Gli scorridori del mare/21. La vendetta di Banes

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21. La vendetta di Banes

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Capitolo XXI.

LA VENDETTA DI BANES


Mentre i pirati si abbandonavano all’orgia, sull’alto dei bastioni, un uomo stava appoggiato a un affusto di cannone, in atteggiamento pensieroso.

Pareva che aspettasse qualcuno, poichè di quando in quando si alzava e faceva moti di viva impazienza, mormorava parole tronche, e faceva gesti di minaccia.

Quell’uomo che se ne stava così solo, lontano dall’orgia e dalla compagnia, era Banes.

La sua faccia prendeva a ogni istante strane espressioni, ora di cupa collera, ora di un odio violento, ora di una gioia sfrenata. Poi malediva, giurava e minacciava.

L’infelice, stanco di trascinare la sua vita fra quei miserabili pirati e di rendersi complice involontario dei loro delitti, attendeva impaziente che il negro Bonga, come gli aveva promesso, gli desse i mezzi necessari per fuggire.

Avendogli dato appuntamento su quel bastione, era uscito inosservato dal forte e da un’ora lo aspettava, in preda alla più viva ansietà. Già cominciava a temere che il negro fosse stato trattenuto dal capitano, quando un’ombra apparve presso l’angolo del bastione.

— Sei tu Bonga? — chiese Banes.

— Sì, — rispose il negro.

— Cominciavo a temere che ti fosse accaduta qualche disgrazia. Orsù, cos’hai da dirmi? [p. 143 modifica]

— Ho da farvi delle comunicazioni importanti che non vi spiaceranno.

— Ebbene parla, ma spicciati.

— Per ora venite con me, poi parleremo, — disse il negro, scendendo sull’orlo del bastione.

Banes, dopo una breve esitazione, lo seguì.

Il negro continuò a camminare lungo la muraglia, uscì dalla porta, guardò intorno onde accertarsi di non essere spiato, poi discese la gradinata che conduceva alla baia, si cacciò fra le rocce, risalì ancora e finalmente si fermò dinanzi a una specie di grotta, o meglio una galleria che si addentrava per sei o sette metri nella gigantesca rupe sulla quale era stato costruito il forte.

— È per farmi vedere questa galleria, che mi hai condotto qui? — chiese Banes.

— Questa galleria ci servirà per vendicarci. Questo passaggio sotterraneo è lungo soli sette metri, ma con due picconi noi lo prolungheremo tanto da giungere sotto il forte. Chi ci impedirà con alcuni barili di polvere, di far saltare in aria questo nido di pirati?

— Tu adunque non hai dimenticato il povero capitano Solilach?

— Voi non conoscete ancora Bonga, — disse il negro. — Non ho dimenticato il capitano e vendicherò la sua morte.

— Il tuo piano presenta però delle difficoltà, ma si può modificare. Invece di mettervi noi della polvere, cosa pericolosa e difficile, sarebbe meglio scavare sino a incontrare la polveriera la quale se non m’inganno, deve trovarsi sulla linea di questa galleria.

— Ben detto, amico Banes, — disse il negro. — Qui l’altra notte, ho nascosto due picconi e una lanterna cieca. Domani sera possiamo cominciare il lavoro.

— Sta bene, ma ora ritorniamo poichè l’alba comincia a biancheggiare, e qualcuno può sorprenderci.

Uscirono entrambi dalla galleria. Banes rientrò nel forte, mentre il negro si sedeva su una roccia, fingendo di guardare l’oceano.

Alla sera Banes, dopo d’aver giuocato al montes con alcuni camerati, si ritirava per tempo, fingendo di accusare un po’ di stanchezza. A mezzanotte però, quando già tutti dormivano, abbandonò silenziosamente la sua stanza, e camminando lungo la muraglia per non esser scorto dagli uomini di guardia, giungeva inosservato alla galleria dove Bonga lo aspettava seduto su di un sasso.

— Ti ha veduto nessuno? — chiese al negro.

— Nessuno, — rispose questi.

— Lavoriamo, — disse Banes, accendendo la lanterna.

Afferrati entrambi i picconi, si diedero a battere vigorosamente la roccia, levando numerose e grosse scheggie.

I due atleti, lavorando con gran vigore, ingrandivano a vista [p. 144 modifica]d’occhio la galleria, facendola più profonda. Banes però, non essendo del tutto tranquillo, talvolta interrompeva il lavoro per uscire e guardare all’intorno, temendo che gli uomini di guardia potessero udire i sordi colpi dei picconi.

Quando cominciò ad albeggiare, essi abbandonarono la galleria, turarono l’entrata con alcuni macigni onde nasconderla agli occhi dei loro compagni e tornarono, senza esser veduti, al forte.

Durante il giorno si unirono ai loro compagni, e lavorarono pel riparo della muraglia e venuta la sera tornarono alla loro galleria, approfondendo lo scavo di due altri metri.

Per quattro giorni continuarono a batter la roccia, senza essere scoperti ed internandosi sempre più nelle viscere della rupe.

Verso le tre del quinto giorno, mentre Banes e Bonga attraversavano nel forte la stanza delle armi, furono avvicinati da un marinaio, il quale dopo essersi assicurato che nessuno lo spiava, disse:

— Banes non sai nulla?

— Di che cosa? — chiese il brasiliano.

— Della congiura che si trama contro il capitano. Siamo stanchi di lui; egli abusa troppo della sua autorità. Vuoi essere dei nostri?

— Conta su di me. Quando deve scoppiare?

— Fra tre giorni.

— Chi sono i capi?

