11 buon Gibel con amoroso viso
della pulzella prese gioí’ fiorita;
chiamato fu signor di tutto, assiso,
poi che ’l padre passò di questa vita,
e ’l fratei per signor d’altre contrade.
E noi si salvi l’alta Maestade,