— I due terzi ufficiali.

— Al momento opportuno sarò con voi, — disse Banes con leggiera ironia. — Addio.

Venuta la notte Banes e Bonga si ritrovarono nella galleria e lavorarono con ansia febbrile. Bisognava assolutamente giungere alla polveriera prima che la rivolta scoppiasse.

La notte successiva s’accorsero che di passo in passo che s’internavano nella galleria, la vôlta risuonava come fosse vuota.

— Poca roccia ci separa ancora, — disse Banes, tergendo il sudore che gl’inondava la fronte.

— È vero, la crosta diviene più sottile, — rispose il negro. — Continuiamo, Banes.

Per tre ore quei due uomini di ferro batterono la roccia con febbrile impazienza, eccitandosi l’un l’altro, mentre la crosta andava assottigliandosi.

Verso le due del mattino la volta si spezzò e i due lavoranti, dopo aver allargato il buco, entravano in una stanza oscura e fredda.

— La polveriera! — esclamarono entrambi. [p. 145 modifica]

— Infatti una quarantina di barili erano schierati intorno alle muraglie.

— Vi è qui tanta polvere da mandare in aria una intera città, — disse il brasiliano.

— Ritorniamo, poichè non è prudente rimanersi qui, — disse il negro, trascinando un barilotto presso l’apertura onde cercare di turarla.

Banes si calò giù pel foro, il negro lo seguì e colle mani spinsero sopra il barilotto.

— Domani a sera noi prepareremo una lancia con dei viveri, poi uno di noi darà fuoco.

— Sarò io che accenderò la miccia, — disse il negro.

Entrambi, camminando lungo le muraglie, entrarono inosservati nel forte, si strinsero la mano e si lasciarono.

Durante il giorno, mentre lavoravano coi compagni da certi sguardi e da certi segni s’accorsero che il buon sangue più non regnava fra l’equipaggio della Garonna.

Anzi tre o quattro marinai attaccarono zuffa coi partigiani del capitano Parry, minacciandoli coi coltelli.

Calò finalmente la sera, una sera buia, minacciosa. Sul mare lampeggiava ed un forte vento soffiava dal sud-est.

Banes e Bonga, appena calate le tenebre, uscirono dal forte per recarsi alla baia. Mentre camminavano dietro le muraglie, videro sulla cima dei marinai i quali si facevano dei cenni misteriosi.

— Buono, — mormorò Banes raddoppiando il passo. — La rivolta sta per scoppiare.

Giunti alla baia salirono nell’imbarcazione e si recarono a bordo della Garonna.

Colà gettarono nell’acqua la lancia più grande, vi misero entro due sacchi di biscotto, due barilotti d’acqua, della carne salata, alcuni fucili, remi, vele, corde e bussola, poi la spinsero verso la riva.

— Aspettami qui; io vado a dar fuoco alle polveri, — disse il negro, mentre un sorriso crudele gli spuntava sulle grosse labbra.

— Bada a non farti sorprendere.

Bonga balzò a terra portando con sè una scure e una lunga miccia, si arrampicò sugli scogli, guadagnò la galleria ed entrò nella polveriera.

Coll’accetta spezzò sei o sette barilotti disperdendo la polvere al suolo, poi diede fuoco alla miccia. Stava per riguadagnare la galleria, quando una scarica risuonò nel forte, accompagnata da urla indescrivibili.

— La rivolta! — esclamò egli, slanciandosi all’aperto.

Tutte le finestre del forte erano rischiarate da numerose torce, colpi di fucili, gemiti, imprecazioni e grida risuonavano in tutte le [p. 146 modifica]stanze. Attraverso la finestre si vedevano degli uomini furibondi ad inseguirsi e scannarsi a vicenda fra le grida di «morte al capitano». Ad ogni istante dei morti o dei feriti venivano precipitati dai bastioni.

— Bonga! — gridò il brasiliano.

— Eccomi! — gridò il negro, comparendo fra le rocce.

Di repente un lampo balenò a pochi passi da lui, e il negro, colpito in mezzo al petto da una palla di fucile, rotolò al suolo.

— Ti ho raggiunto! — esclamò una voce furiosa.

Poi un uomo fu veduto arrampicarsi su per le rocce e sparire in direzione del forte.

— Bonga! Bonga! — urlò Banes.

— A me... a me, — rantolò il negro, contorcendosi.

Il brasiliano con due colpi di remo si accostò alla spiaggia e pazzo di dolore si precipitò verso il compagno.

— Fuggi... ho dato fuoco... Parry si è vendicato, — mormorò con voce fioca il negro.

Portò ambe le mani sulla ferita dalla quale sfuggivano rivi di sangue, poi fu preso da un supremo spasimo e rimase immobile.

— Morto! — esclamò Banes con dolore. — Sarà vendicato!

Balzò nell’imbarcazione quasi fuori di sè e, afferrati i remi, si mise ad arrancare disperatamente.

— La vendetta! La vendetta ora! — gridò egli mentre una lagrima gli scendeva sulle guance.

Ad un tratto la roccia si fendette come un vulcano, eruttando fuoco e sassi. Una fiamma gigantesca salì verso il cielo, seguita da uno scoppio spaventevole.

Enormi sassi, spinti in aria dalla violenza dell’esplosione, precipitarono sulla baia, mentre una colonna di fumo rossastro avvolgeva tutto l’isolotto.

Tutto era sparito: il forte era balzato nell’aria sotto la spinta della polveriera, e al suo posto non rimaneva che una roccia perduta su quell’immenso oceano e sbattuta dai flutti spumanti.